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d'ogni dubbio ciò che tanti aveano solo sospettato finora, essere cioè il famoso Veltro, l'Imperatore sospirato da Dante. Così le fiere, e i tormenti e i tormentati che seguono; e i nocchi della selva infernale, e i Centauri e Minosse, e le cagne e Capaneo, e il gran Veglio, e Gerione, e Mirra e Gianni Schicchi e gli Alchimisti e i Sodomiti, e Mosca degli Uberti, e Beltram del Bornio, e gli altri tutti appariranno per ben migliori ragioni di quelle dette fin qui, e colla massima convenienza con l'argomento, posti come sono, e introdotti nella Cantica prima.

Poco è nondimeno, a ritrarre gli uomini dal male, il farne loro veder la bruttezza e le conseguenze funeste: vuolsi di più lo stimolo e la speranza del bene che si può conseguire per altra via. Ed in conformità di questo bisogno dell' umana natura, e in relazione al fine della Divina Commedia, ne sarà aperto dal dotto interprete, come il Poeta continuando a stabilire per simboli la necessità dell'Impero, viene mettendo innanzi nel Purgatorio, la viva immagine di un regno ben ordinato, dove l'uomo ritrova la maggiore felicità che gli sia dato raggiungere quaggiù. Ivi una simmetria perfetta, ivi un'esatta e perpetua distinzione dei due poteri, ai quali spetta condurre gli uomini al doppio lor fine. Onde eccovi sopra un'isoletta in mezzo al mare, un monte altissimo, figura dell' Impero, opposto a Gerusalemme figura della Chiesa. Appresso trovate due sezioni del monte medesimo rappresentanti ancora quei due reggimenti. E Catone, l'uomo nato non a se ma alla patria, e a tutto il mondo, (Convito, Tratt. IV, Cap. XXVII) modello di tutte le morali virtù, alla base e custodia della prima : un Angelo, Vicario di Pietro, colle due chiavi, alla base e alla custodia della seconda. Così li due fiumi in contrario cor

renti; così Beatrice e Matilde, (Religione e Monarchia, la destra e la sinistra cura); così il carro tirato dal Grifone, ed il grand' albero; così la valle fiorita degli Imperatori, e cento altri simboli di tal fatta, cui danno una chiara rappresentanza e distinzione del Sacerdozio e dell' Impero; giacchè lo stesso modo, lo stesso pensiero tiene ed esprime il Poeta in tutto il girare del monte. E nella salita di questo vedesi : un popolo onesto, concorde, ricreduto, ed amante del Dualismo; e nella cima un' aura dolce senza mutamento avere in se, in antitesi alla bufera infernale (1). Insomma un vero Paradiso terrestre, ove si gode piena temporale felicità, ultimo scopo della universal Monarchia.

Se non che a più alto ed infinitamente più nobil termine, cioè all' eterna beatitudine, è l'uom destinato e mentre al primo vuol esser condotto dall' Imperiale governo, (concordemente però ai principii, e alle pratiche della Religione) a quest'ultimo la sola Religione lo può innalzare; e però da questo Paradiso terrestre viene a quello del cielo da Beatrice" accompagnato. All' uno perviene l'uomo colla vita attiva, all'altro colla contemplativa: e le delizie di essa, secondo allegoria, formano l'altro uman Paradiso qui in terra, al modo che i gaudii dal Poeta descritti costituiscono la felicità sempiterna. Tutto ciò è impossibile nella condizione di cui rende immagine l'Inferno, dove l' uomo iva correndo alla prima, e alla seconda morte. Ed eccovi così manifesta la ragione della Cantica terza, e il vincolo che alle due anteriori le unisce. Nè in questa pure sono rari i simboli della dottrina di Dante, relativa all' Impero. Se non foss' altro, abbastanza ce la fan

(1) Parole dell' Autore.

manifesta i magnifici versi del C. VI, laddove per bocca di Giustiniano vengono al lettore narrate le imprese ed i successi dell' Aquila e quegli altri ancora del C. XVIII, pei quali altresì sotto la figura di un' aquila, e in ciò che dal Poeta si dice di tale suo venerando segno, ci vien fatta, a così dire, l'apoteosi dell' Impero Romano.

Tal è adunque la vera e principalissima allegoria dell'Alighieri; e chi non avvezzo misurare dal nome il merito degli scrittori, pongasi attentamente, e senza pregiudizii di scuola alla lettura dell' Opera, ne potrà agevolmente rimanere convinto. Conciossiachè il bravo interprete, oltre le prove desunte dal sistema Dantesco, quale si trova esposto nelle sue Opere Minori, moltissime ne reca ricavate dalla storia dei fatti, e dalle dottrine giuridiche di que' tempi; e più altre forse ne trae ancora dall' applicazione particolare di questa allegoria a tutte le parti del gran Poema. Nel che per verità è mirabile l'Autore pei sensi nuovi e reconditi che ne ritrova ed espone, generando sempre ineffabile diletto in chi legge, più acuta rendendo la voglia di continuare, e cavandone eziandio la riprova della sua sentenza, confortato ognora dell' autorità del Poeta. Ma a penetrar bene addentro negli argomenti, ed apprezzarne la forza, uopo è che il lettore non lasci da banda le notizie storiche giuridiche, che stanno a capo dell' Opera, come quelle che vi sono quasi premesse necessarie alla spiegazione dell' intera, e delle singole allegorie.

