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si studiassero di distruggerlo coll' appiccarvi il fuoco. Ma i loro sforzi a distorre dalla novella credenza i convertiti loro proseliti, venivano fiaccati dalla divina virtù, la quale per mezzo del sacro pastore ridonava ai ciechi la vista, ai sordi l'udito, ai mutoli la favella, e da ogni luogo perciò e della città e delle campagne chiamava in folla d'intorno a sè gl'infermi ad implorare la guarigione: sicchè quanto più Castriziano moltiplicava i prodigii, tanto più cresceva il numero dei cristiani. Ma, presago alfine del vicino suo termine, l' amoroso pastore chiamò a sè i sacerdoti ed i diaconi della sua chiesa; gli esortò a costante fermezza nella santa religione ; perciocchè fierissima persecuzione era ad essi imminente, nella quale non solo i vivi, ma gli estinti altresì sarebbero manomessi, acciocchè ogni avanzo, ogni memoria si distruggesse di cristianesimo; poi chiuse in pace la sua lunga carriera di quarantun anno, il dì 4.° dicembre 158. Fu sepolto nel cimitero della via romana, il quale era in quello spazio, che scorgesi tra l'odierna basilica di san Nazaro e la chiesa di san Calimero. Più tardi furono trasferite le sacre sue spoglie alla chiesa di san Giovanni in Conca, dov' era un tempo il cimitero de' pellegrini: motivo per cui taluni erroneamente lo dissero sepolto, sino da principio, in cotesto cimitero; ed altri, con errore ancor più grave, dissero piantata da lui la detta chiesa di san Giovanni in Conca (4). La chiesa milanese celebra la festa di lui nel di medesimo anniversario del suo transito. Non devo lasciare inosservato lo sbaglio dell' Ugbelli, che segnò la morte di Castriziano sotto l'anno 151; perchè, se i sacri dittici milanesi lo dicono vissuto nel pastorale governo Annis XLI, ed il suo vescovato, per testimonianza dello stesso Ughelli, incominciò nel 97: dunque è duopo segnarne la morte nel 158, e non gia nel 151.

La persecuzione intanto di Adriano Cesare ripigliava contro i cristiani il vigore delle precedenti di Nerone e di Domiziano: e la chiesa milanese, vedova di pastore, implorava con ardenti voti un vescovo, che potesse avvalorare il coraggio dei suoi fedeli a sostenere intrepidi il furore di essa. Ma le lunghe preci di quella fervorosa cristianità, non avevano suggerito il nome di alcuno, che assumere si dovesse al sacro incarico; quando ad un solo istante nell' animo di tutti, quasi di un solo accordo, nacque il desiderio di volere a vescovo CALIMERO, che a forza, anzi stretto con calene, onde fare violenza alla sua ripugnanza, fu strascinato al

(1) Ved. il Sassi, pag. 19 del tom. 1.

tempio ad essere consecrato all' episcopale ministero. Era egli greco; e, giovinetto ancora, atterrito dallo strepito delle persecuzioni, aveva abbandonato la patria ed erasi rifugiato a Roma presso il sommo pontefice Telesfuro, che l'ebbe in conto di figlio. Dopo un decennio di vita virtuosa ed edificante, all' infierire della nuova persecuzione di Adriano Cesare, di cui Telesforo stesso rimase vittima trionfatrice, fuggì anche di Roma; e senza sapere ove se ne andasse, entrò in Milano. Qui accolto da Castriziano, meritò, per le sue specchiate virtù, di essere da lui aggregato al clero della basilica di Fausta; e finalmente dai sacerdoti, dai diaconi, da tutto il popolo milanese fu acclamato in padre e pastore. Nè s'ingannarono nella scelta: perchè quanto era stato grave il timore della gentilesca tirannide nell'indurlo a fuggire e dalla Grecia e da Roma, altrettanto l'effusione dello Spirito santo nell' episcopale consecrazione lo rese forte ed intrepido ad affaticare in pubblico ed in privato per l'ingrandimento e la moltiplicazione del gregge cristiano nel sacro ovile, a cui era stato preposto. Per lui la fede evangelica non celevasi più tra l'oscurità dei nascondigli o nel silenzio delle solitudini; ma petto a petto affrontava i pagani e li convinceva della falsità del politeismo; penetrava nelle carceri e confortava con le parole e coi sacramenti i seguaci del Nazareno, riserbati per la fede di lui al supplicio; dinanzi ai tribunali persino recavasi, e coi rimproveri, coi ragionamenti, coi prodigii ne guadagnava i magistrati alla religion della Croce. Non di rado perciò, fu castigato con flagelli e con altri durissimi supplicii ma Iddio sempre lo volle serbare in vita, perchè non mancasse al suo popolo un si amoroso confortatore in mezzo allo spavento della grande tribolazione. All'esilio fu condannato alfine e con altri confessori della fede tradotto; ma egli dopo brevissimi giorni, disprezzatore dell'odio e della fierezza degl' idolatri, fece ritorno al suo gregge. Del che adirati al maggior segno costoro, provocarono la collera altresì del romano prefetto, acciocchè scrivesse all' imperatore Commodo e gli facesse palese, es · sere in Milano un Calimero, capo di tutti gl'iniqui, il quale pubblicamente per le piazze bestemmiava gli dei, e poco meno che l'intiera Liguria allontanava dal culto loro dovuto; e perciò dedecus esse Reipublicae, si ab uno diris omnibus devovendo sene, deorum magna potentia derideatur, atque ab uno jugiter derisa, turpiter ab omnibus derideatur. A questa denunzia rispose l'imperatore, che Calimero ubicumque inventus fuisset, sine mora puniretur. Divulgatasi per la città l'imperiale sentenza, egli si

