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rare e dirigere le sorti della Chiesa Cattolica, e che perciò appunto sta per decidere, se le nazioni occidentali d'Europa, quali sono ai nostri giorni politicamente e socialmente costituite, e con le loro presenti costumanze ed istituzioni, hanno o non hanno più una religione.

II.

Importanza di quest' Assemblea.

1. Fin qui la parte esteriore, che per la sua forma fu splendidissima, e vinse ogni aspettazione. Certo è che il vedere all'invito del Papa radunarsi e inchinarglisi dinanzi tante dignità venute d'ogni parte della terra; l'incontrarsi, secondo quel che giustamente notava uno scrittore francese, sul limitare del Vaticano il patriarca di Babilonia ed il vescovo di Chicago, il mondo passato ed il mondo avvenire a traverso un presente che è tutta una civiltà, in un pensiero che comprende tutta un' èra, è cosa non poco mirabile. Ma se si scende sul nudo terreno dei fatti, e se dalla forma esteriore si passa a contemplare la sostanza, il vescovo di Chicago non rappresenta una Chicago cattolica, più che quello di Babilonia non rappresenti una cattolica Babilonia. E ciò sarebbe men male, che questi due estremi non rappresentassero due società cattoliche; ma quanti altri vescovi non sono nelle stesse condizioni? Tacendo anche di tutti vescovi in partibus infidelium, che cosa rappresentano i vescovi americani in attenenza coi titoli delle loro diocesi? Che cosa rappresenta innanzi

alla Chiesa Cattolica, ossia universale, l'arcivescovo di Nuova York? Ma lasciamo anche le nazioni acattoliche quanti sono i vescovi francesi che si sentono realmente pastori di tutto o della maggior parte del loro gregge? e che sieno la rappresentanza reale di una vera società cattolica, o almeno di una reale maggioranza cattolica? Questa condizione si riscontra ancora con un certo carattere generale fra le principali nazioni d'Europa solo in Italia, e meglio in Spagna, e, se si vogliono riguardare come nazioni, in Irlanda ed in Polonia, e finalmente con un carattere meno esclusivo, ma più profondo e più illuminato, in alcune parti della Germania.

2. Se l'Occidente è rimasto cristiano, pure incominciando dall'ottavo secolo che, tranne passeggere e parziali dissidenze, fu il punto massimo della cattolicità o universalità di una forma cristiana comune, si sono da questa a grado a grado distaccate, secondo certi caratteri e certe tendenze, alcune grandi nazionalità, o meglio schiatte, nè i Concilii valsero ad impedirlo. Nè il quarto Concilio di Costantinopoli, nè più tardi quello di Firenze, valsero a impedire lo scisma d'Oriente, che fu la prima fase di disunione; nè il Concilio di Trento valse a ricondurre all' unità le schiatte germaniche ed a frenare il Protestantesimo, che fu la seconda fase di disunione e costò alla Chiesa Cattolica la Germania, l'Inghilterra, la Scandinavia e potenzialmente l'America e l'Australia. La terza fase che minaccia ormai da pressochè un secolo il Cattolicesimo nei paesi che gli son rimasti, è ciò che chiamasi, perchè non ha ancora un nome, col generico nome di

rivoluzione. Qual sarebbe il contegno del Concilio Vaticano in questa nuova fase, a fronte di questa gravissima minaccia, era il problema, di cui, dacchè quello fu convocato, ognuno si proponeva la soluzione. Procederebbe esso per scelta o per eliminazione? Prenderebbe esso il limite più largo per abbracciare un maggior numero d'uomini nella Chiesa, o il più stretto, gettandone così il più gran numero nella rivoluzione? Questi sono i pensieri che occupavano tutte le menti non afflitte dalla malattia del tempo; poichè per costoro il momento e la questione sono assai gravi, più gravi che non sembri agli osservatori superficiali conviene ripeterlo, si tratta di sapere, se le nazioni cattoliche d'Europa avranno o no una religione, non una forma estrinseca e nominale, ma una religione reale, comunemente sentita, che si manifefesti nelle loro azioni e che sia concorde con le loro costumanze ed istituzioni.

