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Gn.131.14

MAY191886

Gift of Dante Society

PROPRIETÀ LETTERARIA

Coll' appr. dell' Autorità Ecclesiastica.

PREFAZIONE

Non mancherà per avventura chi al solo vedere il titolo di quest' opera, sia piuttosto tentato a riderne, che invitato a leggerne con attenzione il contenuto. E di vero tanti sono gli studii fatti sotto ogni riguardo, intorno alla Divina Commedia, e tanto cospicui e rispettabili i nomi di coloro che si sono in essa occupati, da doversi ormai credere che con successo non migliore di questi, possa alcuno indagarne il vero intendimento: il quale per altro, dalla stessa moltiplicità, e discrepanza dei chiosatori, si è condotti a concludere che, almeno rispetto alla principalissima allegoria, rimangasi ancora ignota. E noi stessi, meno che qualunque altro, saremmo per contraddire all'opinione, quando dalla celebrità dell' Autore, e dalle estrinseche doti del suo lavoro, volessimo prendere argomento di giudicarlo, chè egli contento di rimanersi tra gli stretti confini di quella terra ove nacque (1), non mai si tenne da tanto di far conoscere il suo nome nella repubblica letteraria; nè potè quindi nelle sue elucubrazioni, profittare dei molti vantaggi che hanno

(1) Cotignola.

le grandi città sui piccoli paesi, nè giovarsi della reciproca comunicazione di pensieri cogli scrittori contemporanei. Ond' è che con iscarsa suppellettile di libri, senza conoscere ciò che di più grave hanno scritto i moderni sulle varie allegorie del Poema sacro, e sul cattolicismo dell' Alighieri, e sul sentire di lui intorno alla temporale potestà dei Pontefici, il nostro Autore ideò, e condusse a termine la suo chiosa, prevenendo, e risolvendo in assai acconcia maniera, le principali questioni che sopra Dante furono oggidì sollevate. Al che se aggiungasi il peso delle cure domestiche, e le mille brighe della sua noiosissima professione (1), e l'essere lui mancato ai vivi prima che potesse dare al suo lavoro l'ultima mano, non gli si negherà, crediamo, dai discreti indulgenza sì in quanto a certe imperfezioni di stile, come in quanto alla tessitura, e condotta dell' opera stessa; rendendoglisi poi il merito che gli è dovuto, quando si trovi aver esso raggiunto il suo scopo. Ed è ciò, per verità, ch' egli ha fatto con tale penetrazione e sagacità di giudizio, con tal larghezza ed originalità di vedute, da non lasciar niente a desiderare di meglio, e da dover convenire che questa interpretazione, mentre da una parte fa cadere molte `erronee sentenze, dall' altra conferma vieppiù le verità che dai migliori fur dette, e mette in mano ai lettori una tal chiave, che apre loro nuovi e più riposti secreti, dei quali appena è che s'incontri un qualche cenno negli anteriori comenti.

Ma perchè non paia che, secondo l'uso di molti, vogliasi con vane promesse allettare il benigno lettore, crediamo opportuno darne qui un saggio, benchè ristretto, dal quale si possa fare di quest'opera quella stima che basti a muovere il

(1) Quella di Notaro.

desiderio di conoscerla per intero. Dapprima adunque vuolsi avvertire che scopo di essa è trovare il Soggetto e il Fine vero della Divina Commedia, per averne poi una regola certa, onde si spieghi la prima e principale allegoria intorno a cui si aggira tutto il Poema. Quindi è che dimostrasi Dante fuoruscito e cattolico, ma uomo di parte e Ghibellino, non aver tolto a soggetto e fine del suo cantare, che la necessità, concordia, ed equilibrio dei due poteri ecclesiastico e civile, ossia della Religione e della Monarchia, del Sacerdozio e dell' Impero. Il quale ultimo essendo pressochè venuto meno in Italia a que' tempi, però vedesi il Poeta ora intento a mettere sott' occhio, coi più foschi colori, i disordini e i mali che n'erano la conseguenza; ora a farne ben rilevare e sentire il bisogno di una ristaurazione; ora a mostrarne l'origine e la bellezza, ed esaltarne i diritti.

Conciossiachè con bella esposizione qui si fa chiaro essere sistema politico di Dante: Che come l'uomo è ordinato al doppio fine della temporale ed eterna felicità, così a conseguirlo, uopo è nel mondo di due supremi ed universali governi, dei quali uno dirigga e regoli la società nell' ordine delle cose puramente terrene, e l' altro l'ammaestri e lo guidi in quello delle spirituali e celesti: e questo còmpito Dante assegna alla Chiesa, e quello all' Impero. Il quale, come di gran lunga ad essa anteriore, come quello che a lei preparò la via per istabilirsi fra gli uomini, tutto il suo essere, tutta la sua autorità riceve direttamente da Dio, senza mezzo di alcun suo Vicario. Ond'è che eletto, o meglio, denunziato l'Imperatore, egli è tale con pieno possesso de' suoi diritti, senza che ne si richieda l'approvazione del Papa; nè questo a quello succede Vacante Imperio. Tal è l'ordinamento divino, e chi

il distrugge, distrugge la natura e si rende violento contro Dio stesso. Male adunque, secondo l' Alighieri, (e noi vedremo se tale opinamento era giusto) male adoperavano i Papi di quell' età, negando queste prerogative imperiali, avversando per ambizione di temporale grandezza, gli Imperatori, e mettendosi per ciò alla balla degli Angioini. Di che quello sconvolgimento, e quell' anarchia politica e civile, che turbavano massimamente le città del regno italico, appartenente all' Impero. Or cotale confusione e pessimo stato di cose canta e rappresenta il Poeta nel suo Inferno; il quale, giusta la sentenza allegorica, non è che quello dei vivi, per la mancanza di esso Impero in Italia. Quindi tutte quelle diverse e strane invenzioni, immagini e pene, ond' è quest' inferno costituito. Le quali non debbansi già tenere quasi capricciose creazioni di fantasia poetica, non regolate da altra legge, nè ordinate ad altro fine da quello in fuori di rendere orribile e spaventevole cotesta abitazione de' morti. Ogni cosa nel divino Poema vedrassi anzi, colla scorta di questo libro, assai ben misurata e ben connessa in un modo degno dell' alta mente di Dante, coll' idea sua generalissima e fondamentale del vagheggiato Impero e dal primo fino all'ultimo canto non si incontrerà. alcun più notabile tipo, o simbolo, 0 figura, che il nostro valentissimo interprete non provi essere con molta profonda filosofia a quella accomodato. E vedrassi, a mo' d' esempio, che non per semplice amore e gratitudine del bello stile, preferì Dante di togliere a sua guida Virgilio; nè che il parer lui fioco per lungo silenzio, significhi il poco studio che allora se ne facesse: ma sì perchè fu esso il nobilissimo cantore della Monarchia, e perchè le dottrine che a quella si riferivano, e sostenevanla, erano cadute in ispregio e dimenticanza. Vedrassi ancora messo fuor

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