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Si come quando Marsia traesti
Della vagina delle membra sue.
O divina virtù, sì mi ti presti
Tanto; che l'ombra del beato regno
Segnata nel mio capo io manifesti.
Venir vedràmi al tuo diletto legno,
E coronarmi allor di quelle foglie,
Che la matera e tu mi farai degno.
Si rade volte, Padre, se ne coglie
Per trionfare o Cesare o Poeta,
(Colpa e vergogna dell' umane voglie)
Che partorir letizia in su la lieta
Delfica Deità dovria la fronda
Peneia, quando alcun di se asseta.
Poca favilla gran fiamma seconda:
Forse diretro a me con miglior voci
Si pregherà, perchè Cirra risponda.
Surge a' mortali per diverse foci

La lucerna del mondo: ma da quella,
Che quattro cerchi giugne con tre croci,
Con miglior corso e con migliore stella
Esce congiunta, e la mondana cera

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Più a suo modo tempera e suggella.
Fatto avea di là mane e di
"

qua sera
Tal foce quasi, e tutto era là bianco
Quello emisperio, e l'altra parte nera,
Quando Beatrice in sul sinistro fianco
Vidi rivolta, e riguardar nel Sole:
Aquila si non gli s' affisse unquanco.
E si come secondo raggio suole

Uscir del primo, e risalire insuso,
Pur come Peregrin, che torna · vuole,
Cosi dell' atto suo per gli occhi infuso
Nell' immagine mia, i mio si fece,
E fissi gli occhi al Sole oltre a nestr' uso.
Molto è licito là, che qui non lece
Alle nostre virtù, mercè del loco

Fatto per proprio dell' umana spece. Io non soffersi molto, nè sì poco,

Ch' io nol vedessi sfavillar dintorno, Qual ferro, che bollente esce del fuoco. E disubito parve giorno a giorno

Essere aggiunto, come quci, che puote,
Avesse Ciel d'un altro sole adorno.
Beatrice tutta nell' eterne ruote

Fissa con gli occhi stava, ed io, in lei
Le luci fisse, di lassù remote,

Nel suo aspetto tal dentro mi fei,

Qual si fè Glauco nel gustar dell'erba, Che 'l fè consorto in mar degli altri Dei. Trasumanar significar per verba

Non si poría; però l'esemplo basti A cui esperienza grazia serba. S'io era sol di me quel che creasti Novellamente, Amor, che 'l Ciel governi, Tu 'l sai, che col tuo lume mi levasti. Quando la ruota, che tu sempiterni Desiderato a se mi fece atteso

Con l'armonia, che temperi e discerni, Parvemi tanto allor del Cielo acceso Dalla fiamma del Sol, che pioggia o fiume Lago non fere mai tanto disteso.

La novità del suono, e 'l grande lume

Di lor cagion m' accesero un disio
Mai non sentito di cotanto acume.
Ond' ella, che vedea me, si com' 10,

Ad acquetarmi l'animo commosso,
Pria ch'io a dimandar, la bocca aprio
E cominciò: Tu stesso ti fai grosso
Col falso immaginar, sì che non vedi
Ciò che vedresti, se l'avessi scosso.
Tu non se'in terra, sì come tu credi:
Ma folgore, fuggendo 'l proprio sito,
Non corse, come tu, ch' ad esso riedi.

S'i' fui del primo dubbio disvestito
Per le sorrise parolette brevi :
Dentro a un nuovo più fui irretito :
E dissi: Già contento requievi

Di grande ammirazion : ma ora ammiro
Com' io trascenda questi corpi lievi.
Ond'ella appresso d'un pio sospiro,

Gli occhi drizzò ver me con quel sembiante,
Che madre fa sopra figliuol deliro:
E cominciò: Le cose tutte quante

Hanno ordine tra loro; e questo è forma,
Che l'universo a Dio fa simigliante.
Qui veggion l'alte creature l'orma
Dell' eterno valore, il quale è fine,
Al quale è fatta la toccata norma.
Neil' ordine, ch'io dico, sono accline
Tutte nature per diverse sorti
Più al principio loro, e men vicine:
Qnde si muovono a diversi porti
Per lo gran mar dell'essere, e
ciascuua
Con istinto a lei dato, che la porti.
Questi ne porta 'l fuoco inver la Luna :
Questi ne' cuor mortali è promotore.
Questi la terra in se stringe e aduna.
pur le creature, che son fuore
D'intelligenzia, quest' arco saetta,
Ma quelle ch'hanno intelletto e amore.
La providenzia, che cotanto assetta,
Del suo lume fa 'l Ciel sempre quieto,

Nel qual si volge quel, ch'ha maggior frelta.

Ed ora lì, com'a sito decreto,

Cen' porta la virtù di quella corda,

Che ciò che scocca, drizza in segno lieto. Ver' è che come forma non s'accorda

Molte fiate alla 'ntenzion dell'arte,

Perch' a risponder la materia è sorda ; Gosi da questo corso si diparte

Talor la creatura, ch'ha podere Di piegar, così pinta, in altra parte. E sì come veder si può cadere Fuoco di nube, se l'impeto primo A terra è torto da falso piacere; Non dei più ammirar, se bene stimo, Lo tuo salir, se non come d'un rivo, Se d'alto monte scende giuso ad imo. Maraviglia sarebbe in te, se privo, D'impedimento giù ti fossi assiso, Com'a terra quicto fuoco vivo. Quinci rivolse inver lo Cielo il viso.

PARADISO, CANTO PRIMO.

v. 1-3 La gloria di colui che tutto muove ec. La gloria, cioè il raggio o lume divino, ossia la bontà, la sapienza, e la virtù divina penetra e risplende per l'universo: penetra quanto all' essenza, e risplende quanto all'esistenza. Coelum et terram ego impleo, dice lo Spirito Santo per Geremia; e nella Sapienza: Spiritus domini replevit orbem terrarum; e nell' Ecclesiastic: Gloria Domini plenum est opus ejus. Anche i pagani ciò riconobbero, dicendo Lucung nel L. IX. Juppiter est quodcumque vides quodcumque moveris. Quello che poi aggiunge: in una parte più, e meno altrove, è manifesto, siccome appare nel Cielo e negli elementi, dei quali l' uno incorruttibile, corruttibili gli altri (Dant. Epist. a Can Grande). Come fa la semplicissima delle su stanzie, che è Dio, il quale più appare nell'uomo che nelle bestic; e più in queste che nelle piante, più in queste che nelle miniere; e in esse più che negli elementi ; e più nel fuoco che nella terra ( Dant. De Vulg. Eloq. L. I. 16. ) E nel Parad. ( C. XXXI. V. 22-23) disse: Che la luce divina è penetrante l'er l'universo, secondo ch'è degno.

e

v. 4-6. Nel Ciel che più della sua luce prende ec. Circoscrive il Paradiso ; e dice che egli fu in quel Cielo, che della gloria di Dio, o della sua luce più abbondantemente riceve e questo è il supremo Cielo che tutti i corpi contiene, e da nullo è contenuto; entro a cui tutti i corpi si muovono da nulla corporal sustanzia virtù ricevendo e dicesi Empireo o Cielo di fiamma e d'ardore acceso; non perche in esso sia fuoco o ardore materiale, ma spiriche è il santo amore, a la cavità. E prose

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tuale,

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