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E di fetido orgoglio

Empie le carte, eccelsi fati e nove
Felicità, quali il ciel tutto ignora,

Non pur quest' orbe, promettendo in terra
A popoli che un' onda

Di mar commosso, un fiato

D'aura maligna, un sotteraneo crollo
Distrugge sì, ch' avanza

A gran pena di lor la rimembranza. »

Quanta soavità d'affetti in quest' altro:
<< O Nerina! e di te forse non odo
Questi luoghi parlar? caduta forse
Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
Che qui sola di te la ricordanza
Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede
Questa terra natal: quella finestra,
Ond' eri usato favellarmi, ed onde
Mesto riluce delle stelle il raggio,
È deserta. Ove sei, che più non odo
La tua voce sonar, siccome un giorno,
Quando soleva ogni lontano accento
Del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto
Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
Il passar per la terra oggi è sortito,

E l'abitar questi odorati colli. »

(Le Ricordanze)

Qual vivezza d'immagine nel seguente:

« Passata è la tempesta:

Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,

Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,

E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il mormorío,

Torna il lavoro usato.

L'artigiano a mirar l'umido cielo,

Con l'opra in man, cantando,

Fassi in su l'uscio; a prova

Vien fuor la femminetta a còr dell' acqua

Della novella piova;

E l'erbaiuol rinnova

Di sentiero in sentiero

Il grido gionaliero.

Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride

Per li poggi e le ville. »

(La quiete dopo la tempesta).

Non intendo fare di tutte le creazioni del nostro poeta un' analisi estetica, quindi mi limito a questi pochi esempii.

La lingua italiana propria della poesia è, si può con sicurezza affermare, diversa in buona parte dalla prosastica in ciò che appartiene ai vocaboli ed ai costrutti; ed in ispecie alle frasi, in cui propriamente consiste l'indole d'una lingua. Qualunque ne sia la ragione, egli è un fatto che i poeti usando certe voci e certi modi di dire cadono nella prosa; e di questo fatto abbiamo a' nostri giorni una prova lampante in certi scrittori, che volendo riuscire poeti, come dicono, popolari, riescono invece triviali e plebei. La lingua del Leopardi non ha niente del popolare, nelle sue poesie; ma è sceltissima, conveniente ai pensieri ed agli affetti, che vuole esprimere. Per questo nelle sue composizioni ammiriamo quella semplicità, che nulla velando, come dice Plinio, genera l'evidenza e la poesia dello stile; differente in ciò da tutti i migliori poeti italiani del nostro secolo, non escluso il Monti, il quale egli deve

cedere unicamente nell' incanto dell' armonia, per cui non ha pari nelle Lettere Italiane.

E gli fu conceduto di poetare con tanta semplicità per la rara perizia della sua lingua; essendo verissima l'asserzione del suo caldo ammiratore ed amico Ranieri: « La forma vera e spontanea in cui quel prodigioso ingegno si manifestò, e nella quale noi dobbiamo veramente studiarlo, fu la lingua italiana odierna. In questa egli sciolse l'antico problema di dire tutto puramente e potentemente; e mostrò che il grande scrittore dee e può essere giusto sovrano e non oppresso suddito della lingua. Mai nessun linguaggio umano non ubbidì più spontaneamente a nessun uomo di quel che la nostra lingua obbedisse a questo inimitabile scrittore » 1).

Il suo stile poetico non potrebbe paragonarsi ad alcun altro, anche dei più perfetti, tanto è suo, e tanto acconcio e proprio alla novità degli argomenti trattati. << Forte ed avventato, scrive ancora il Ranieri, nei primi sdegni concitati in lui da quel dolore ch'egli sentiva palpitare non meno nella sua propria vita che nell' universale, fiero e terribile nella disperazione che gliene seguì, grave ed ineffabilmente semplicissimo nel sopore della stanca rassegnazione ch'ultimamente lo invase, il suo stile rappresentò a un tempo la varietà, l'unità e la perfezione dell' universo, disse tutto in tutti i modi in cui poteva essere detto, e fu grande e vivo esempio che la parola umana è, se può arrischiarsi il vocabolo, la sintesi del mondo, e si arresta solo nel confine che separa il mondo dall' infinito » 1).

