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FRA GUITTONE D' AREZZO

Nacque nel 1250 in San Formena, borgo presso ad Arezzo. Per le cure del padre suo educato alle lettere e a ogni gentil disciplina, riuscì valentissimo nelle lingue latina, provenzale, spagnola e francese, dalle quali poi trasse modi ad accrescer la nascente lingua d'Italia. In giovinezza dette opera alla poesia, e perchè in quell' età chiunque faceva versi doveva avere una donna da celebrare, egli celebrò una bellezza Aretina, cantò le materie d'Amore, e ne dette precetti, quantunque non ne fosse travagliato gran fatto. Dante perciò lo mette tra quelli che cantarono d'Amore guidati più dall' arte che dal sentimento. Si ammogliò con una donna d'Arezzo che lo fece lieto di tre figliuoli. Poi, abbandonati gli uni e l'altra, si rese dell'ordine dei cavalieri di S. Maria, detti in appresso Frati gaudenti per la rilassatezza di vita a cui si dettero. Ma non così fra Guittone; il quale tutto era nel recare a pace i discordanti, e nel vituperare i vili desiderii del secolo. Oratore al popolo fiorentino, predicò energicamente contro le dominanti discordie: predicò anche contro i vituperosi signori che opprimevano la sua patria, e ne ebbe l'antico e solito premio: con iniqua sentenza fu privato della casa e delle terre che il Comune gli avea date in feudo, e dove andare ramingo. Per avversità di fortuna non cambiò di natura: sempre fu benefico e pio. Nel 1293 fondò in Firenze il monastero degli Angeli.

Le sue Poesie e le sue Lettere, sebbene risentano dello stile del tempo, pure sono ripiene di quei modi ora energici, ora graziosi e gentili, che si trovano sempre negli

scrittori di una lingua nascente. La sua invettiva contro le discordie de' Fiorentini è uno de' primi esempii di bellissima e robusta scrittura italiana. Nei due sonetti che qui riportiamo non è parola che non si potesse usare anche al presente. La lingua italiana, dice il Foscolo, con unico esempio nella storia degli idiomi, conserva freschi per seicento anni quasi tutti i suoi vocaboli e modi di dire. Le voci moderne l'hanno poco o molto raffardellata; ma la sua schietta e nativa ricchezza sta tuttavia nell'antiche. Guittone si chiama da tutti il perfezionatore del sonetto. Mori nel 1294.

Narrate le sue pene ne spera compassione.

Quanto più mi distrugge il mio pensiero

Che la durezza altrui produsse al mondo, Tanto ognor, lasso! in lui più mi profondo, E col fuggir della speranza, spero.. Io parlo meco, e riconosco il vero,

Chè mancherò sotto sì grave pondo, Ma il mio fermo desio tanto è giocondo Ch'io bramo e seguo la cagion ch'io pero. Ben forse alcun verrà dopo qualche anno, Il qual leggendo i miei sospiri in rima, Si dolerà della mia dura sorte.

E chi sa che colei, che or non m'estima, Visto con il mio mal giunto il suo dauno, Non deggia lacrimar della mia morte?

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V. 8. La cagion ch' io pero: il che in questo caso significa onde, per cui: E con questo significato si trova anche in altri scrittori giunto, nel penultimo verso, vale aggiunto.

A nostra Donna.

Donna del cielo, gloriosa madre
Del buon Gesù, la cui sagrata morte,
Per liberarci dalle infernal porte,

Tolse l'error del primo nostro padre;
Risguarda Amor con saette aspre e quadre

A che strazio n'adduce ed a qual sorte. Madre pietosa, a noi cara consorte, Ritranne dal seguir sue turbe e squadre. Infondi in me di quel divino amore,

Che tira l'alma nostra al primo loco,
Si ch'io disciolga l'amoroso nodo.
Cotal rimedio ha questo aspro furore;

Tal acqua suole spegner questo fuoco,
Come d'asse si trae chiodo con chiodo.

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V. 7. Chiama consorte la Vergine perchè l'ordine de'Frati gaudenti, a cui egli apparteneva, si intitolava da lei l'ultimo verso » Come d'asse si trae chiodo con chiodo » fu copiato dal Petrarca nel cap. III del Trionfo d' Amore.

GUIDO CAVALCANTI

Ebbe pieno di filosofia la lingua e il petto: scrisse dell'arte rettorica in versi volgari, e trattò filosoficamente della natura d'Amore in una canzone, che fu comentata dagli uomini più famosi d'allora. Nacque in Firenze d'illustre e potente famiglia. Suo padre Cavalcante è quel desso che nel canto X dell'Inferno si trattiene a discorrer con Dante, e con tanta sollecitudine gli domanda del figlio. Il Boccaccio chiama Guido uno de'migliori loici che avesse il mondo, ottimo filosofo naturale, e uomo leggiadrissimo, costumato e bel parlatore. Aveva magnanimi sensi, altezza d'ingegno: amò la patria di nobile e santo affetto, e fu valentissimo in armi. Fu nimicissimo a Corso Donati cavaliere prepotente che aspirava a farsi serva la patria, e tentò più volte d' ucciderlo; ed egli lui. Nel 1300, allorchè le bestiali fazioni di Pistoia portarono nuovi orrori in Firenze, Guido stette co' Bianchi, e ne ebbe l'esilio a Sarzana. D'onde poi richiamato a motivo della malaria, tornò in patria ove morì poco dopo. E della sua morte fu grande dannaggio, dice Giov. Villani, perchè era, come filosofo, virtuoso in molte cose, se non che era troppo tenero e stizzoso Tutti gli scrittori lo lodano, ma convengono tutti nel chiamarlo uomo solitario e avente anima altera e sdegnosa. E doveva, dice il Foscolo, pur esser dotato di predominante carattere dacchè Dante, che pure era nato alterissimo fra' mortali, confessa che Guido, benchè gli fosse amico consideratissimo, gli imponeva rispetto.

I contemporanei lo lodarono come gran filosofo, ma

se il suo nome giunse nei posteri, fu per le sue poesie, nelle quali fu il più sommo del secolo XIII: perchè per giudizio stesso di Dante superò anche il Guinicelli, cui tolse la gloria della lingua. In esse parla sovente di una giovane Tolosana di cui s'innamorò nel suo pellegrinaggio a s. Iacopo di Galizia: e si raggirano sempre sopra cose d'amore. Sebbene talvolta non manchino di stranezze, pure vi è sempre affetto sentito, e vena di facile e natural poesia rivestita di vaghissime forme. Scrisse Canzoni, Sonetti e Ballate. Fra le ultime è bella per semplicità e naturalezza quella che scrisse nell'esilio a Sarzana, allorchè, per il male sopraggiuntogli, si credette vicino a morte, e che comincia :

Perch' io non spero di tornar giammai,
Ballatetta, in Toscana.

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