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manifesta i magnifici versi del C. VI, laddove per bocca di Giustiniano vengono al lettore narrate le imprese ed i successi dell' Aquila e quegli altri ancora del C. XVIII, pei quali altresì sotto la figura di un' aquila, e in ciò che dal Poeta si dice di tale suo venerando segno, ci vien fatta, a così dire, l'apoteosi dell'Impero Romano.

Tal è adunque la vera e principalissima allegoria dell'Alighieri; e chi non avvezzo a misurare dal nome il merito degli scrittori, pongasi attentamente, e senza pregiudizii di scuola alla lettura dell' Opera, ne potrà agevolmente rimanere convinto. Conciossiachè il bravo interprete, oltre le prove desunte dal sistema Dantesco, quale si trova esposto nelle sue Opere Minori, moltissime ne reca ricavate dalla storia dei fatti, e dalle dottrine giuridiche di que' tempi; e più altre forse ne trae ancora dall'applicazione particolare di questa allegoria a tutte le parti del gran Poema. Nel che per verità è mirabile l'Autore pei sensi nuovi e reconditi che ne ritrova ed espone, generando sempre ineffabile diletto in chi legge, più acuta rendendo la voglia di continuare, e cavandone eziandio la riprova della sua sentenza, confortato ognora dell' autorità del Poeta. Ma a penetrar bene addentro negli argomenti, ed apprezzarne la forza, uopo è che il lettore non lasci da banda le notizie storiche giuridiche, che stanno a capo dell'Opera, come quelle che vi sono quasi premesse necessarie alla spiegazione dell' intera, e delle singole allegorie.

Noi pertanto non ci peritiamo di asserire che un gran vantaggio ha questo libro sui comenti antichi e moderni, pubblicati finquì, evitandosi in esso, con singolarissima abilità, e con quella chiarezza che distingue chi ragiona sul vero, sì la ristrettezza dei primi, che per lo più attendevano al solo senso

morale di alcuni canti; come i due estremi a cui son riusciti i secondi, giusta i dettami delle opposte scuole che gli inspiravano. Chè siccome gli sfidati nemici, e dubbii amici dei Papi e della Chiesa, hanno fatto ogni sforzo di torcere a significato puramente politico, rivoluzionario ed eretico, la grande Epopea Dantesca, così per contrario, ad impedire gli effetti dell' ermeneutica irreligiosa, e sovvertitrice, uomini di elevatissimo ingegno, di rara sapienza, e di specchiata virtù e religione, si avvisarono di poter ridurre la Divina Commedia ad un trattato della più alta ascetica perfezione. Nè vogliam noi già negare che moltissime e belle verità non vi abbiano questi scoperto, contro le false opinioni di quelli, avendo pure il Poema un significato anagogico: ma con quel rispetto che è dovuto al loro sapere, ed alle sante loro intenzioni, dobbiam qui confessare che troppa estensione ci sembra aver essi dato a questo senso, e però non aver sempre potuto con rigore di logica addimostrare l'assunto, nè uscire dall' ipotetico. Tanto è vero il proverbio che: l'ottimo è nemico del bene. Invece il nostro Autore, tenendosi ognora alla storia, addentrandosi nelle espressioni, e nella maniera di condurre il Poema, ne mette innanzi agli occhi, in modo lucidissimo e incontrastabile, che l'idea fondamentale e costante, quale fu concepita e svolta dall' Alighieri, è quella che a principio dicemmo, della necessità e concordia dei due reggimenti Sacerdozio, e Monarchia. Così la presente chiosa vi scorge tra i due opposti scogli, alla piena intelligenza del tutto e delle parti; e così non toglie coll' esagerazioni il credito alla verità, e vi presenta nella Trilogia Dantesca un Poema sacro ed eminentemente cattolico, sebbene scritto con ispirito di parte, da un uomo qual era Dante fuoruscito e Ghibellino. Chè se molti severissimi tratti

