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timi tratti, come suol dirsi che al poscritto si conosce l'intenzione della lettera, si ravvisa lo spirito che animava gli scrittori dello schema. Quel sospetto sistematico e quelle infinite precauzioni contro tuttociỏ che sa di ragione; e l'invocazione intempestiva in un atto d'indole affatto dottrinale e speculativa, com'è il decreto di un Concilio, diretto ai governanti per raccomandare la tutela della fede all' intervento dei mezzi materiali, di cui essi dispongono; sono proprio i caratteri del partito che, dovunque esercita la sua influenza, non può non lasciare evidenti traccie di sè.

4. Il terzo capo portava il titolo: De divinæ rerelationis fontibus in Sacra Scriptura et traditione. Si affermava in esso la divinità delle Sacre Scritture secondo il testo che ebbe la sanzione dal Concilio di Trento, e la verità delle interpretazioni contenute nella tradizione e nel giudizio infallibile della Chiesa. Nel quarto capo parlava De supernaturalis revelationis necessitate, che vien provata, non solo perchè si ottenesse la rapida ed universale diffusione di tutto quel che la ragione può, ma non sempre sa facilmente comprendere, la quale diffusione non si sarebbe potuta per altra via conseguire; ma eziandio perchè volendo Iddio innalzare l'uomo al disopra dell' ordine naturale, non poteva altrimenti condurlo alla cognizione di cose superiori alla ragione che per la fede, non bastando la prima in verun modo alla cognizione dei dogmi soprannaturali, e che perciò appunto non si contengono nella manifestazione naturale d'Iddio. Da questa argomentazione logicamente condotta lo schema discende subito al poscritto, cioè ad una con

clusione come quella del secondo capo, la quale per mezzo di alcune frasi di significazione indeterminata e vaga si presta mirabilmente e con l'aiuto di poco commento alla costituzione dell'autorità più illimitata. Secondo la conclusione di questo capo, anche nelle materie che non sono impervia alla ragione umana, cioè che possono trattarsi razionalmente, si deve riconoscere supernaturalis revelationis maximum beneficium; lo che tradotto nel linguaggio pratico significa che si debbono anch'esse sottomettere volentieri ai dettami della rivelazione. Ognuno vede le conseguenze che da questo postulato, senza neanche sforzo, discendono per i suoi depositarii ed interpreti naturali e per conseguenza per il Vaticano.

5. Il capo quinto tratta De misteriis fidei in divina revelatione propositis, e condanna coloro che dicono potersi con la ragione e con lo studio della filosofia indagare i misteri della fede. Questa condanna a prima vista sembra equivalente ad una proibizione di ve dere, quando fa buio. Se però essa contempla il caso, nel quale in questa oscurità alcuno per avventura si sia provato a valersi, come guida, del lume della ragione, lasciando stare il risultato che abbia potuto trarne, non si comprende facilmente a qual titolo si vorrebbe infliggere la condanna. A questo caso si devono non poche opere dei Santi Padri, come De Trinitate e De opere sex dierum di Sant'Agostino, le quali non solo la Chiesa non ripudia, ma delle quali si è valsa e si onora grandemente.

6. Il capo sesto s' intitolava: De fidei divinæ distinctione a scientia humana. Anche qui la prima im

pressione è come di chi dicesse della distinzione di due cose che non si possono mai confondere. Esso faceva séguito al capo precedente, condannando coloro che non distinguono la fede divina dalla scienza umana, e che credono, non perchè ciò che è da credere sia rivelazione divina, ma perchè possa da noi tenersi comprensibile con i mezzi naturali. Presa letteralmente questa condanna, e considerandone il soggetto, secondo che è annunziato nel titolo del capo, parrebbe non avere scopo; perchè chi non sa la differenza che passa fra la scienza e la fede? Chi non sa che ciò che si crede, è per l'appunto ciò che non si sa? E quindi sembra che se ne debba cercare lo spirito nella espli cazione data di questo soggetto, cioè che, se alcuno credesse tentar di far forse illusione a se stesso con cercar di mettere nel suo spirito fino ad un certo punto d'accordo la fede con la ragione, e di spiegare, per quanto sia in lui, quella con questa, una tal consolazione gli debba essere negata, dovendo il sacrifizio della ragione essere intero, assoluto per se stesso, come un tributo e non come un omaggio. Questa conclusione ritrae anch'essa nel suo linguaggio misterioso ed oscuro il pensiero predominante dei suoi estensori. La guerra ad oltranza alla ragione sopra il terreno, nel quale essa può egualmente che su quello ove non può, questa diffidenza sistematica e sempre costante dei suoi lumi, sono parte principalissima dell' ordine d'idee che, come altra volta abbiamo accennato, è prevalso da lungo tempo e con singolare insistenza a' nostri tempi nella direzione e nell' impulso dato alle istituzioni cattoliche. Essa tende particolarmente a in

