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Questo secol di fango o vita agogni

E sorga ad atti illustri, o si vergogni. » 1)

Chi non la sente in quella terribile poesia tutta lampi e tuoni e luce funerea, come la chiama il Giordani, alla quale l'eruzione del Vesuvio, stata nell' Aprile del 1835, diede occasione, e ch'egli intitolò « La Ginestra », fiore deserto su la cima del formidabile monte sterminatore di ville superbe e di popolose città?

Pertanto come la filosofia dello sfortunatissimo ingegno, del quale discorro, si nominò giustamente filosofia del dolore, così devesi questo nome in egual maniera applicare alla sua lirica; quella è lo sdegno dell' umana ragione, che si rattrista e corruccia, sentendosi annientare innanzi alla immensità delle cose; questa il lamento armonioso del cuore, che sforzasi d'obbliare e mitigar le sue pene, versandosi tutto nei campi dell' immaginazione, che essa potentemente riscalda ed esalta. Una tal poesia, per l'indole sua, tiene, è vero, il difetto dai critici già notato, che deriva dagli argomenti poeteggiati; i quali essendo tutti flebili e mesti, debbono generare una certa monotonia, che tanto o quanto diminuisce la forza estetica dei concetti. Vero è tuttavolta che il poeta, per la profondissima conoscenza della lingua, sa vestirli con sì grande varietà d'espressioni e presentarli sotto apparenze sempre così diverse, che toglie in parte il menzionato difetto. Parimente alcune volte ravvolge il pensiero in modo che appena lo lascia apparire al lettore che lo mediti attentamente; il che forse proviene dal desiderio ch' ebbe di esprimer con precisione tecnica il pensiero, che aveva nella mente scolpito. Il che possono confermare i seguenti esempii: 1. Noi per le balze e le profonde valli

Natar giova tra' nembi, e noi la vasta
Fuga de' greggi sbigottiti, o d'alto

1) Op. cit. 1 vol. pag. 50.

Fiume alla dubbia sponda

Il suono e la vittrice ira dell'onda.

(Ultimo canto di Saffo) 2. Ma la vita mortal, poi che la bella

Giovinezza sparì, non si colora

D'altra luce giammai, nè d'altra aurora,
Vedova è insino al fine; ed alla notte
Che l'altre etadi oscura,

Segno poser gli Dei la sepoltura,

(Il tramonto della luna)

3. Che divenute son, fuor di te solo,

'Tutte l'opre terrene,

Tutta intera la vita al guardo mio!
Che intollerabil noja

Gli ozi, i commerci usati,

E di vano piacer la vana spene,

Allato a quella gioja,

Gioja celeste che da te mi viene!

(Il pensiero dominante)

Dal predetto desiderio nasce oltre a ciò, come avvisa V. Bacci, una qualche forzata contorsione; che scoprendo l'arte e lo studio dello scrittore, impedisce come che sia l'effetto ch'egli vorrebbe ottenere, dico la vibratezza e nervosità dello stile. Anche qui gioveranno alcuni esempii a rischiarare questa osservazione. 1. O salve, o segno salutare, o prima Luce della famosa età che sorge!

2.

Mira dinanzi a te come s'allegra

La terra e il ciel, come sfavilla il guardo

Delle donzelle, e per conviti e feste

Qual de' barbati eroi fama già vola.

E la possanza

Qui con giusta misura

(Palinodia)

Anco estimar potrà dell' uman seme,

Cui la dura nutrice, ov' ei non teme,

Con lieve moto in un momento annulla
In parte, e può con moti

Poco men lievi ancor subitamente

Annichilare in tutto.

3. Tutti fra se confederati estima Gli uomini, e tutti abbraccia

Con vero amor, porgendo

(La Ginestra)

Valida e pronta ed aspettando aita
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune.

4. Come d'arbor cadendo un picciol pomo, Cui là nel tardo autunno

Maturità senz' altra forza atterra,

D'un popol di formiche i dolci alberghi
Cavati in molle gleba

Con gran lavoro, e l'opre,

E le ricchezze ch'adunate a prova

Con lungo affaticar l'assidua gente

Avea provvidamente al tempo estivo,
Schiaccia, diserta e copre

In un punto:

(Ivi)

(Ivi)

5. Bell' opra hai tolta e di che amor ti rende,

Schiera prode e cortese,

Qualunque petto amor d'Italia accende.

