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N° 20.

OSSERVAZIONI

SOPRA

GLI ANTICHI MONUMENTI FENICII

RECENTEMENTE ILLUSTRATI

DA

GULIELMO GESENIUS (

O

L'interpretazione degli antichi Monumenti

Fenicii, che fino a' giorni nostri fu in gran parte vaga e meramente congetturale, per opera e studio dell'orientalista tedesco Gulielmo Gesenius sembra omai ridotta a principii certi ed a vero sistema critico e scientifico; sì che il nome dell' Autore ne andrà onorato e celebre, a pari di quello dell' Eckhel, alla posterità. Siccome poi la lingua Fenicia è fra le Semitiche la più vicina ed affine all'Ebraica, in cui fu per la massima parte det

(*) Scripturae Linguaeque Phoeniciae Monumenta quotquot supersunt, edita et inedita, ad autographorum optimorumque exemplorum fidem edidit, additisque de Scriptura et Lingua Phoenicum commentariis illustravit Guil. GE SENIVS. Lipsiae 1837, in 4° cum Tabulis lithograph. XLVI.

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tato il sacro Testo del Testamento Antico; così dalla retta interpretazione de' Monumenti Fenicii ne deriva utilità anche alla sacra Ermeneutica, e si può coll' opportuno riscontro di essi dar luce a certi luoghi difficili de' Libri Santi; lo che invano erasi tentato prima di stabilire la retta maniera di spiegare i Monumenti medesimi (1). Onde ne giova brevemente discorrere intorno all'Opera del Gesenius, considerandola specialmente nel suddetto riguardo, e poscia in riguardo ancora agli studi numismatici.

A rendere ragione del poco avanzamento, che fino a' nostri giorni fecero gli studii delle cose Fenicie, comincia l'Autore dall' esporne le cagioni, che furono principalmente I la scarsezza o difetto de'sussidii e de' riscontri de' Monumenti; II gli apografi, o copie de' Monumenti non a bastante accurate; III la mancanza di una piena e critica Paleografia Fenicia; IV la pregiudicata opinione, che la Lingua Fenicia consistesse di voci e frasi derivate indistintamente da tutti i dialetti Semitici, e che quindi a spiegare i Monumenti Feni

(1) Sono omai dieci anni da che venne in luce a Leida il libro dell' Hamaker intitolato Miscellanea Phoenicia; nel quale l'Autore pretese illustrare alcune voci difficili del testo Ebraico col riscontro de' Monumenti Fenicii; ma il suo lavoro mal fondato, mancando persino di principii certi e costanti intorno alla paleografia, ossia maniera di leggere que' monumenti, non ottenne l'approvazione de' dotti orientalisti ed archeologi (v. Sacy, Journ. des Savants, 1829, p. 736-747 ).

cii si dovesse chiamare in sussidio indifferentemente ognuno di que' dialetti o lingue. A togliere e scansare cotali ostacoli e difetti, il Gesenius cominciò dal raccogliere insieme tutti quanti i Monumenti Fenicii superstiti sì editi come inediti, ciò sono LXXVII e più Iscrizioni Fenicie incise in lapidi e in gemme antiche, e presso a LX Epigrafi di antiche Monete Fenicie impresse in diverse città e provincie. Indi pose ogni cura e diligenza per l'integrità e fedeltà degli Apografi, osservando in parte gli Autografi stessi esistenti in diversi Musei d' Europa, o procacciandosene calchi, oppure copie fatte da mano esperta. Dal riscontro ed interpretazione di tutti i Monumenti raccolse l'Autore i principii necessarii a formare una Dottrina Paleografica, con la quale diede principio all' Opera. In essa dà come una storia delle Lettere Fenicie; e mostra come dalle prische e native lor forme passarono ad altre diverse e depravate per decorso di tempi e varietà di luoghi. Lascia intravedere quali lettere e forme fossero prima rettamente definite da altri, e quali siano state da esso lui definite; e ben a ragione si vanta di avere egli pel primo trovata la maniera di leggere le Lettere Numidiche. Nell' interpretazione di ciascun Monumento Fenicio l'Autore si è costantemente attenuto a queste tre regole: I che l'Epigrafe sia legittimamente letta, II che confronti con le regole ed indole della Lingua o dialetto, III che dia senso adatto e tale che sia: pienamente consentaneo alla natura del Monumento in particolare. Da ultimo l'Autore rac