3. Se il Concilio di Costantinopoli non impedi lo scisma d'Oriente, nè quello di Trento la riforma d'Occidente, non è men vero che altri Concilii, con più o meno difficoltà, trionfarono finalmente e conseguirono l'intento, per il quale si erano convocati. Così Nicea, Efeso e Calcedonia vinsero, sebbene più tardi, e non rimane segno dei nemici da essi combattuti. Chi volesse trovare una ragione plausibile, poichè ve n'ha in ogni cosa, potrebbe non senza fondamento rinvenirla in questo: cioè, che ogni qual volta la Chiesa ebbe a fronte un mero errore di giudizio, il quale non aveva dietro a sè altra ragione di esistere che una differenza d'opinione, lo vinse con più o meno agevolezza, se

condo la sua maggiore o minore gravità e importanza, perchè in quel caso l'autorità compendiava in sè e rappresentava alla fine la gran maggioranza dell'opinione e degl' interessi cattolici, che all' unità volentieri sacrificava queste differenze meramente speculative. Quante volte invece la Chiesa ebbe a fronte grandi interessi, e tendenze generali o parziali, ma poderose e peculiari di alcuna schiatta o nazione, e l'errore o nacque o prese il pretesto da esse, e ne divenne finalmente la manifestazione; allora quelle fortificarono questo, e per la possanza delle prime il secondo trionfo. Come non riconoscere nei due grandi scismi che hanno diviso il Cristianesimo, la manifestazione di due sentimenti antichi quanto il genere umano, l'orgoglio del passato e l'impazienza dell'avvenire? Chi non ravvisa nel primo l'intolleranza del vecchio giogo e nel secondo la ritrosia al nuovo? Se a ciò si aggiungono le combinazioni secondarie e i grandi interessi che vi si strinsero intorno, si avrà il giusto valore di tutte le forze che combatterono nel campo teologico, perchè soprattutto a quei tempi non potevano dispiegarsi altrimenti.

4. A quale dei due casi risguarda lo stato presente? In quali condizioni intrinseche ed estrinseche si adunava il Concilio Vaticano per provvedervi, e quale azione avrebbe esso sopra l'andamento della società e della Chiesa? Il rispondere alla prima dimanda non è difficile, poichè non v'ha dubbio che dietro ogni questione che si possa proporre al Concilio, ne sta una sociale di grandissimo momento oggidì, e che porta con sè un vasto corredo di tendenze e

d'interessi vivissimi. Quanto alla seconda, all' apertura del Concilio era ancora assai difficile dare una risposta adequata, e non rimaneva, pur volendo fare alcuna congettura, se non che riandare quel che aveva preceduto ed anche quel poco che già era avvenuto del Concilio stesso, e che era già di pubblico diritto, a fine di trarne qualche lume e formarvi sopra un criterio approssimativo.

5. Dalla sua origine in poi la Chiesa non ebbe mai un così lungo intervallo come questo senza un Concilio Ecumenico. Di ciò molte ragioni potrebbero addursi, tratte dal poco desiderio che se ne senti per la calma succeduta alla tempestosa crisi della Riforma, e per l'indifferenza religiosa che prevalse negli ultimi secoli, come anche dalla poca convenienza che dopo l'ultimo esperimento del Concilio di Trento tutti gl'interessati vedevano a riunirlo, essendone i vescovi usciti, abbenchè raffermati, menomati di autorità, non avendo il Papa nessuna buona ragione per intralciare e rimettere più oltre a prova la sua. Ma la ragione più semplice, senza dilungarsi in molti particolari, si è che da monarchia, per così esprimerci, abitualmente costituzionale, con successiva e progressiva esplicazione la Chiesa uscì dal Concilio di Trento costituita a monarchia solo occasionalmente temperata; quindi il niun bisogno, anzi una certa ripugnanza alla riunione dei suoi Stati Generali. Se per nuova esplicazione essa procedesse definitivamente alla monarchia assoluta, il Concilio Vaticano sarebbe forse l'ultima sua assemblea deliberante, e queste adunanze, cambiando natura, diverrebbero assolutamente con

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