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al notturno, nulla per sè significhino; ma si piglino a significare per cagione del tutto a cui appartengono e presiedono. Ciò notato sul primo errore circa il senso mistico, è a dirsi egualmente del secondo. L' Alighieri distrutto l'argomento contrario suddetto, soggiunge: « Puossi ancora » questa bugia, tollerandola, per distinzione dissolvere. Cer» tamente egli è più leggieri contro all' avversario la solu»zione che distingue, perchè non si prova colui essere in » tutto bugiardo, come si fa nella distruzione. Dico adunque » che abbenchè la Luna non abbia luce abbondante se non » dal Sole, non seguita però che la Luna sia dal Sole, » sicchè si debbe sapere che altro è l' essere della Luna, » altro la virtù sua, altro l'operazione. Quanto all' essere, » ella non dipende in alcun modo dal Sole, nè eziandio in » quanto alla virtù, nè in quanto all' operazione semplice» mente, perchè il suo movimento è dal primo Motore, е » l'influenza sua e da' suoi proprii raggi. Ella ha per se » alcuna luce, come nella sua oscurazione si manifesta; » ma quanto all'operare meglio e più efficacemente, riceve » qualche cosa dal sole; e questo è abbondanza di luce. » Similmente dico che il temporale non riceve dallo spiri» tuale l'essere, nè ancora la virtù, che è l'autorità, nè » ancora l'operazione semplicemente, ma bene riceve da

lui questo che più virtuosamente adoperi per lo lume » della grazia, il quale in cielo e in terra gl' infonde la » benedizione del Pontefice ». Qual che si fosse però l'opinione dell' Autore in proposito, certo si è che proponendosi esso di parlare e gridare alla gente, ai dotti ed agl' indotti, doveva farlo adattandosi alle idee ed al linguaggio di lei, massimamente in un Poema polisenso, in cui i vocaboli di doppio e mistico senso, sono più necessari. Ond' egli non solo pose il dì per le cose e pel regno spirituali, e la notte per le cose e pel regno temporali, se

condo l'avviso di lui accennato di sopra (§ XVI); ma pose eziandio il Sole ad indicare il Pontefice, e la Luna ad indicare l'Imperatore o l'Impero, secondo l'avviso d'altri. Così nella lettera ai Fiorentini per la venuta di Arrigo VII. « E vorrete voi invitati da sì folli pensamenti » separarvi quai novelli Babilonesi dal pietoso Impero, » far prova di stabilirne dei nuovi, a talchè l' uno di essi » sia l'Impero Fiorentino, l'altro il Romano. Or via su

dunque, invidiando altresì all' unitade Apostolica fate > prova di romper questa pur anche, così che, se venisse » mai ad esservi una duplice Luna (ossia un duplice » Impero) v' abbia altresì un duplice Sole (ossia Ponte» fice ». E nella lettera ai Principi d' Italia nella venuta dello stesso Arrigo dice di questo Imperatore: « Costui è » colui il quale Pietro, di Dio Vicario, onorare ci ammo» nisce; il quale Clemente, ora successore di Pietro, per » luce di apostolica benedizione allumina; acciocchè ove il » raggio spirituale (del Pontefice) non basta, quivi lo > splendore del minor lume (dell' Imperatore) allumini ». Nel qual luogo è aperto alludersi anche in tal qual modo all' idea e distinzione da noi riportata di sopra, e cioè che la luce comunicata dal Sole alla Luna, non significhi che la grazia a più virtuosamente operare, ricevuta dallo Imperatore per la benedizione del Pontefice. Ed anche la Commedia, Poema polisenso, tolse dentro di se queste metafore e doppi parlari, e perchè il Sole è posto pel Pontefice, così gli accidenti anche favolosi dello stesso Sole, poeticamente pone l' Alighieri a significare sensi mistici corrispondenti, e cioè il corso dritto del Sole naturale, il corso dritto del Sole spirituale, ossia del Pontefice; ed il corso torto del primo mal guidato da Fetonte, il corso torto del secondo; e per tacere di altri luoghi nel XXIX della seconda cantica descrivendo tal qual venuta in trionfo della Chiesa, e

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giunzione di lei al grand' albero posto in cima del monte del Purgatorio, (nel qual albero vedremo in seguito null'altro significarsi che il Romano Impero (§ LXVIII) è detto di quel Veicolo trionfale

Non che Roma di carro così bello

Rallegrasse Affricano, ovvero Augusto
Ma quel del Sol sarìa pover con ello.
Quel del Sol che sviando fu combusto
Per l'orazion della terra devota
Quando fu Giove arcanamente giusto