nascose nel cimitero di via Romana, ed alcun poco se ne slette in silenzio; ma l'ardore della sua carità, che non poteva a lungo frenarsi, lo trasse al delubro colà vicino di Apollo a rinfacciare ai sacerdoti di esso la stoltezza ed empietà di bruciare sacrileghi incensi ad uno stupido simulacro; e li esortava quindi ad aprire gli occhi a conoscere il vero Dio. Eglino esacerbati per siffatto parlare, gli si avventarono addosso e con molte ferite lo tormentarono; ed infine, memori, che altri dei loro colleghi erano stati dalle mani di lui lavati con le acque battesimali, lo pigliarono ancor semivivo, e capovolto lo precipitarono in un pozzo, ch' era poco da lungi. Di là ne trassero il sacro corpo i discepoli di lui, e lo portarono a sepoltura nel cimitero di Cajo (1), donde più tardi fu trasferito alla chiesa fabbricata al suo nome, colà appunto dov'è il pozzo del suo martirio, e dove sino al giorno d'oggi riposa. Accadde la sua morte il dì ultimo di luglio dell'anno 191, avendo sostenuto il pastorale incarico per curriculum annorum circiter quinquaginta trium: così esprimonsi i più antichi dittici della chiesa milanese: così l'antichissimo catalogo dell' Ambrosiana, già più volte commemorato. In onore di questo glorioso martire e pastore l'arcivescovo Tommaso, nell' VIII secolo, regalò prezioso pallio d'oro all'altare massimo della basilica a lui intitolata: ed il cardinale Federigo Borromeo, nella occasione del concilio VII provinciale, l'anno 1609, celebrò solennissima traslazione delle venerande spoglie di lui, e le collocò sotto la mensa dell'altare medesimo. A ricordanza del quale avvenimento fu scolpita sul marmo l' epigrafe seguente:

CORPVS S. CALIMER! episcopi meDIOL. ET MARTYRIS

SVB HOC ALTARI QVONDAM RECONDITVM
EX VARIIS LAPIDEIS AENEISQVE INSCRIPTIONIBVS
ACCVRATE RECOGNITVM

FEDERICVS CARDINALIS MEDIOLANI ARCHIEPISCOPVS
INDE AMOTVM

SOLEMNIQVE PROCESSIONE CIRCVMLATVM
PRAESENTIBVS EPISCOPIS PROVINCIALIBVS
IN CONCILIO PROVINCIALI SEPTIMO

SVB HOC EODEM ALTARI HONORIFICE COLLOCAVIT
ANNO MDCIX. DIE XXI. MAJI.

(1) Ossia, dov'era l'orto di Filippo, trasmutato dal vescovo Cajo in cimiterio cristiano. Ved. di sopra, nella pag. 49.