debolire e confondere spesso il giudizio naturale delle popolazioni; ha spesso generato e favorito abitudini irragionevoli e superstiziose, ed ha trattenuto la civiltà in quelle popolazioni che hanno subito le influenze di questo sistema in tutta la sua piena e libera azione.

7. Nel settimo capo che s'intitola: De necessitate motivorum credibilitatis, dopo avere nel precedente capitolo messo l'uomo in diffidenza della propria ragione, condanna sotto pena di anatema chi dica non poter avvenire che la verità sia resa evidente per mezzo dei segni esteriori (ossia i prodigi). Il Vangelo solamente contiene un buon numero di miracoli di prim'ordine, e però l'affermare dopo diciannove secoli la possibilità dei prodigi, sembra per lo meno inopportuno e superfluo: e quindi anche di questa condanna convien ricercare lo spirito più lontano che nella lettera. Mentre il capo sesto c'insegna a dubitare di quel che ci appare ragionevole, il settimo ne condanna se si esita a dar fede a quel che ci si presenta come irragionevole. La riproduzione delle idee contenute nei due capi, secondo che apparisce letteralmente, come abbiam già osservato, non avrebbe scopo; ma il ribadirle così combinate non può averne che uno, quello d'inculcarne viepiù l'applicazione attuale e pratica e favorirne, quanto si può, l'incremento nelle popolazioni cattoliche. Ora quel che è avvenuto da siffatto insegnamento, costantemente applicato, si è che condotte spesso queste popolazioni senza una sicura guida della ragione nella selva oscura dei prodigi, si è risvegliato e coltivato in esse quel certo sentimento mi

stico, vago, sovente superstizioso e talora stolido e feroce che è stato loro molte volte di danno, ed è sempre un ostacolo per acquistare le abitudini miti, positive e produttive della vita civile. Tutti questi concetti che noi abbiamo rilevati, e di cui abbiamo dedotto le conseguenze pratiche, sono piuttosto nascosti e contenuti potenzialmente che espressi nelle frasi misurate e castigate dei sopraccennati capitoli; e l'intiero senso loro è dimostrato meglio dalla connessione e dall'ordine, col quale discendono dai capi precedenti, e anche meglio dalla conoscenza dell'uso tradizionale e dalla costante applicazione che di quei principi da lungo tempo si è voluto fare nell' economia della Chiesa. Questa specie di moderazione di frasi che abbiamo notata è una concessione, una specie di omaggio allo spirito prepotente dei tempi, il quale all'opposto dello schema adora la Dea Ragione, e fa guerra implacabile ai prodigii, almeno a quelli, in cui teme di riconoscere un carattere religioso: e difende l'una e perseguita gli altri con tutti i mezzi, ond'esso dispone, e particolarmente con la scienza e la pubblicità.

8. Il capo ottavo: De supernaturali virtute fidei et de libertate voluntatis in fidei assensu, condannava chi non riconoscesse la fede come un dono soprannaturale di Dio, anzichè una persuasione necessaria e naturale della ragione. Anche questo è talmente ovvio nella fede cattolica, che il ripeterlo è figlio dello stesso sentimento: guardarsi dalla ragione, della ragione non volere a nessun patto; non solo quando combatte la fede, ma neppure quando viene in suo soccorso e la conforta. Il capo nono continuava sopra questo ar

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