Noi pertanto non ci peritiamo di asserire che un gran vantaggio ha questo libro sui comenti antichi e moderni, pubblicati finqui, evitandosi in esso, con singolarissima abilità, e con quella chiarezza che distingue chi ragiona sul vero, sì la ristrettezza dei primi, che per lo più attendevano al solo senso

morale di alcuni canti; come i due estremi a cui son riusciti i secondi, giusta i dettami delle opposte scuole che gli inspiravano. Chè siccome gli sfidati nemici, e dubbii amici dei Papi e della Chiesa, hanno fatto ogni sforzo di torcere a significato puramente politico, rivoluzionario ed eretico, la grande Epopea Dantesca, così per contrario, ad impedire gli effetti dell' ermeneutica irreligiosa, e sovvertitrice, uomini di elevatissimo ingegno, di rara sapienza, e di specchiata virtù e religione, si avvisarono di poter ridurre la Divina Commedia ad un trattato della più alta ascetica perfezione. Nè vogliam noi già negare che moltissime e belle verità non vi abbiano questi scoperto, contro le false opinioni di quelli, avendo pure il Poema un significato anagogico: ma con quel rispetto che è dovuto al loro sapere, ed alle sante loro intenzioni, dobbiam qui confessare che troppa estensione ci sembra aver essi dato a questo senso, e però non aver sempre potuto con rigore di logica addimostrare l'assunto, nè uscire dall'ipotetico. Tanto è vero il proverbio che: l'ottimo è nemico del bene. Invece il nostro Autore, tenendosi ognora alla storia, addentrandosi nelle espressioni, e nella maniera di condurre il Poema, ne mette innanzi agli occhi, in modo lucidissimo e incontrastabile, che l'idea fondamentale e costante, quale fu concepita e svolta dall' Alighieri, è quella che a principio dicemmo, della necessità e concordia dei due reggimenti Sacerdozio, e Monarchia. Così la presente chiosa vi scorge tra i due opposti scogli, alla piena intelligenza del tutto e delle parti; e così non toglie coll' esagerazioni il credito alla verità, e vi presenta nella Trilogia Dantesca un Poema sacro ed eminentemente cattolico, sebbene scritto con ispirito di parte, da un uomo qual era Dante fuoruscito e Ghibellino. Chè se molti severissimi tratti

del Poeta contro a diversi Pontefici, hanno dato ai sofisti dei nostri giorni sì forti appigli da farlo apparire nemico del dominio temporale dei Papi, e precursore della Riforma, costoro si vedranno qui mancar del tutto lor possa, dappoichè si fa veder chiaramente che l'Alighieri non avversava no quella Signoria Papale, ma solo quella preponderanza, e quei diritti che, a suo giudizio, essi arrogavansi sopra gl' Imperatori. Dicemmo a suo giudizio, perchè veramente in ciò prendeva abbaglio il Poeta. Infatti, lasciando stare le molte prove che si hanno della supremazia de' Sommi Pontefici sui Principi, l'Impero di cui egli cantava, non era più l'antico Romano Impero, che i Barbari aveano distrutto, sibbene il Sacro Romano Impero di nuovo creato in Occidente dal S. Pontefice Leone III, e da lui conferito a Carlo Magno. Laonde essendo cotesto Impero una creazione dei Papi, posta tutta sulle basi, ed informata dello spirito del Cristianesimo, a loro, come a capi supremi della società cristiana, era devoluta naturalmente l'approvazione degli eletti all' Impero, senza la quale essi non vi acquistavano alcun diritto; e alla mancanza della sede imperiale, i Papi ne restavano i legittimi successori. Oltracciò quest' Impero, ordinato nella sua instituzione, a difendere e proteggere la Chiesa, ma caduto più volte nelle mani de' tristi, avea spesso mancato a' suoi giuramenti e al suo debito, e nequitosamente osteggiandola, faceva ogni opera di conculcare ed estinguere le legittime libertà dei Popoli, di cui la Chiesa non si chiamava soltanto, si era in verità, come è al presente, la tutrice e la vindice. Intorno a questi punti, la storia è troppo chiara, chi la consulti con imparzialità. Quindi appar manifesto che il rivolgersi dei Papi ad altri Principi, ai Re Francesi, ed ai Popoli stessi, per la comune difesa, non che il combattere

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