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di razionalitade e di civiltade ( An.). E quel di Rascia, coè il Re di Raccia: il quale contraffè i ducati di Vinegia, solo per avarizia (Bocc)

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v. 142-144. O beata Ungheria ec. Riprende la sozza e laida vita delli Re d'Ungheria passati infino a Andrias, la cui vita in però li Ungheri lodarono e la morte piansero, che respettivamente agli altri era più civile e politica e però dice, se li Ungheri si possono conservare in questa, che sono beati. E beata Navarra ec. Vedendo A. che il regno di Navarra pervenia sotto la signoria de'superbi Franceschi, e discadea alla casa di Fran cia, la dice beata, se si difendesse in su li monti, che le sono d'intorno, e non ricevesse quelli superbi Re di Franciu, li quali la faranno vivere sotto misero servaggio. (An.)

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v. 145-148. E creder dee ciascun ec. Descrive in ultimo la vita bestiale del Re di Cipri, il quale dovrebbe essere tutto santo però che dinanzi alla fronte li siede la terra, dove il suo Creatore il sangue sparse. E bene dice bestia; però che tutto è dato alle concupiscenzie e alle sensuali tadi, le quali debbono essere di lungi dal Re. (An.)

CANIO XX.

ARGOMENTO.

In questo Canto loda l'Aquila alcuni degli antichi Re, i quali, oltre a tutti gli altri, furono giustissimi, ed eccellentissimi in ogni virtù. Poscia solve un dubbio a Dante; come potessero essere in Cielo alcun, che, secondo il creder suo, non avevano avuto Fede Christiana.

Quando colui, che tutto 'l Mondo alluma.

Dell' emisperio nostro si discende,

E'l giorno d' ogni parte si consuma,
Lo Ciel, che sol di lui prima s'accende.
Subitamente si rifà parvente

Per molte luci, in che una risplende.
E questo atto del Ciel mi venne a mente
Comel segno del Mondo, e de' suoi duci,
Nel benedetto rostro fu tacente;
Però che tutte quelle vive luci,

Vie più lucendo, cominciaron canti
Da mia memoria labili e caduci.
O dolce Amor, che di riso t' aminantį,
Quanto parevi ardente in que' favilli,
Ch' aveano spirto sol di pensier santi!
Poscia che cari e lucidi lapilli,

Tom. III

15

Ond' io vidi 'ngemmato il sesto lume,
Poser silenzio agli angelici squilli
Udir mi parve un mormorar di fiume,
Che scende chiaro giù di pietra in pietra,
Mostrando l'ubertà del suo cacume.
E come suono al collo della cetra

Prende sua forma, e si come al pertugio
Della sampogna vento, che penétra ;
Così rimosso d'aspettare indugio

Quel mormorar dell'Aquila salissi,
Su per lo collo, come fosse bugio.
Fecesi voce quivi, e quindi uscissi
Per lo suo becco in forma di parole,
Quali aspettava 'I cuore,
ov' io le scrissi.
La parte in me che vede, e pate il sole
Nell' aguglie mortali, incominciommi,
Or fisamente riguardar si vuole :
Perchè de' fuochi, ond' io figura fommi,
Quelli, onde l'occhio in testa mi scintilla,
E di tutti lor gradi ŝon li sommi,
Colui, che luce in mezzo per pupilla,
Fu il cantor dello Spirito Santo,
Che l'arca traslatò di villa in villa:
Ora couosce 'l merto del suo canto,

In quanto affetto fu del suo consiglio,
Per lo remunerar, ch'è altrettanto,
De' cinque, che mi fan cerchio per ciglio
Colui, che più al becco mi s' accosta,
La vedovella consolò del figlio:
Ora conosce quanto caro costa

Non seguir Cristo, per l'esperienza
Di questa dolce vita, e dell' opposta.
E quel che segue in la circonferenza,
Di che ragiono, per l' arco superno,
Morte indugiò per vera penitenza:
Ora conosce che 'l giudicio eterno

Non si tramuta, perchè degno preco

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Fa crastino laggiù dell' odierno.

L'altro, che segue, con le leggi e meco,
Sotto buona 'ntenzion, che fe' mal frutto,
Per cedere al pastor si fece Greco :
Ora conosce come 'l mal dedutto

Dal suo bene operar non gli è nocivo,
Avvegna che sia 'l Mondo indi distrutta,
E quel che vedi nell' arco declivo,
Guiglielmo fu, cui quella terra plora,
Che piange Carlo e Federigo vivo :
Ora conosce come s' innamora

Lo Ciel del giusto rege, ed al sembiante
Del suo fulgore il fa vedere ancora.
Chi crederebbe giù nel mondo errante
Che Rifeo Trojano in questo t ndo
Fosse la quinta delle luci sante?
Ora conosce assai di quel' che'l Mondo
Veder non può della divina grazia;
Benchè sua vista non discerna il fondo.
Qual lodoletta, che 'n aere si spazia
Prima cantando, e poi tace contenta
Dell' ultima dolcezza, che la sazia;
Tal mi sembrò l' imago della 'mprenta
Dell' eterno piacere, al cui disio
Ciascuna cosa, quale ell' è diventa.
E avvegna ch' io fossi al dubbiar mio
Lì, quasi vetro allo color, che 'l veste ;
Tempo aspettartacendo non patío:
Ma della bocca Che cose son queste?
Mi pinse con la forza del suo peso:
Perch' io di corruscar vidi gran feste.
Poi appresso con l'occhio più acceso
Lo benedetto
segno mi rispose,
Per non tenermi in ammirar sospeso:
fo veggio, che tu cred queste cose,
Perch' io le dico, ma non vedi comez
Si che, se son credute, sono ascose.

Fai come quei, che la cosa per nome
Apprende ben : ma la sua quiditate
Veder non puote, s' altri non la prome.
Regnum Coelorum violenza pate

Da caldo amore e da viva speranza,
Che vince la divina volontate,

Non a guisa che l' uomo all' uom❜ sovranza:
Ma vince lei perchè vuole esser vinta :
E vinta vince con sua beninanza.
La prima vita del ciglio, e la quinta
Ti fa maravigliar, perchè ne vedi
La region degli Angeli dipinta.
De' corpi suoi non uscir, come credi,
Gentili, ma Cristiani in ferma fede,
Quel de' passuri, e quel de passi piedi:
Che l'una dallo 'nferno, u' non si riede
Giammai a buon voler, tornò all'ossa,
E ciò di viva speme fu mercede:
Di viva speme, che mise sua possa
Ne' prieghi fatti a Dio per suscitarla,
Si che potesse sua voglia esser mossa.
L' anima gloriosa, onde si parla,

Tornata nella carne, in che fu poco,
Credette`in lui, che poteva ajutarla.
E credendo s' accese in tanto fuoco
Di vero amor, ch' alla morte seconda
Fu degna di venire a questo giuoco.
L'altra per grazia, che da si profonda
Fontana stilla, che mai creatura

Non pinse l'occhio insino alla prim' onda,
Tutto suo amor laggiù pose a drittura :
Perchè di grazia in grazia Dio gli aperse
L'occhio a la nostra redenzion futura:
Onde credette in quella, e non sofferse
Da indi'l puzzo più del

paganesmo, E riprendeane le genti perverse. Quelle tre donne gli fur per battesmo,

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