coglie dai Monumenti Fenicii, e dagli Scrittori antichi, i quali ne tramandarono reliquie della Lingua Fenicia e Punica, ciò che spetta all'illustrazione di quell'antica Lingua perduta, e all'indole e regole grammaticali di essa; e mostra in ispezialità come la Lingua dei Fenicii sia affine all' Ebraica antica, secondo ciò che ne attestano anche i Santi Padri, segnatamente S. Agostino e S. Gieronimo, e come trovasi indicato altresi nella Scrittura Santa.

Abramo, allor che per divino comando uscì dalla terra nativa di Aram, e venne in Palestina, o Terra di Canaan, dovette a mano a mano dismetterė la nativa sua lingua Aramea ed adottare e trasmettere a' suoi posteri l'uso della lingua o dialetto de' Cananei. Dalle parole del testo Ebraico ove narrasi l'alleanza fatta da Giacobbe con Labano Genes. XXXI, 47) raccogliesi come fin d'allora v'era differenza tra la lingua di Mesopotamia e quella della Cananea, o sia fra le lingue parlate da Giacobbe e da Labano. La Lingua Ebraica in Isaia (XIX, 18) è detta Lingua Cananea: In die illa erunt quinque civitates in terra Aegypti loquentes LINGVA CHANAAN. S. Agostino più volte ricorda la consonanza e affinità della nativa sua Lingua Punica con l'Ebraica, e segnatamente là dove dice (contra Petiliani Litter. II, 104): Hunc (Christum) Hebraei dicunt Messiam, quod verbum Linguae Punicae consonum est, sicut alia permulta, et paene omnia. S. Gieronimo, parlando de' Fenici e Punici, dice (in Iėrem. V, 25): quorum Lingua Linguae Hebraeae

magna ex parte confinis est: e ciò ripete con altre parole in altri luoghi (2).

Comprovata così con le testimonianze degli Scrittori antichi, e col riscontro de' Monumenti Fenicii superstiti (chè non con altro sussidio, che quello della Lingua Ebraica, poterono rettamente spiegarsi) la singolare affinità e consonanza della Lingua Ebrea con la Fenicia, ne conseguono principii utilissimi per gli studi dell' Ermeneutica sacra. S. Gieronimo (in Iesaiam l. III, c. 7) ne attesta, come Lingua quoque Punica, quae de Hebraeorum fontibus manare dicitur, proprie VIRGO ALMA appellatur. Sa ognuno di quale e quanta importanza sia il conoscere e difendere il

(2) Il Gesenius, dopo rapportati tre luoghi di S. Gieronimo, che confermano la sua sentenza, soggiunge poscia (p. 332): contra falsa sunt quae Hieronymus in Iesaiam XIX, 18: « Non possumus, inquit, loqui lingua Hebraea, sed lingua Cananitide, quae inter Aegyptiam et Hebraeam media est, et Hebraeae magna ex parte confinis; nisi forte pro Aegyptiam scribendum est Aramaeam ». Ma considerando bene il contesto del S. Dottore, chiaro si scorge, che non deesi altrimenti rimutare la voce Aegyptiam in Aramaeam, e che nulla v' ha di falso, anzi tutto consuona con altre testimonianze del Dottor Massimo e con la pura verità. La Lingua Cananitide ivi è detta inter Aegyptiam et Hebraeam media, non già in riguardo alla vicinanza ed affinità letterale, ma sibbene in senso mistico o spirituale, sì che la lingua Egizia figuri quella de' mondani, la Cananitide quella de' giusti su questa terra, e l'Ebrea quella de' beati in Cielo. E siccome la vita del giusto in terra, per quella pace e contentezza che ha da Dio, è una imagine della celeste beatitudine; così il Santo avverte l'affi

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