del Poeta contro a diversi Pontefici, hanno dato ai sofisti dei nostri giorni sì forti appigli da farlo apparire nemico del dominio temporale dei Papi, e precursore della Riforma, costoro si vedranno qui mancar del tutto lor possa, dappoichè si fa veder chiaramente che l'Alighieri non avversava no quella Signoria Papale, ma solo quella preponderanza, e quei diritti che, a suo giudizio, essi arrogavansi sopra gl' Imperatori. Dicemmo a suo giudizio, perchè veramente in ciò prendeva abbaglio il Poeta. Infatti, lasciando stare le molte prove che si hanno della supremazia de' Sommi Pontefici sui Principi, l'Impero di cui egli cantava, non era più l'antico Romano Impero, che i Barbari aveano distrutto, sibbene il Sacro Romano Impero di nuovo creato in Occidente dal S. Pontefice Leone III, e da lui conferito a Carlo Magno. Laonde essendo cotesto Impero una creazione dei Papi, posta tutta sulle basi, ed informata dello spirito del Cristianesimo, a loro, come a capi supremi della società cristiana, era devoluta naturalmente l'approvazione degli eletti all' Impero, senza la quale essi non vi acquistavano alcun diritto; e alla mancanza della sede imperiale, i Papi ne restavano i legittimi successori. Oltracciò quest' Impero, ordinato nella sua instituzione, a difendere e proteggere la Chiesa, ma caduto più volte nelle mani de' tristi, avea spesso mancato a' suoi giuramenti e al suo debito, e nequitosamente osteggiandola, faceva ogni opera di conculcare ed estinguere le legittime libertà dei Popoli, di cui la Chiesa non si chiamava soltanto, sì era in verità, come è al presente, la tutrice e la vindice. Intorno a questi punti, la storia è troppo chiara, chi la consulti con imparzialità. Quindi appar manifesto che il rivolgersi dei Papi ad altri Principi, ai Re Francesi, ed ai Popoli stessi, per la comune difesa, non che il combattere

le ambizioni e le soperchierie imperiali, era divenuto per loro una necessità. Singolare pertanto è la contraddizione dei moderni gridatori di libertà e d'indipendenza dei Popoli, quando dei versi, e dell' autorità dell' Alighieri, (che appunto dal propugnare quei diritti facea sola colpa ai Pontefici), pretendono valersi ad abbattere la Religione e il temporale dominio di questi. A tanto può condurre lo spirito di fazione!

Or concludendo, noi dobbiam dichiarare che dalla spiegazione qui data dell' allegoria Dantesca siam condotti ed astretti a riconoscere nel sommo Poeta, 1.° il fervente e sincero cattolico, quanto a Religione, e non avverso per certo alla temporale potestà dei Pontefici: 2.° il promotore dell' unione e concordia tra lo Stato e la Chiesa: 3.° il propugnatore acerrimo della necessità dell' intervento imperiale a cessare le discordie dei Popoli, e stabilir la pace dei Regni: 4.o l'avversario di alcuni Papi, ma per quello stesso onde i medesimi si rendevano benemeriti dei Popoli, e riscosser pur anche le lodi de' lor proprii nemici. Di che potrà vedere il lettore che le invettive dell' Alighieri contro quei Papi, colpiscono a torto una accidentale condizione de' tempi, in cui esso viveva; e secondo questo criterio vogliono essere dal lettore estimate.

Se poi la presente interpretazione si consideri sotto il rispetto letterario ed estetico, ella non istà sotto a verun' altra, e molta ne sopravanza per li pregi seguenti: 1.° del presentarci sempre e dovunque l'unità di pensiero che signoreggia nella Divina Commedia : 2.° del renderci la ragione delle apparenti e stravaganti misture di sacro e di profano, le quali per poco non hanno recato scandalo a qualche pusillo: 3.o del farci vedere la forza e la grandezza dell' ingegno di Dante: 4.° del dichiararci la condotta e la tessitura della maravigliosa Epopea,

non che la maniera del dire e di rappresentare in essa le immagini, e le cose: 5.° del guidarci quasi per mano a contemplare e gustare la incomparabile e pressochè immensa poetica bellezza che sta celata sotto il velo di molte altre particolari allegorie. Senza dire di parecchie ottime regole di critica e di ermeneutica, che il nostro Interprete presenta ed applica così bene al proposito, da tener esse luogo, pei giovani studiosi, delle più utili letterarie lezioni.

Il perchè è nostro avviso che nulla più utile, più dilettevole, più sicuro di questa nuova esposizione possa offerirsi agli studiosi di Dante. Ma segnatamente debbe riuscire accettissima a quelli a cui non piaccia lo andare errando nell' incerto e nell' immaginario, nè di forzare i testi a significare ciò che i pregiudizi e le passioni vorriano, non quel che a dire son fatti. L' idea principale, dominante, perpetua del Poema voi la vedrete qui uscir fuori in tutta la sua pienezza e verità, composta qual è dei due elementi Politica e Religione, Chiesa e Monarchia, e se con questa norma si studierà nella Divina Commedia, crediamo (per dirlo coll' autore) che ognuno potrà da se solo sentire e trovare in tanti e tanti altri luoghi, anzi quasi da per tutto quel senso allegorico sopraposto, e contratto, di che abbiamo discorso: e giunto al termine dovrà per maraviglia e compiacenza esclamare coll' Interprete e col divino Poeta :

O voi che avete gl' intelletti sani,
Mirate la dottrina che s'asconde
Sotto il velame delli versi strani.

Faenza, Aprile 1871.

P. S. JSANI

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