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INTRODUZIONE.

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Chiunque si faccia a considerare la storia dell' umano incivilimento, vede apparire di quando in quando in ogni nazione un qualche uomo straordinario, non solo per la potenza dell' ingegno, ma anche per lo precoce sviluppo intellettuale. Gli esempii si possono trarre da tutte le letterature, ma io, come italiano, ne citerò alcuni appartenenti alla mia patria; e tralasciando il Poliziano, E. Q. Visconti, il Paganini e molti altri, ricorderò con singolar compiacenza Giotto, Torquato Tasso, Pietro Metastasio e Giacomo Leopardi : artisti assai diversi per indole, per istudi e per sentimento, ma somigliantissimi nelle manifestazioni indicibilmente primaticce delle psicologiche facoltà. È notissimo agli studiosi che Giotto, quando era ancor nell' infanzia e semplice pastorello custodiva il suo gregge, disegnando, totalmente privo d'istruzione, gli oggetti che lo circondavano, fece meravigliar Cimabue; che toltolo alla vita contadinesca, lo dirizzò sul cammino, che lo condusse al tempio della immortalità e della gloria. L'infelice e simpatico autore della Gerusalemme a diciotto anni compose il Rinaldo, che per abbon

danza e vivacità d'immaginazione, sicuro maneggio della lingua nativa e facile vena di stile destò l'Italia a preconizzarlo un grande poeta. E P. Metastasio, coi versi improvvisi, che per le piazze di Roma cantava in età puerile, non preluse al Gravina la sua futura celebrità di poeta melodrammatico; forse dai contemporanei troppo esaltato, come troppo ai nostri giorni morso dalla passionata censura?

Ma più meraviglioso sotto questo rispetto è senza dubbio il Leopardi, di cui prendo a discorrere alquanto distesamente; voglio dire ad esporre i giudizii miei proprii e quelli d'illustri critici italiani e stranieri intorno al merito letterario di quel singolare intelletto.

La qual cosa non potrei fare in modo conveniente, senza toccar prima le più rilevanti particolarità della sua vita; che sono veramente non pur faville che la rischiarano, ma voci alte e faconde, che ne forniscono spiegazioni e commenti.

Giacomo nostro non appartiene alla famiglia degli yomini affaticanti ed arditi, che nelle vicende dei tempi difficili e tempestosi han trovato occasioni a segnalare l'ingegno con le sventure; la sua vita fu tutta quieta, perchè tutta intima; il suo mondo fu il suo stesso pensiero; egli era a sè medesimo l'esca del fuoco, che gli ardeva nell' animo e lo consumava. A Recanati, piccola città della Romagna, posta sopra una ridente collina a poche miglia dall' Adriatico tra Macerata e Loreto, egli nacque il 29 di Giugno del 1798.

Le delizie del luogo lo innamorarono di buon' ora alle bellezze della natura.

<< Se al ciel, s'ai verdi margini,
Ovunque il guardo mira,
Tutto un dolor mi spira,
Tutto un piacer mi dà.

Meco ritorna a vivere

La piaggia, il bosco, il monte;
Parla al mio core il fonte,

Meco favella il mar.» 1)

Suo padre Monaldo era uomo di natura, non solo austero, ma rigido; riverente allo splendore dei natali e delle ricchezze, teneva gli studi e l'ingegno in quel conto che sogliono tenersi gli ornamenti, da cui la persona riceve una vistosa eleganza.

Tenace de' suoi principii (che, al dire di Giacomo, eran del duecento), massime religiosi, non poteva affezionarzi a coloro che ne avessero di contrarii o diversi ; e nutrendo un certo qual sentimento intorno al dominio paterno, che pareva ispirato dall' antica giurisprudenza romana, pretendeva dai figli l'obbedienza, che non discute il comando, non che la spontanea premura nell' interpretarne i desiderii e le voglie. Ma Giacomo, di mano in mano che si nutriva di ottimi studi e di meditazioni, sentiva sempre più la dignità umana sì, che dal rispetto figliale non poteva discompagnare il sentimento profondo della ragionevole libertà, che viene alimentato in noi dalla natura medesima.

Nelle prime sue scuole egli fu governato dai preti, poniamo pure buoni e catolici senza fiele e senza l'ipocrisia dei Farisei, che oggidì vorrebbero farci indietreggiare, dirò col Giordani, «a quella bestiale ignoranza che diede lieti al clero i tempi calamitosi al genere umano. » 2)

Essi nondimeno erano schiavi della tiara; e dovevano quindi promovere un' educazione ed un' istruzione conforme agl'interessi del dominio papale, vo' dire in tutto e per tutto opposti a quelli della patria italiana;

1) Il risorgimento.

2) Lettera al cardinale legato pontificale.

che, già commossa dalla rivoluzioue francese, mandava tacitamente i primi fremiti del suo sdegno sublime contro i tiranni d'ogni specie, sacri e profani, domestici e forestieri.

Ma il fanciullo, come scrive egli stesso, da dieci a ventun anno si era ristretto seco medesimo a meditare, a scrivere e studiare le opere; e a 14 uscito fuori dalle unghie sacerdotali, si fece maestro a sè medesimo; e fin da quel tempo cominciò veramente la vita di quell' ingegno miracoloso e quasi divino. Chiusosi, e direi quasi imprigionatosi nella ricca biblioteca paterna, dove, come si esprime i De Sanctis, entrò recanatese e ne uscì cittadino del mondo 1), perchè in breve tempo divenne uno dei piu dotti filologi dell' Europa, ed uno scrittore italiano così stupendo, da non temere il confronto dei più perfetti tanto antichi quanto moderni.

E le sue produzioni giovanili destavano, per la loro bellezza e la loro vastissima erudizione, la meraviglia dei letterati stranieri; a cagion d'esempio d'Akerblad 2), Walz 3), Creuzer; ai quali pareva incredibile che in Italia vivesse un adolescente pari ad essi nella

1) Saggi critici, Napoli 1874, p. 213.

2) Il dottissimo sved. G. Davide Akerblad scriveva al Cancellieri: Parmi che così erudita opera (Porphyrii de vita Plotini ecc.) di un giovane ancora in tenera età sia di ottimo augurio per l'Italia, che potrà sperare di veder un giorno a comparire un filologo veramente insigne, e da paragonarsi con quanti ne possedea una volta questo bel paese, ed anche quelli, che ancora vanta la Germania e l'Olanda. Dissertazione intorno gli uomini dotati di gran memoria ecc. Roma, Marzo 1815, a pag. 87 e seg. (Cancellieri).

3) Leopardus, comes recanatensis, vir in his litteris inter Italos facile princeps, et quæ seqq. Walz. in epistola critica ad Boissonadium.

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