Mi sembra inoltre fondata la riflessione che si legge nell' Allgemeine Zeitung del 1840:

1) Notizie intorno Leop. Op. di L. Brockhaus 1861. Pref.

p. 9.

<< Dass die Muster, nach denen Leopardi seinen meisterhaften Styl sowohl in Vers als Prosa gebildet, vorzugsweise die Alten sind, wird den Lesern gewiss nicht entgangen sein; und insbesondere nicht, dass seine Canzonen auf den Spuren Pindars wandeln. . . . Es ist dieselbe kühn gewählte göttlich strenge Nothwendigkeit der beschreibenden Ausdrücke; dasselbe unzerreissliche Sichverschlingen der einzelnen Wörter in dem einen grossen Worte des Satzes; dieselbe sich entgegenstrebende Verschränkung dieser Sätze mit Cadenz und Rhythmus; dieselbe melodisch erschütternde Verknüpfung von Stillstand und Fortgang, so dass nun die Strophe wie ein gleitender Strom von Abgründen, mit Schlag auf Schlag neben einander aufspringenden Bildern, kein Hauch ohne Absicht, kein Apostroph ohne Gedanken. . . .» 1)

Dopo i quali giudizii io non dubito ad ogni modo di affermare che il Leopardi non modellò il suo stile, come il Brandes 2) vorrebbe, anche su gli scrittori nordici, e particolarmente sopra gli inglesi, e ch' egli si aveva proposto a modello specialmente la Divina Commedia,

«

1) << Non sarà certamente sfuggito ai lettori che i modelli sui quali formò Leopardi il suo stile artificioso, sì nel verso e sì nella prosa, sono preferibilmente antichi e che le sue Canzoni seguono specialmente le tracce di Pindaro. Vi si ravvisa lo stesso bisogno ardito, severo delle espressioni descrittive; lo stesso intrecciamento indissolubile delle singole parole intorno alla parola principale della proposizione; lo stesso incrocicchiamento di esse proposizioni colla cadenza e col ritmo; lo stesso annodamento sentito e armonico di riposo e continuazione, in modo che la stessa strofa scorre innanzi precipitosa come un torrente, con immagini ripetute e nuove ; nessun respiro senza uno scopo, nessun apostrofo senza pensiero » Beilage Z. A. Z. 10 Sept. 1840. Nr. 254.

2) Ausser an den Alten hat sich Leop. an der Poesie der nordischen Völker, namentlich der Engländer gebildet, . . . Oper. cit. pag. 56,

<< Se io vorrò seguir Dante, forse mi riuscirà di farmi proprio quel linguaggio e vestirne i pensieri miei e far versi, dei quali non si possa dire, almeno non così subito, questa è imitazione ». 1)

S'intende che l'imitazione, a cui mirava il nostro poeta, e che realmente ha messo in opera, è quella dei grandi ingegni, che studiando e meditando il loro esemplare, v'imparano il modo di legger profondamente nel libro della natura e concepire e dipingere le sue meraviglie con quei colori che sono sempre vecchi e sempre nuovi nel medesimo tempo. E ben soleva dire egli stesso, che quando uno scrittore piglia in mano la penna, deve possibilmente dimenticare che al mondo. esistono libri e manifestare il proprio concetto come gli viene con ispontaneità nella mente. All' imitazione dantesca, da lui fatta nel modo sopraddetto, egli poi non iscompagnò quella dei trecentisti, apprendendone ciò che appartiene alla schiettezza e al candore, lumi non più riapparsi nelle età susseguite; e quella dei cinquecentisti, che se ne rifecero largamente con gli altri a poco a poco recati nello stile dal progresso degli studi e dalla filosofia; come sono la copia, la forza, la gravità, la grandezza e quel color nazionale, che gli difettava ne' primordii della lingua e l'artificio estetico che si loda nei migliori poeti del secolo decimosesto. E per le cose dette io son d'avviso che lo stile del Leopardi non è imitabile; perchè se è vera la sentenza che lo stile è l'uomo, il leopardiano è per guisa improntato del suo cuore, de' suoi pensieri, delle sue collere, in breve di tutto ciò che costituiva il carattere singolare di quell' uomo infelicissimo, che nessuno potrebbe imitarlo senza correr rischio di farsi ridicolo.

Il nostro poeta si mostra originale insin nell' or

1) Epist. I Lett. 12. p. 42-43.

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