Nel quale ultimo terzetto, sebbene la parola vada al Sole, od al carro di lui mal guidato da Fetonte, è aperto che l'Autore in realtà e sotto quell' ombra ed allegoria, non intende che di bravare il Pontefice o Pontefici d' allora, che pel traslocamento della Sede Papale in Avignone, già seguito quando dettava questi versi, e per le altre cose che loro rimprovera nel Poema, e massimamente per quella di uscire dal proprio emisfero spirituale invadendo il temporale, (ed intendi quell' apice di autorità civile, che voleva intera nell' Imperatore, e non già la Sovranità propria negli Stati di S. Chiesa), ei pone in errore e fuori di strada, e quindi rassomiglia non più al Sole, che dritto va; ma al carro di lui mal guidato da Fetonte, che svia, е viene perciò percosso dalla giustizia di Giove; giustizia che ei dice arcana, perchè quasi ombra o figura di quella che (forse alla venuta del suo Veltro) secondo la speranza da lui concetta, avrebbe percosso questo nuovo torto corso, di cui favellando anche altrove il rassomiglia appunto apertamente a quello di Fetonte.

Così nella lettera ai Cardinali italiani, vacando la S. Sede per la morte di Clemente V, (e ciò che è detto

de' Cardinali, molto più vuolsi intendere di que' Pontefici) << Vos equidem Ecclesiae militantis veluti primi praepositi » pili per manifestam orbitam Crucifixi currum sponsae » regere negligentes, non aliter quam falsus auriga Faeton » exorbitastis ». A rendere intera la parità, non mancava che la seconda punizione, cioè di questo nuovo torto corso, che l'Autore sperava e intravedeva in quel primo esempio. Ed in vero se nell' ultimo dei due recitati terzetti non fosse allusione alcuna al preteso torto corso sopradetto, ma si toccasse unicamente di quello favoloso di Fetonte, come avrebbe potuto l'Autore, salva l' estetica, parlarne con quel tal qual dolore, anzi sdegno, con cui ne parla? Come dire arcana la giustizia di Giove in punirlo? Come, descrivendo quelle che ei dice alte cose, soffermarsi con tal quale digressione a bravare veramente ed unicamente la mala via di Fetonte presa alla lettera? Il concetto sarebbe pure troppo freddo, e per rendergli il solito nerbo e sapore dantesco, è necessario tradurlo a materia grave, vera e presente. E bene in un Poema allegorico e polisenso, descrivendo come ivi fa il Poeta, l'antico corso dritto della Chiesa tracciato da Cristo (il misterioso Grifone), potè essere bello sotto figure e parole diverse dannare il novello torto corso da lui preteso e prenderne sdegno. Di questi gerghi e doppi parlare retti su date similitudini è pieno il Poema, e in gran parte formano quel senso allegorico, che l' Autore ne accerta trovarsi per tutta l' opera, e di cui finora i Chiosatori non hanno visto e disaminato che piccoli e particolari tratti. Noi in appresso ne dichiareremo più d' uno, sicchè tali dichiarazioni, giovandosi a vicenda, ne resterà anche più dimostrata la presente, a chi per avventura non vedesse per entro alla medesima abbastanza chiaro. Ora aggiungeremo che nella suddetta lettera ai Cardinali italiani, dicendo dello stato misero di Roma e della schiavitù del

Pontefice, dopo il passaggio della S. Sede di là dai monti, così si esprime: « Et si caeteros italos in praesens mi» seria dolore confecit, et rubore confudit; erubescendum » esse vobis dolendumque, quis dubitet, qui causa inso»litae sui vel solis ecclipseos fuistis. »? Ove sotto il nome di Sole è forse indicato il Pontefice ecclissatosi in tal qual modo coll' abbandono di Roma ed il suo passaggio e stabilimento in Francia.

Devesi però avvertire, che sotto questo nome di Sole, il Poeta dice altrove aver inteso, secondo allegoria, Iddio. Su di che è a vedersi ciò che è detto nel Convito, comentando il verso: « Non vide il Sol che tutto il mondo gira » di quella canzone che forma il soggetto del Trattato III. « Qui è da sapere (dice egli Cap. XII) che sic» come trattando di sensibil cosa, per cosa insensibile, si » tratta convene volmente così di cosa intelligibile per » cosa non intelligibile trattare si conviene; e poi siccome » nella litterale si parla cominciando dal Sole corporale e >> sensibile; così ora è da ragionare per lo Sole spirituale

e inintelligibile, che è Iddio. Nullo sensibile in tutto il » mondo è più degno di farsi esemplo di Dio, che il Sole ». E nella Commedia forse più e più volte sotto questo nome allegoricamente ha inteso Iddio; ma ciò non toglie che non abbia anche inteso di significare e ricoprire talora il suo Vicario qui in terra, cioè il Sommo Pontefice, e ciò che sopra si è detto abbastanza il dimostra.

§ XI. Da quanto nel paragrafo precedente si è esposto, appare quanto la indicata lettera d' Innocenzo III, si porgesse ad appoggiare quella superiorità Pontificia, che si accennò sulle cose e sul segno temporale, al qual uopo sono pure a vedersi altre Decretali, e fra queste la Costituzione Unam Sanctam Cap. I. Extravag. Com. de Majorit. et obedientia, e la Clementina Pastoralis Cap. II

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