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JACOPO MARMITTA

Parmigiano fu segretario di Giovanni Ricci detto il cardinale di Montepulciano. Pio IV lo ascrisse al collegio de'cav. partecipanti da lui istituito e perciò chiamati pii.

In lui, dice Carrer, le umane lettere si accompagnarono coi gentili costumi. Nè la religione che gli diè fama quanto i versi, e gli meritò di morire fra le braccia di s. Filippo Neri, lo distolse dal sentire fortemente le calamità italiche, e compiangere palesemente la morte di Filippo Strozzi, uno de' tanti nobili spiriti fiorentiui che cementarono col sangue il trono de' Medici. La semplicità e la dolcezza sono particolari alle sue poesie. LIRICI del sec. XVI.

Sulle calamità italiane.

Dunque il ferro per te sola s'arrota,
Misera patria mia? dunque un torrente,
Per depredarti, di barbara gente
Scende dall' Alpi, d'ogni fede vota?
Dunque a' tuoi danni sol l'instabil rota
Della fortuna gira, e non si sente
Altra donna che pianga e si lamente,
Se non te sola a tutto il mondo nota ?
Dunque empia mano i tuoi bei campi incende,
E le feconde viti e gli olmi incide,
E te ristretta in picciol cerchio tene?
Questa ruina ond'è ? chi ti difende ?

Non so come ogni pietra omai non gride
Vendetta al ciel, che tanto mal sostene!

In morte di Filippo Strozzi.

Poi che in questa mortal noiosa vita
Il fin di tutti i mali è sol la morte,
Per non viver più in grembo all'empia morte
Che morto tiemmi in si dolente vita:
Forza è ch' io stesso rompa di mia vita

Lo stame,
e toglia con inganno a morte
La gloria ch'ella spera con dar morte
A me c'ho in odio il lume della vita.
So ben che cosa lieve fia la morte

A sì gran mal, però se già la vita

Viver non seppi, or saprò gire a morte. Così disse il buon Tosco: e all' altra vita Tosto ne gì, cangiando in chiara morte La sua infelice e tenebrosa vita.

Filippo Strozzi che dopo l'assedio di Firenze si mostrò affezionatissimo al duca Alessandro, e gli prestò una grossa somma di danaro per inalzare una fortezza che tenesse in freno i Fiorentini, come vide la brutale tirannide del Duca medesimo, si ritirò a Roma, ed ivi cogli altri fuorusciti pensava al modo di liberare patria. Riusciti vani tutti i tentativi, Filippo inalzò l'animo a grandi speranze quando nel 1336 sentì che il Duca era stato ucciso da Lorenzino de' Medici: e faceva i preparativi necessari per venir sopra a Firenze. Ma sorpreso con altri pochi nella rocca di Montemurlo dai soldati di Cosimo, fu condotto prigioniero a Firenze e rinchiuso nella fortezza fabbricata co' suoi danari. Ivi stette più d'un anno, e quando seppe che lo aspettava il carnefice, scelse di morire per mano propria, e dopo avere scritto tra le altre cose quel verso di Virgilio:

Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor,

si segò da sè stesso la gola, il dì 18 settembre del 1538.

In questo sonetto il gioco delle parole vita e morte è riprensibile. Anche il Tasso usò in un altro sonetto il medesimo gioco delle parole pace e guerra, ma neppur l'autorità de' grandi uomini può far parere bello ciò che è bruttissimo Filippo negli ultimi momenti disse: se io non ho saputo insino a qui vivere, io saprò morire: parole conservate nel verso decimo e undecimo del sonetto.

LUIGI TANSILLO

Nacque a Venosa verso il 1510 di famiglia originaria di Nola, e fu poeta e soldato. Militò coraggiosamente sotto gli ordini di don Garcia figlio del vicerè di Napoli, e andato con lui all'impresa di Tunisi (1551) si comportò da uomo molto prode. Don Garcia che si dilettava de' versi del Tansillo e ammirava il suo valore, diceva di avere al suo servizio un Omero e un Achille in una sola persona.

Come poeta meritò molto onore col suo Podere, poema in terzine leggiadre, armoniose e vivaci. La sua Balia è un altro poemetto in cui molto saviamente raccomanda alle donne di allattar da sè stesse i propri figliuoli. Le sue scandalose terzine sul Vendemmiatore sono una bizzarrìa giovanile, della quale pentito in età più provetta, per ammenda fece un altro poema che intitolò le Lacrime di s. Pietro, e che gli meritò il perdono anche dagli Inquisitori.

Nelle sue liriche, in generale, è genio vivace, bellezza di pittura, nuovo ardimento, e leggiadro colorito di stile. Talvolta per altro vola si alto che oltrepassa i limiti della lirica e dà nello stravagante. Il Tasso, nel dialogo intitolato il Gonzaga, pose il Tansillo fra i migliori pocti dell' età sua. Mori a Teano nel 1568.

Spera gloria dal suo ardimento .

Amor m'impenna l'ale, e tanto in alto
Le spiega l'animoso mio pensiero,
Che d'ora in ora sormontando, spero
Alle porte del ciel far nuovo assalto.
Temo qualor più guardo il vol tropp' alto
Ond' ei mi sgrida e mi promette altero
Che se dal nobil corso io cado e pero,
L'onor fia eterno mortale il salto.
9 se
Che s'altro, cui desio simil compunse,

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Diè nome eterno al mar col suo morire,
Ove l'ardite penne il sol disgiunse ;
Il mondo ancor di te potrà ben dire

Questi aspirò alle stelle, e s'ei non giunse,
La vita venne men ma non l'ardire.

V. 9-10. Che s'altro, ec. allude alla favola d'Icaro.

Alto e vivacissimo, dice Carrer, è il concetto di questo sonetto.

MICHELANGIOLO BUONARROTI

Nacque a Chiusi casentinese di padre fiorentino a dì 6 marzo 1474, e mori a Roma il dì 17 febbraio 1564. Della lunga vita di questo uomo che per ogni titolo è stato uno de' più grandi che vanti il mondo, sarebbe difficile il dare anche una piccola idea. Riporteremo solamente poche parole di Carrer, dalle quali apparisce quanto grande fosse in questo nobilissimo fiorentino il cuore e l'ingegno.

« Eccellente, dice egli, nella scultura, nella pittura, nell'architettura e nella poesia. Perciò detto uomo di quattro alme; e dall' Ariosto, con allusione al nome,

Michel, più che mortal, angiol divino.

Di costumi semplici e severi, perciò in discordanza co'tempi. Leggi i versi da lui messi per risposta in bocca alla Notte, una delle famose tra le sue statue :

Grato m'è il sonno e più l'esser di sasso,
Mentre che il danno e la vergogna dura:
Non veder, non sentir m'è gran ventura;
Però non mi destar. Deh! parla basso.

<< Vissuto presso a novant' anni, vide intorno a sè straordinarie rivoluzioni di fortuna: avuto caro da' principi così religiosi, come secolari, potè agguerrirsi nelle invidie e nelle persecuzioni. Tuttochè frequentatore delle corti si mantenne sempre d'animo illibato ed altero: e volle che i magnati si piegassero a lui, nou egli a' magnati. Ne' suoi versi c'è ritratto il fare grandioso e assoluto de' suoi disegni. Il più bel commento alla Divina Commedia fu ingoiato dal mare (quando naufragò, navigando da Livorno a Civitavecchia) l'esemplare che portava disegnati a penna per mano di Michelangiolo i principali soggetti di quel poema ». LIRICI del sec. XVI.

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