L'assassinio crudele del loro sacro pastore sbigotti si fattamente i milanesi, che per un anno e mezzo non ebbero nè coraggio nè opportunità di radunarsi ad eleggerne il successore. Alla fine, cessato alquanto, per la morte dell'imperatore Commodo, il furore della persecuzione; l'anno 195 si radunò il clero col popolo nella basilica Porziana, ed invocata l'assistenza dello Spirito santo, stabilirono loro pontefice MONA, di origine consulare, iniziato nei sacri ministeri del santo vescovo Calimero, e dell' ordine diaconale insignito al servizio di quella basilica. La sua elezione ebbe del portentoso, per la unanimità dell'assenso, con cui vi fu chiamato. Sino dai primordii del suo episcopato, divenuto padrone di pinguissima eredità, lasciatagli dai defunti suoi genitori, ne fece generosa divisione tra i poveretti e la chiesa, a sussidio di quelli ed a sostentamento dei ministri di questa. Fu il primo ad istituire in Milano parrocchie, affidandone a saggi presidi l'amministrazione. Se si volesse credere al Galesino e all' Ughelli, converrebbe ammetterne 115 da lui istituite. Ma come mai; se l'estensione della città riducevasi allora a stretto giro; e se i più antichi storici non commemorano esistenti a que' tempi in Milano non più di tre sole basiliche? Ciò bensì potrà intendersi forse delle chiese da lui piantate nelle campagne e nei borghi, per cui a poco a poco andava formandosi la diocesi milanese, concentrata nella matrice chiesa, presso cui risiedeva il vescovo ed era essa, a quanto pare la basilica Porziana. Visse egli nel pastorale ministero, secondochè ci mostra l'antichissimo catalogo dell'Ambrosiana, quasi cinquantanove anni. Mori di vecchiezza il giorno 25 marzo dell'anno 251. Lo scrittore antico delle sue azioni, dice, essere stato il suo corpo Praedecessorum suorum tumulis adjunctum; e volle intendere nel cimitero di Cajo; e soggiunge, che sino a' suoi tempi n'era rimasto ignoto il luogo. Ma lo trovò nel 1500, addi 12 ottobre, l'arcivescovo Eriberto di Antimiano, e lo trasferì nella chiesa di san Vitale : e perciò crede il Sassi celebrarsene in quel giorno dalla chiesa milanese la memoria, piuttostochè nel di del suo transito (4); ma con più verisimiglianza io penso essere stata assegnata al detto giorno, perchè quello della sua morte è assai più solenne in tutte le chiese cristiane per l'Annunziazione della Vergine. Un altro più pomposo trasferimento delle sue ossa celebrò il cardinale arcivescovo san Carlo Borromeo il dì 6 febbraro 1576, portandole

(1) Mediolanen. Antist. historia, pag, 34 del tom. I.

nelle sue mani medesime egli stesso dalla chiesa di san Vitale alla basilica metropolitana, ove sino al giorno d'oggi riposano. Furono assistenti a questa religiosa ceremonia il vescovo di Novara, che ne descrisse la pompa, e il vescovo di Famagosta visitatore apostolico.

Intrudono alcuni nella serie dei vescovi milanesi un Marino, nell'anno 255: ma chi non vede falsa cotesta notizia, mentre san Mona occupò la sede dall'anno 193 al 251 ? Bensi una laguna di trentadue anni ci si affaccia dalla morte di lui all'esaltazione del suo successore SAN MATERNO della quale vedovanza si lungamente protratta fu evidentissima cagione l' infierire della pagana rabbia di bel nuovo contro i cristiani, per cui dispersi i fedeli e trucidati i sacri ministri, non solo non ebbe agio la vedova chiesa di procedere alla elezione del suo pastore, ma neppure potè trovare nel suo clero chi fosse idoneo a sostenerne il gravosissimo incarico. Tuttavolta, in mezzo a tanta desolazione, quando a Dio piacque, circa l'anno 285, un vecchio e venerando sacerdole, mentre se ne stavano raccolti nella basilica Porziana ad implorare perciò lumi dall'Altissimo, suggeri a successore di san Mona il primicerio dei lettori, che nominavasi MATERNO; e tutti ad una voce lo acclamarono vescovo. Vi fu eletto nel tempo il più difficile forse e il più spaventevole per Milano; perciocchè il soggiorno dell' imperatore Massimiano Erculeo in questa città, ne rendeva più pericoloso l'episcopale ministero. Tra i tanti martiri, che del proprio sangue inaffiarono in questo tempo il patrio suolo, primeggiò san Villore, soprannominato il Moro, per distinguerlo dai varii altri dello slesso nome (1). Dopo di essere stato tormentato col carcere, coi flagelli, col piombo liquefatto, Vittore fu in fine decapitato nel luogo, che dicevasi l'Olmo, il dì 8 maggio 504. Narrano gli atti del suo martirio, aver Massimino ordinato, che nessuno osasse di seppellirne il cadavere, affinchè, lasciato in abbandono, fosse divorato dalle bestie. Ma dopo sei giorni, avendo chiesto colui, che cosa ne fosse avvenuto, ed avendo inteso, che due animali lo custodivano, depose il pensiero d'infierire contro la inanime sua spoglia. Allora fu, che il vescovo san Materno recossi divotamente colà, la ravvolse in candidi lini, e poco lungi diedele sepoltura : giace sino al giorno d'oggi nella basilica Porziana, che da lui assunse il nome di san Vittore. Se poi foss' egli portato qui da san Materno, ovvero

(1) Gli atti del suo martirio sono descritti dai bollandisti sotto il giorno 8 di maggio.

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