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Tip. dei Successori Le Monnier.

DEL SECENTISMO NELLA POESIA CORTIGIANA

DEL SECOLO XV.

VI.

La forma consueta dello stile del Tebaldeo è l' esagerazione, l'abuso delle figure e dei colori retorici per ottenere un effetto inaspettato, per colpir d'improvviso l'animo del lettore. Non dispiacerà qualche esempio di questa maniera concettosa, che nel Quattrocento ci dà un saggio anticipato delle pazzie del Secento.

L'amata del Tebaldeo, a quel che si desume fra le altre dalla chiusa di un Sonetto, contenente l'epitaffio per la propria sepoltura, era una Fulvia da Siena:

Due patrie ebbe costui, Siena e Ferrara,

L'una gli diede Amor, l'altra Natura.

L'amore ad una Pisana è menzionato in un solo Sonetto, nel quale si dice che Pisa non è così in tutto priva del valore antico, che di esso non se ne veda ancora alcuna reliquia :

Città felice, che già il mar, la terra

Tremar faceva! ed or, cosi soggetta,

Fa con due occhi agli uomini e al ciel guerra.

Meglio però sarebbe stato voltar coteste due colubrine contro i soggiogatori della povera città, invece che fulminare il poeta.

Ma che colpa ne ho io? spinga sotterra

Chi l'ha abbassata, e chi la tien si stretta.

Il poeta è tutto in balia dell' amore, e non potrebbe esser

sottoposto a signoria più crudele. Chi è, infatti, Amore? Un fanciullo nudo e cieco

Che non avendo con ch' egli si copra

Si gode altrui spogliar, e perchè ha perso

La vista, in far ciascun cieco s' adopra.

Amore l'ha fatto bersaglio dei suoi strali: sarebbe bastato un solo, ma l' ha empito di mille:

E pieno il petto m'ha di tanti strali,

Ch'ora mai porta me per sua faretra.

La sola consolazione del povero piagato è che Amore, per farne come una faretra ambulante, ci ha da aver rimesso una bella quantità di dardi e de' più pregiati:

Ma non picciol conforto avrò s'io moro,

Che, se ben farai conto, il mio morire
Sin qui ti costa mille strali d'oro.

Un'altra riflessione ancora gli fa sopportare con minor dolore il giogo amoroso: ed è una riflessione generosa. Se egli soffre, almeno il mondo vede e gode adesso questo prodigio di bellezza, ed egli è vittima del ben comune:

Chè se tanta beltà senza mio male

Non potrà il mondo aver, resto contento:

Chè chi muor per ben pubblico è immortale.

Cerca sfuggire il suo tiranno, va in luoghi selvaggi; ma Amore ri trova la sua traccia nei fiumi di pianto e nel vento dei sospiri :

per che dovunque io passo

Resta del pianger mio bagnato il piano`,

Ei segue il segno che a me dietro lasso,

E al sospirar mi sente da lontano:

Egli va con le piume, ed io col passo.

Almeno Amore lo ajutasse a far più terse le rime: ma gli ha rubata la lima e ad altro l'adopera:

Un fanciul cieco m'insegna la rima:

Or come vuoi che cose terse io scriva?
Dovria limarmi i versi, e il cor mi lima.

I soggetti più tenui sono amplificati e gonfiati. Figuratevi

che in una festa da ballo la bella del poeta fu colta da emorragia nasale. L'accidente è poco poetico; ma con un po' di fantasia si può ridurlo tale, e darne anche la colpa ad Amore. Amore, invero, da un gran pezzo voleva ferirla, e scelse cotesta occasione per dirizzarle uno strale: ma egli è cieco, Madonna danzava, il colpo invece di andare al cuore andò al naso, ed ecco perchè ella fa sangue di li:

E volendo toccarla in mezzo al cuore
Non ci vedendo, nel naso la colse.

Se fosse detta per scherzo, sarebbe bellina: il male è che è detta sul serio !

,

Un giorno tira gran vento; è accidente che avviene spesso, ma il poeta ha capito che gatta ci cova: è Giove, proprio Giove, che converso in Borea ha trovato questo mezzo per baciar le labbra di Madonna: poteva almeno scendere in aura soave, e sarebbe riuscito meglio:

Or guarda se mia sorte è trista e ria,

Che insino il vento che dal ciel trabocca,
M'empie col suo spirar di gelosia.

Ma tu, Giove, se amore il cor ti tocca,
Almen vieni in un' aura umile e pia,
E non corromper così bella bocca.

Un'altra volta nevica, e la sua bella è a spasso:

Stava pieno ciascun di maraviglia

Vedendo che fioccava e che Sol era:

Il Sol che facea lei colle sue ciglia.

Intanto la neve caduta si converte in ghiaccio: e sapete perchè?

Sendo la neve qua discesa in terra

E vedendosi vincer di bianchezza

Da Madonna, di sdegno, ira e tristezza
Agghiacciossi, per farle ingiura e scorno.

Anzi fece di peggio; chè andando ella al tempio, la fece scivolare.
Per fortuna il naso fu salvo, ma rimase offeso un braccio:

Ma se Madonna ardea si come io faccio,

Giunta mai non sarebbe a tal caso empio,

Chè a chi ama sotto i piè si strugge il ghiaccio.

Anche questa non si sapeva. Ma almeno, dacchè va in chiesa, si rammenti di lui nelle commemorazioni dei morti:

Se pregar pei tuoi morti usa mai sei,

Spero pur oggi anch'io qualche conforto,
Chè, se fai ben tuo conto, io son tuo morto,
Ne da tal numer separar mi déi.

Se poi fosse andata a confessarsi, si ricordi che bisogna restituire il mal tolto: l'arco e la faretra ad Amore, il cuore al poeta, e stia attenta a non abbagliare il povero confessore, chè l'assoluzione sarebbe nulla:

E se sarai dal sacerdote assolta

Non ti fidar, chè si dal tuo splendore
Occupato riman, che non ti ascolta.

Il sole si nasconde fra le nuvole: sapete perchè? perchè si vergogna di esser vinto di luce da una donna di quaggiù; e farebbe bene a starsene sempre cosi nascosto:

Non so che causa a ritornar l'induce,

Ma il starsi occulto è per lui meglio assai.

Si appicca il fuoco alla casa dell'amata: tutti accorrono, salvo il poeta, che si scusa con buone ragioni:

Ch'essendo io fiamma, avrei più acceso il fuoco.

Nè è da meravigliarsi se l'incendio fu spento tardi; perchè la gente accorsa coll'acqua la dovette usare a propria salvezza contro l'altro incendio degli occhi di Madonna:

Onde l'acqua ch' avea già per te presa
Costretto era gittar sopra il suo petto.

Se non che non a tutti è nota la cagion vera dell'incendio. Era quella unica fenice che si accendeva il rogo: lo preparò con l'arco e le saette tolte ad Amore, e poi soffiò coll' ali nel fuoco:

Ma il ciel che vide le faville accense,

Parendogli pur lei giovane ancora,

Non volse, e il fuoco incominciato spense.

Oh che bel fine io m'aspettavo allora !

Miste avrei con le sue mie fiamme immense:

Mai più non fia che si felice io mora!

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