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BUONACCORSO DA MONTEMAGNO

Vi furono due poeti di questo nome, pistoiesi di patria: il primo morì sul finire del secolo XIV, e il secondo, nipote del primo, un poco più tardi. Buonaccorso il vecchio, figliuolo di Lapo, nel 1364 era gonfaloniere di Pistoia, e dicono sopravvivesse di pochi anni al Petrarca, dopo il quale fu uno de' più gentili e colti scrittori del secolo. In gioventù conobbe Messer Cino da cui forse, dice il Crescimbeni, imparò a poetar volgarmente. Amò una donna fiorentina chiamata Lauretta, e a lei diresse i suoi elegantissimi versi, che si raggirano, al solito, su cose d'amore.

Buonaccorso il giovane verso il 1418 prese a moglie un' Elisabetta figlia di Guido Mannelli fiorentino. In Firenze dapprima fu giudice, poi professore di leggi. Nel 1428 la Repubblica lo mandò ambasciatore a Filippo Maria Visconti signore di Milano. Morì l'anno appresso, vivendo ancora suo padre Giovanni egregio giureconsulto.

Nel 1718 Giovan Battista Casotti fece in Firenze una bella edizione delle poesie de' due Buonaccorsi: e un' altra anche più bella uscì in Cologna nel 1762 per cura di Vincenzio Benini. Quella del Casotti è intitolata « Prose e rime de' due Buonaccorsi di Montemagno, con annotazioni, ed alcune rime di Niccolò Tinucci.

כל

Erano i miei pensier ristretti al core

Davanti a quel che nostre colpe vede, Per chieder con desio dolce mercede D'ogni antico mortal commesso errore. Quando colei, che in compagnia d'Amore Sola scolpita in mezzo 'l cor mi siede, Apparve agli occhi miei, che per lor fede Degna mi di celeste onore . Qui risuonava allora un umil pianto, Qui la salute de' beati regni,

parve

Qui risplendea mia mattutina stella ;
A lei mi volsi; e se il Maestro santo

Si leggiadra la fece, or non si sdegni,
Ch' io rimirassi allor' opra sì bella.

Non mai più bella luce, o più bel sole,
Che 'l viso di costei nel mondo nacque,
Nè in valli ombrose erranti, e gelid' acque
Bagnar più fresche, e candide viole.
Nè quando l'età verde aprir si suole,
Rosa giammai in sì bel lido giacque;
Nè mai suono amoroso al mio cor piacque
Simile all' onorate sue parole.

Dal bel guardo soave par che fiocchi
Di dolce pioggia un amoroso nembo,
Che le misere piaghe mi rinfresca.
Amor s'è posto dentro a' suoi begli occhi,
E l'afflitto mio cor si tiene in grembo:
Troppo ardente favilla a sì poca esca.

FRANCO SACCHETTI

Nacque di famiglia antichissima verso il 1335, e fu uomo di dolci e piacevoli costumi, di onesta vita, di nobile ingegno. Di buon'ora si nutrì la mente di ottimi studii, ed esercitatosi in gioventù nella poesia, ebbe in essa, e in patria e fuori, chiarissima fama : quantunque in ciò si porti giudizio assai diverso al presente. Non ostante le sue opere ce lo dimostrano uomo molto pregiato, e d'animo di gran lunga superiore a molti del tempo suo, perchè in esse è franco pensare, derisione delle buffonerie dell' astrologia giudiciaria, e dispregio dell'ipocrisia e dell'impostura di coloro, che con varie maniere hanno sempre tentato di vivere alle spalle de' semplici. Oltre di ciò fu di grandissima prudenza nelle faccende civili, e perciò il comune di Firenze lo adoprò in gravissimi ufficii. Lo vediamo di fatti del magistrato degli Otto di guerra (1383), di quello de' Priori due volte (1383 e 1385), poi potestà di Bibbiena e di s. Miniato, e finalmente (1398) capitano della provincia fiorentina in Romagua. Il Comune e con esenzioni e con privilegi, gli dimostrò più volte quanto si chiamasse contento dell'opera sua, e ciò dovette dar qualche alleviamento alle molte disgrazie che gli fecero travagliata la vita. Morì poco dopo il 1400.

Le Novelle sono l'opera per cui il suo nome è conosciuto anche al presente, perchè, oltre all'esser dettate in lingua purissima e schietta, sono un bel monumento dei costumi e del modo di pensare e di fare del secolo XIV; cose tutte che molte volte non si ritrovano negli storici. Fra le sue poesie, quantunque fosse innamorato per 26 anni, quelle amorose non sono le più. In alcune è

bello il vedere trattati argomenti che riguardano le sventure, le glorie e le costumanze della patria: in altre un santo sdegno contro gli stranieri tiranni che agognavano di farsela schiava.

L'Amore della Patria.

Amar la patria sua è virtù degna,
Sovra ogni altra a farla alta e possente:
Sospettare o guardar d'alcuna gente
Mai non bisogna dove questa regna.
Questa fe' grande la romana insegna;
Senza costei ogni regno è nïente;
Questa giustizia e ragïon consente,
E l'altre tre negli animi disegna.
Fede, speranza e carità germoglia,
Con tutte le lor figlie e mai paura

Non ha, che alcun vizio ben gli toglia.
Del suo ben proprio giammai non si cura,
Pel ben comun combatter sempre ha voglia:
E queste son le cittadine mura,

Franco Sacchetti più volte fu scelto dal Comune di Firenze a scriver de' versi da mettersi in qualche luogo pubblico. Nel 1377 gli dette commissione di scriverne alcuni da mettersi nella corona del leone che era sulla ringhiera davanti al palazzo della Signoria e allora Franco compose il seguente distico in cui fa parlare il leone:

Corona porto per la patria degna,

Acciocchè libertà ciascun mantegna.

In altra occasione compose delle terzine da scriversi sulla porta dell'udienza de' Signori. Quando poi era del magistrato degli Otto, essendo stati dipinti gli ufiziali della gabella delle porte nella stanza della loro udienza, egli richiesto di un sonetto morale per iscriverlo accanto a quelle pitture, scrisse quello surriferito sull'amor della patria.

V. 4. Questa regna, cioè questa virtù dell'amore della patria.

SECOLO XV.

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