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4. «Di cotesti effetti veramente io non so altro se non che di tanto in tanto io levo a te la luce del sole. » (Ivi.) 5. «Gli propose di scendere tutti e due congiuntamente verso la terra, e posarsi a caso nel primo luogo che

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in ciascuna delle cinque parti di quella scoprissero

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abitato dagli uomini. >>

(La scommessa di Prometeo). 6. << Indirizzandosi primieramente al nuovo mondo;

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come quello che pel nome stesso, e per non avervi posto piedi insino allora niuno degl' immortali,

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stimolava maggiormente la curiosità.»

(Ivi).

7. «Nè anche ho parlato con alcuno che fosse im

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mortale; e fuori che nelle favole non trovo no

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tizia di persone di tal sorta. »

(Dial. di un fisico e di un metafisico).

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8. «Ma dalla molestia degli uomini mi liberai facil

mente, separandomi della loro società e riducendomi in solitudine. >>

(Dial. della natura e di un islandese).

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9. «In maniera che dell' avere uguali o non averne,

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e di essere nel primo luogo o nell' ultimo,

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io non mi curo molto.>>

(Il Copernico).

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10. «Il pensiero solo di potere ad ogni sua voglia

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sottrarsi dalla miseria, saria tal conforto ecc. >>

(Dial. di Plotino e di Porfirio).

In conclusione potrebbesi veramente applicare, e forse con più ragione, all' eloquenza leopardiana l'encomio ch'egli diede all' apologia di Lorenzino de' Medici:

« Vedete se questi pare contemporaneo di quei miserabili cinquecentisti ch' ebbero fama d'eloquenti in Italia al tempo loro e dopo; e se par credibile che l'uno e gli altri abbiano seguito la stessa forma d'eloquenza. Dico la greca e la latina che quei poverelli a forza di sudori e d'affanni trasportavano negli scritti loro così a spizzico e alla stentata ch'era uno sfinimento, laddove costui ce la porta tutto di peso, bella e viva, e la signoreggia e l'adopera da maestro, con una disinvoltura e facilità negli artifizi più sottili, nella disposizione, nei passaggi, negli ornamenti, negli affetti e nello stile, e nella lingua (tanto arrabiata e dura presso quegli altri per gli affettatissimi latinismi), che pare ed è non meno originale di quegli antichi ai quali tuttavia si rassomiglia come uovo ad uovo, non solamente nelle virtù, ma in ciascuna qualità di esse.» 1)

Nondimeno mal si potrebbe difender validamente la prosa del Leopardi da certe leggiere mende, che la critica imparziale vi scorge. E prima un po' di quella tal quale oscurità, ch'egli trovava negli scritti dell' amico Giordani; che nasce (userò le sue stesse parole) non da veruna affettazione o da negligenza, o da vizio nessuno, anzi dalla virtù dello scrivere, come dall' accuratissima fabbrica e stretta legatura de' periodi, che

1) Epist. 1. L. 78.

affaticano alquanto il lettore, e di tratto in tratto lo sforzano a rileggere qualche periodo, volendo tener il filo de' ragionamenti, e seguire i [tuoi] concetti pellegrini e rimoti dall' uso comune. Il che forse accade, perchè massime negli scritti filosofici e scientifici e didascalici siamo troppo assuefatti a una sciolta e larga dicitura, che tanto giova alla facilità, quanto pregiudica alla forza e alla bellezza. » 1)

E basterà qui trascrivere un passo, tolto dalla Comparazione delle sentenze di Bruto minore e di Teofrasto, a provar vero il giudizio, da me seguito; avvertendo che quel tanto d'oscurità deriva appunto da ciò che Leopardi nota, vo' dire da quella pienezza e stretta colleganza d'idee, qualvolta solo apparente, cioè tale che costringe il lettore ad un' attenzione, che tanto o quanto stanca:

<< Forse per questi ragionamenti alcuno conchiuderà che Teofrasto avesse a far professione di poco affezionato agli errori naturali, anzi che dal canto suo dovesse provvedere cogl' insegnamenti e colle azioni di sequestrarli dall' uso domestico e pubblico della vita, e di stringere gli effetti e la signoria dell' immaginativa, allargando i termini alla ragione. Ma s'ha da sapere che Teofrasto fu ed operò tutto il contrario. In quanto alle azioni, abbiamo in Plutarco nel libro contro Colote, che il nostro filosofo liberò due volte la sua patria dalla tirannide. In quanto agl' insegnamenti, Cicerone dice che Teofrasto in un libro che scrisse delle ricchezze, si distendeva molto a lodare la magnificenza e l'apparato degli spettacoli e delle feste popolari, e metteva nella facoltà di queste spese molta parte dell' utilità che proviene dalle ricchezze. La qual sentenza è biasimata da Cicerone e data per assurda. Io non

1) Epist. 1 Lett. 141.

voglio contendere con Cicerone su questa materia, se bene io so e vedo ch'egli si poteva ingannare e tastar le cose con quella filosofia che penetra poco addentro. Ma l'ho per uomo così ricco d'ogni virtù privata e civile, che non mi basta l'animo d'accusarlo che non conoscesse i maggiori incitamenti e i più fermi propugnacoli della virtù che s'abbiano a questo mondo, voglio dir le cose appropriate a stimolare e scuotere gli animi ed esercitare la facoltà dell' immaginazione;

ecc. »

Oltre a ciò lo studio sommo che il Leop. poneva nella sua prosa e che egli sa nascondere con bell'arte, vi cagionava un altro piccolo difettuccio, che pareva di sentirvi anche al Giordani medesimo, il quale lo giudicò così fatto « che non può accorgersene l'autore: cioè che non sia abbastanza sciolta e fluida. » 1)

Del che solamente il buon gusto può esser giudice; ma per mostrare ciò che intendo, reco un esempio, dal quale chi che sia potrà facilmente afferrare il mio pensiero:

<< Per la qual cosa e per le presenti condizioni del viver civile, si dileguano facilmente dall' immaginazione degli uomini le larve della prima età, e seco le speranze dell' animo, e colle speranze gran parte dei desiderii, delle passioni, del fervore, della vita, delle facoltà. Onde io piuttosto mi maraviglio che uomini di età matura, dotti massimamente, e dediti a meditare sopra le cose umane, sieno ancora sottoposti alla virtù dell' eloquenza e della poesia, che non che di quando in quando elle si trovino impedite di fare in quelli alcun effetto. Perciocchè abbi per certo, che ad essere gagliardamente mosso dal bello e dal grande immaginato, fa mestieri credere che vi abbia nella vita umana

1) Epist. 2. Giord, a Leop. Lett. 45.

alcun che di grande e di bello vero, e che il poetico del mondo non sia tutto favola. Le quali cose il giovane crede sempre, quando anche sappia il contrario, finchè l'esperienza sua propria non sopravviene al sapere; ma elle sono credute difficilmente dopo la triste disciplina dell' uso pratico, massime dove l'esperienza è congiunta coll' abito dello speculare e colla dottrina. » (Il Parini ovvero della gloria, c. IV).

Nel qual luogo, per la moltiplicità dei pensieri, appare una certa cura dello scrittore ad esprimerli tutti ed intrecciarli, che gli scema l'impeto e la facilità dello stile.

Ad alcuno par finalmente che allo stile del Leopardi manchi vivezza e calore; e Bouché-Leclercq così asserisce: « Ce qui manque peut-être au style si parfait de Leopardi, ou du moins ce qu'un Français voudrait y trouver, c'est un peu de vivacité et de chaleur. Sans doute, il ne faut pas demander à la période italienne, à laquelle le goût national impose toujours une certaine rondeur, les vives allures et le ton dégagé que prend volontiers la phrase française dans les ouvrages de fantaisie. Le style à la française, tel qu'on le rencontre par exemple dans les œuvres de Cesarotti, a été définitivement condamné au-delà des monts par l'expérience: on le trouve trop haletant, trop disloqué, trop dédaigneux des transitions et des soudures, qui groupent les propositions secondaires autour de l'idée principale. Un Michelet italien est impossible. Cependant il me semble rencontrer dans la prose des Oeuvres morales un excès de solidité et de méthode qui ne répond guère aux exigences du dialogue, la forme préférée de l'orateur. De là une certaine froideur que Giordani constate lui-même et qui, pour être voulue peut-être, n'en est pas moins apparente. » 1)

1) Opera cit. pag. 186-187,

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