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Amore lo segue per tutto.

Solo e pensoso i più deserti campi
Vo misurando a passi tardi e lenti,
E gli occhi porto, per fuggir, intenti
Dove vestigio uman l'arena stampi.
Altro schermo non trovo, che mi scampi
Dal manifesto accorger delle genti:
Perchè negli atti d'allegrezza spenti,
Di fuor si legge com' io dentro avvampi:
Si ch' io mi credo omai che monti e piagge
E fiumi e selve sappian di che tempre
Sia la mia vita ch'è celata altrui.
Ma pur si aspre vie, nè si selvagge,

Cercar non so, ch' Amor non venga sempre
Ragionando con meco, ed io con lui.

Questo è il primo degli ottimi sonetti del Petrarca. Con più vivi colori non si potea dipingere nel primo quadernario lo stato d' uno, che nella solitudine si confini, per fuggire la vista e il commercio degli altri uomini. MURATORI.

Nel verso decimo, tempre, significa qualità, condizioni.

Prega Dio che lo torni ad una vita migliore.

Padre del ciel, dopo i perduti giorni,

Dopo le notti vaneggiando spese

Con quel fero desìo ch' al cor s'accese Mirando gli atti per mio mal sì adorni; Piacciati omai che, col tuo lume, io torni Ad altra vita ed a più belle imprese ; Sì ch' avendo le reti indarno tese

Il mio duro avversario se ne scorni. Or volge, signor mio, l' undecim' anno

Ch'i' fui sommesso al dispietato giogo,
Che sopra i più soggetti è più feroce.
Miserere del mio non degno affanno ;

Riduci i pensier vaghi a miglior luogo;
Rammenta lor com' oggi fosti in croce.

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Questo sonetto non è stato molto considerato dai raccoglitori delle poetiche spazzature, perchè non parla d'amore : ma certo non è inferiore ad alcuno di quei che ne parlano. TASSONI.

Fu scritto nel venerdì santo del 1338, giorno in cui già nel 1327 area veduta la prima volta Laura nella chiesa di santa Ghiara.

Bellezza di M. Laura.

Erano i capei d'oro all' aura sparsi,
Che 'n mille dolci nodi gli avvolgea;
E'l vago lume oltra misura ardea
Di quei begli occhi, ch'or ne son sì scarsi:
E'l viso di pietosi color farsi,

Non so se vero o falso, mi parea:
I', che l'esca amorosa al petto avea,
Qual maraviglia se di subit' arsi ?
Non era l'andar suo cosa mortale,
Ma d'angelica forma; e le parole
Sonavan altro, che pur voce umana
Uno spirto celeste, un vivo sole
Fu quel ch'i vidi ; e se non fosse or tale,
allentar d'arco non sana

Piaga per

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Questo senza dubbio è de' migliori sonetti di queste rime, come quegli che ha congiunta la facilità e la dolcezza con un certo non so che di maestoso che perfeziona lo stil venusto: e le cose che altrove parrebbero comuni qui paiono pellegrine. TASSONI .

V. 14. Piaga per allentar d'arco ec.: significa: quantunque l'arco s' allenti, la piaga non guarisce.

Il pianto dell' usignuolo lo attrista.

Quel rosignuol che si soave piagne

Forse suoi figli, o sua cara consorte, Di dolcezza empie il cielo e le campagne Con tante note sì pietose, e scorte; E tutta notte par che in' accompagne, E mi rammente la mia dura sorte: Ch' altri, che me, non ho, di cui mi lagne, Chè 'n Dee non credev' io regnasse Morte. Oh che lieve è ingannar chi si assecura!

Que' duo bei lumi, assai più che 'l sol chiari, Chi pensò mai veder far terra oscura? Or conosch' io, che mia fera ventura Vuol che vivendo, e lagrimando, impari Come nulla quaggiù diletta, e dura.

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Chiunque con l'animo occupato da non lieto pensiero abbia udito per una volta il canto dell' usignuolo nel silenzio della notte, conoscerà, leggendo questo sonetto, come sia vero che la materia della poesia più affettuosa è alle mani di tutti, sebbene siano pochissimi quelli che sanno trarne partito. L'armonia poi de' primi sei versi a chi non suona soave e graziosa? Par che il poeta abbia voluto venire a gara col più soave cantore de' boschi. AMBROSOLI.

L'antitesi fra soli chiari e terra oscura, nei versi decimo e undecimo, è viziosa, e non è la sola che sia nel Petrarca-fur, sta per farsi.

In morte di M. Cino da Pistoia:

Piangete, donne, e con voi pianga Amore;
Piangete, amanti, per ciascun paese;
Poichè morto è colui che tutto intese
In farvi, mentre visse al mondo, onore.
Io per me prego il mio acerbo dolore,
Non sian da lui le lacrime contese;
E mi sia di sospir tanto cortese,
Quanto bisogna a disfogare il core.
Piangan le rime ancor, piangano i versi;
Perchè 'l nostro amoroso messer Cino
Novellamente si è da noi partito:
Pianga Pistoia, e i cittadin perversi,
Che perdut' hanno sì dolce vicino ;
E rallegrisi il cielo, ov'ello è gito.

Invita le donne a piangere in compagnia d' Amore la morte di messer Cino, perchè questi era stimato il miglior cantore delle cose amorose che fosse stato fino a quel tempo in Italia. Dante nel libro del volgare eloquio, dopo avere assegnate le materie del volgare illustre ed aver detto che sono la gagliardezza dell' arme l'ardenza dell'amore e la rettitudine, soggiunge che Beltrame del Bornio cantò le armi, Cino da Pistoia l'amore, ed egli la rettitudine.

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Nel verso 12 chiama i Pistoiesi cittadini perversi, perchè nel 1304 avevano esiliato m. Cino, ovvero a motivo delle orribili nefandità delle fazioni dei Bianchi e de' Neri, per le quali Dante ebbe a dire che Pistoia era degna tana di bestie e ad esclamare:

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Ah Pistoia, Pistoia, che non stanzi

D' incenerirti, sì che più non duri,
Poichè in mal far lo seme tuo avanzi?

(Inf. C. XXV.)

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