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AVVERTIMENTO

Dopo la battaglia di Pavia (24 Febbraio 1525) nella quale Francesco I di Francia rimase, come è noto, prigioniero di Carlo V, i Principi Italiani, spaventati per tanto accrescimento della potenza imperiale, strinsero fra loro la lega santa, alla quale, dopo il sacco di Roma (6 Maggio 1527) presero similmente parte, a nome del Sacro Collegio, i Cardinali che trovavansi in libertà, aderendovi lo stesso Francesco I non appena ritornato nel regno, ed Enrico VIII d'Inghilterra, il quale, pel disegno già concepito di ripudiare la consorte Caterina d'Aragona, conosceva inevitabile l'inimicizia di Carlo V, nipote di essa regina.

Condizione precipua della lega era liberare l'Italia dalle armi imperiali onde l'indipendenza dei singoli Stati rimanesse assicurata, ripristinare lo Sforza nel possesso di Milano, e conseguire la restituzione dei figli di Francesco I, statici in Ispagna. Al Re d'Inghilterra poi, invitato non pure come parte, ma come protettore della lega, era pattuitá una rendita di trenta mila ducati sul reame di Napoli, quando fosse stato ritolto agl' imperiali, ed una similmente di dieci mila al Cardinale Wolsey per gli uffici che le parti contraenti ne attendevano a mantener in fede il suo Re.

Ora, essendo già dalle armi della lega rotte in Italia le ostilità, e avendo l'Ambasciator veneto in Inghilterra, Marco Antonio Venier, sollecitato il proprio richiamo, il Senato, cui stava grandemente a cuore di tener ferma nella lega quella corona, elesse a sostituirlo, nell' Ottobre 1528, Lodovico Falier, nel tempo della cui legazione intervenne la pace di Cambrai (5 Agosto 1529), delle cagioni e conseguenze della quale non è qui Juogo di far parola.

Il Falier si trattenne a quella Corte fino al 1531, come dice da principio egli stesso, e come si conferma da quanto vien discorrendo nella Relazione, della quale sarà letta con piacere la parte principalmente, che si riferisce al famoso Cardinale Eboracense, ed al fatale dissidio onde Enrico VIII venne distaccandosi da quella fede, della quale Leone X lo avea intitolato difensore.

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quanto giovamento sia sempre stato ad una bene istituita Repubblica, Sereniss. Principe (1), Prestantiss. Padri e Signori miei Eccellentiss., sapere il particolar governo de' potentati, l'animo e disposizione loro, la diversità dei regni, il sito e le parti delle provincie, i costumi e le varietà popolari, da Vostra Serenità, per la somma sua sapienza e da Voi, miei osservandiss. Padroni, è benissimo conosciuto. Quindi nacque l'antica e buona consuetudine della pubblica relazione, dai primi nostri progenitori sapientissimi introdotta, da' vecchi necessariamente abbracciata, ed ora da questo invittissimo Senato confermata e posseduta. Proseguendo io adunque sì lodevole usanza, con buona grazia di V. S. e delle SS. VV. EE., dirò in poche parole quello che in questa mia legazione da lei commessami ho osservato essere degno dell' orecchie sue ed utile alla Repubblica nostra. Ed acciocchè meglio intendere si possa questo mio ragionamento, lo dividerò in due parti principali, l'una relativa al viaggio mio, l'altra alla grande altezza di Enrico VIII, al modo del vivere e del governo del suo regno, nella maniera ch' io l'ho trovato dal 1528 sino al 1531.

(1) Il Doge Andrea Gritti.

Nel mezzo di Ottobre del 1528, avuta grata licenza da Vostra Serenità, mi misi in cammino, ed in spazio di pochi giorni giunto a Lodi, dove si ritrovava Francesco Sforza Duca di Milano, fui insieme col magnifico Ambasciator Venier per salutarlo; e perchè il Signor Duca per l'indisposizione sua non prestava udienza ad alcuno, indotto ancora dal consiglio del magnifico Oratore, il quale scusandomi fece poi l'officio in loco mio con maggior comodità di Sua Eccellenza, e sforzato dal tempo pericoloso per l'esercito Cesareo de' nimici, li quali continuamente scorrevano sino presso Pavia, continuai il mio viaggio, e con grossa banda di cavalli leggieri di Sua Eccellenza sicuramente pervenni a Castel Sant'Angelo non molto lontano da Pavia; alla quale approssimatomi, ritrovandosi ivi, non molto dappoi l'espugnazione di essa (1), l' Illustrissimo di Urbino, Generale di Vostra Serenità all' esercito confederato, e presentendo la venuta mia difficile rispetto alli nemici, colla presenza sua la facilitò, e m' incontrò conducendomi sicuro nella città poco innanzi da lui gagliardamente oppugnata e presa: ed acciocchè in parte fossi testimonio di così onorevole e lodato acquisto, volle che io quietamente entrassi per le batterie e ruine istesse da lui fatte, per le quali esso, vittoriosamente combattendo, riportò glorioso trionfo. Trattenutomi quivi quattro giorni, che così volle l'Eccellentiss. d'Urbino, per cauzione maggiore dell' esercito e mia, poichè io l' ebbi a nome di V. S. affettuosissimamente salutato, mi dette una banda di cavalli, colli quali passato il Tesino, riposassimo la notte a Voghera. Indi poi la mattina levati, in ordinanza di combattere marciassimo insino a Cassano, dove si ritrovava Antonio da Leyva con gran parte dell' esercito Spagnuolo; una grossa compagnia del quale, benchè da noi

(1) Pavia fu ritolta agl' Imperiali dalle armi della lega il 19 Settembre 1528 capitanando i Francesi il duca di S. Polo, e l' esercito Veneziano il duca d'Urbino, Francesco Maria.