(Sopra il monumento di Dante)

6. Ma voi di quale ornar parola o canto
Si debbe, a cui non pur cure o consigli,
Ma dell' ingegno e della man daranno
I sensi e le virtudi eterno vanto

Oprate e mostre nella dolce impresa?

(Ivi)

7. Beato te che il fato

A viver non dannò fra tanto errore;
Che non vedesti in braccio

L'itala moglie a barbaro soldato;

8. . . . . A' tuoi superbi regni

(Ivi)

Vile, o natura, e grave ospite addetta,

E dispregiata amante, alle vezzose
Tue forme il core e le pupille invano
Supplichevole intendo.

(Ultimo canto di Saffo)

Non voglio ommettere in oltre di osservare che la lirica leopardiana, per la sua natura eminentemente sentimentale, scarseggia d'immagini, di quei pensieri cioè, che secondo la definizione che ne dà Longino nel suo trattato del bello, 1) rappresentano all' anima una specie di pittura. La quale scarsità non leggiermente nuoce all' evidenza poetica, che ammiriamo in molti luoghi del Petrarca, di Dryden, Heine, Lamartine, V. Hugo solo per la vivacità delle immagini, che li fanno mirabilmente spiccare. A questo proposito giovi qui citare un passo della Quarterly Review:

« Leopardi, though he had abundance both of fancy and of imagination, either was not possessed of this peculiar form of the latter gift or had not developed it his impersonations are beautiful, but rather after the manner of statues: they have just so much of life as is sufficient to put his metaphysical conceptions in motion; but we always seem to discover his hand propping them up and moving them on: they have not the flesh and blood reality: he is eminently a subjective poet, and the reader never loses him from view. But he is surely a very great subjective poet, and applies to his work, with a power rarely equalled, all the resources of thought and passion, all that introspective

habits had taught him: he has choice and flowing diction, a profound harmony, intense pathos: and he unites to very peculiar grace a masculine energy and even majesty of expression, which is not surpassed, so far as we know, in the whole range of poetry or of eloquence, and which indeed gives the highest evidence of its prerogative by endowing sentiments, now become trite and almost vulgar through use, with perfect freshness of aspect and the power to produce lively and strong impressions. » 1)

Ma questi sono piccoli néi che spariscono affatto alla luce di tanta bellezza che nella poesia leopardiana risplende disusatamente. Si noti ad esempio la sublime vena di questo luogo della Ginestra:

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Non credo io già, ma stolto

Quel che, nato a perir, nutrito in pene,
Dice, a goder son fatto,

1) Sebbene Leop. avesse abbondanza di fantasia e d'immaginazione, non possedeva la forma peculiare dell' ultima facoltà o non l'aveva sviluppata. Le sue personificazioni sono belle, ma alcun poco a mo' di statue; esse hanno appunto tanta vita, quanta è bastevole a porre in moto le sue concezioni metafisiche; ma sovente pare a noi di scoprire la sua mano a sorreggerle ed a dar loro movimento; esse non hanno la realtà di carne e sangue; egli è un poeta eminentemente soggettivo, ed il lettore non lo perde mai di vista. È però certo un grandissimo poeta soggettivo, ed eseguisce l'opera sua con una potenza di raro eguagliata, con tutti gli ajuti del pensiero e della passione: ha varietà e dicitura scorrevole, una profonda armonia, un pathos intenso; congiunge ad una grazia particolarissima un' energia maschia ed anche una maestà d'espressione, che non è superata in tutto il campo della poesia e dell' eloquenza, e mostra luminosamente la prerogativa ch'egli ha di dare a sentimenti, fatti oggi dall' uso triti e quasi volgari, una tal freschezza, una tal forza ed un aspetto sì nuovo, da produrre forti e vive impressioni.» Marzo, 1850 pag. 311.

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