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fusse poco discosta, non osò però provocarci alla scaramuccia, temendo non vi fosse tutto l'esercito di Vostra Serenità con quello della Lega; di modo che sicuri, la Dio mercè, pervenissimo in Alessandria, dove lasciate l'armi, riposatamente mi ridussi alla continuazione del viaggio; e cavalcato il grand' Appennino (le Alpi) venni a Ciamberì città principale della Savoja; nella quale risedendo l'Eccellentiss. Signor Duca, a nome di V. S. lo visitai, il quale mi raccolse molto amorevolmente e con grande umanità, mostrandomi di essere molto obbligato alla Repubblica nostra. E perchè non mi pare uscir di proposito, dirò quattro parole di Sua Eccellenza, persuadendomi a questo il tempo ed il non piccolo Stato suo. Sappiate, Principe benignissimo, e voi giustissimi Padri, qualmente l'Illustrissimo di Savoja (1) è uomo di piccola persona, gobbo, di faccia brutta, d'anni quarantacinque; tiene uno Stato assai grande a piè dei monti collocato, povero e sterile per il sito alpestre, ma ricco mediocremente di uomini da guerra: confinan seco a mezzogiorno il Delfinato, a tramontana gli Svizzeri e Borgognoni, a ponente li Lionesi. Della corte di S. E. non posso se non parlarne singolarmente; della bellezza della Principessa più oltre non si può passare (2). Della parentela ognuno sa ch'ella è sorella del Re di Portogallo, e conseguentemente il Duca è cognato di quella Maestà. Ha diversi figliuoli, e il maggiore di anni otto (3); egli è zio del Re Cristianissimo (4), presso il quale vi è l'altro fratello di S. E. ora fatto Duca di Nemours, con entrata di

(1) Carlo III detto il Buono.

(2) Beatrice, figliuola di Emanuele re di Portogallo, della quale dice il Boldù nella sua Relazione di Savoja del 1561, che come del corpo era bellissima, così fu d'animo molto altiera, e cagione di molti danni allo Stato.

(3) Morirono poi tutti fuorchè l'ultimo, nato appunto il dì 8 Luglio di

quell'anno 1528, che fu il grande Emanuele Filiberto.

(4) Per Luisa di Savoja, sorella di esso Duca, della quale nacque Francesco I re di Francia.

ducati venticinque mila, maritato nella sorella di Monsignor di Lungavilla: in somma egli è gran Principe, e grandemente amato dai sudditi suoi, li quali tanto più volentieri vivono sotto l'ombra sua, quanto manco degli altri sono angariati.

Lasciata la Savoja, mi trasferii a Lione, città tanto famosa e mercantile quanto ogn' altra, e poi a Montargis, donde spacciai un corriero a Melone (Melun) con mie lettere all' Eccellentiss. Giustiniano, oratore di V. S. appresso S. M. Cristianissima, per intender la commissione mia d'Inghilterra; al ritorno del quale io l'ebbi colle lettere di V. S., per le quali mi era commesso che avanti la partita mia di Francia dovessi inchinarmi a S. M. Cristianissima, e salutare li Principi del Regno. Per la qual cosa come ubbidientissimo servitore di V. S., in osservanza de' mandati suoi, ripresi il cammino verso Melone per essere insieme col Clarissimo Giustiniano, al quale di ciò a pieno ragionato, ci risolvessimo di prima mandare il segretario Canali alla Corte, che era in Fontanableò sul dilettevole spasso della solita sua cacciagione tra boschi e fiere; il quale abboccatosi col Gran Maestro, ed espostoli la causa della venuta, gli rispose quegli qualmente S. M. di corto sarebbe a Parigi, dove rimetteva l'udienza mia fermamente. In Parigi adunque a S. M. Cristianissima introdotto, e fattogli quella debita riverenza che' a tanta Corona si conviene, con la maggior efficacia che la natura mi ajutò, apersi l' intrinseco del cuore di V. S. e della Repubblica nostra verso S. M. Cristianissima, dalla quale mi fu, oltre le grate accoglienze, con grand' amorevolezza di parlare corrisposto; dicendomi, che in fatto conosceva la fraterna amorevolezza di questo Dominio, e come quegli che in tutte le richieste era restato a pieno satisfatto, gli rimaneva di continuo obbligatissimo; soggiungendo che se Cesare non discenderà alle oneste condizioni della pace, seguirebbe la guerra

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