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CHIESA DI ROMA

La prima, tra tutte le chiese del mondo cattolico, è la chiesa di Roma,

a cui, come a centro di unità, prestano omaggio e venerazione tutte le altre. Ciò ben era dovuto alla suprema primazia del suo fondatore: perche siccome egli dal divino Redentore era stato costituito capo del collegio apostolico, così la chiesa da lui fondata e da lui personalmente per tanti anni governata, doveva ad ogni ragione sopra tutte le altre primeggiare. Egli è perciò, che il santo martire Ireneo (4) della chiesa romana scriveva: «< Ad hanc Ecclesiam propter potentiorem principalitatem necesse » est omnem convenire Ecclesiam, idest eos qui undique sunt fideles, in » qua semper servata est ea, quae est ab apostolis, traditio. » Non v'ha, per così dire, ecclesiastico scrittore, il quale non si adoperi a tessere luminosi encomii alla chiesa di Roma, ai suoi pastori, all' augusta dignità dall' apostolo s. Pietro comunicatale. San Gerolamo, scrivendo al papa Damaso (2), protestava la sua venerazione alla cattedra apostolica con queste parole:

Ego nulla primum nisi Christum sequens cathedrae Petri communione >> consocior: super illam Petram aedificatam Ecclesiam scio. » E s. Bernardo così scriveva al papa Eugenio III (5): « Sunt quidem et alii coeli » janitores et gregum pastores.... Habent illi assignatos greges, singuli singulos: Tibi universi crediti, uni unus. Non modo ovium, sed et pa»> storum tu unus omnium pastor. Unde id probem quaeris? Ex verbo

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» Domini. Cui enim, non dico Episcoporum, sed etiam Apostolorum, sic absolute et indiscrete totae commissae sunt oves? Si me amas, Petre,

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» pasce oves meas. Quas? illius vel illius populos civitatis aut regionis

(1) Lib. 11 adv. haeres. cap. III.

(2) Lett. xvII.

Vol. I.

(3) Lib. 11 de Consid. cap. 8, col. 428 del vol. 1 dell' ediz. di Parigi del 1719.

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>> aut certi regni? Oves meas, inquit.. Cui non planum, non designasse aliquas, sed assignasse omnes? Nihil excipitur ubi distinguitur nihil. Et » forte praesentes caeteri condiscipuli erant, cum committens uni, uni» tatem omnibus commendaret in uno grege et uno pastore. » Alle quali cose ponendo mente, il dottissimo pontefice Benedetto XIV conchiude, che per essere stato s. Pietro il fondatore e il primo pastore della chiesa di Roma, restò annesso e immedesimato a questa sua sede il diritto dị primazia ; sicchè tutti i pastori, i quali légittimamente succedono a lur su di essa, gli debbano necessariamente succedere anche nel primato, che sopra tutte le chiese dell'universo gli conferi il divino Signore. Udiamone le sue parole: (4) « Inde factum est, ut supremi pontificatus praerogativa >> ita insita remanserit Romanae Sedi, ut qui in hac Petro succedit, ne» cessario succedat in totius Ecclesiae primatu Petro ejusque legitimis >> successoribus a Christo collato. »>

Per la quale primazią la chiesa di Roma, come elegantemente scriveva s. Prospero nel suo carme sugl' Ingrati, è più gloriosa, più potente, più cospicua di quello che lo non fosse la stessa Roma, allorchè idolatrica dominava sulle conquistate provincie del mondo. Era ella padrona allora di quei popoli soltanto, che aveva sottomessi colla forza al suo impero; stende adesso per la religione il suo potere anche dove non giunse mai lo strepito delle vittoriose sue armi:

a Sedes Roma Petri, quae pastoralis honoris

» Facta caput mundo, quidquid non possidet armis
» Relligione tenet. »

Nè qui mi voglio adesso fermare ad esporre le circostanze della materiale fondazione di Roma, avvenuta, secondo il calcolo più comune, settecento cinquantatrè anni avanti l' era volgare; nè a narrarne le vicende sotto i suoi varii dominatori; nè a dirne le religiose superstizioni prima che piegasse la fronte alla evangelica voce di Pietro. Tuttociò somministrerebbe materia a scriver più tomi, e sarebbero tutte narrazioni straniere allo scopo di quest'opera. Di Roma non voglio in questo mio libro parlare, se non dacchè incominciò a numerare i giorni della sua conversione. Nè di tutti gli avvenimenti, che formano parte della storia (1) De Synod. Dioeces. lib. 1, cap. 1, num: 1.

universale del cristianesimo, io mi accingo a parlare; ma di quelli sol-. tanto che le appartengono più propriamente come, chiesa d'Italia, ossia come una delle diocesi e delle metropoli dell' Italia.

PIETRO adunque, galileo di nazione, principe degli apostoli, onorato da Cristo stesso col soprannome di Cefa, ossia pietra, perchè scelto ad essere la pietra, sopra la quale sarebbesi innalzata la grandiosa fabbrica della chiesa (Tu vocaberis Cephas, quod interpretatur Petrus (1). — Tu es Petrus, et super hanc Petram aedificabo ecclesiam meam (2), Pietro è il primo vescovo della chiesa di Roma. Egli entrò in questa metropoli dell' universo l'anno 42 dell' era volgare, mentr' era imperatore Claudio. Aveva già predicato la fede cristiana in Gerusalemme, ed aveva convertito a migliaja gli ebrei ed i gentili. L'aveva predicata ai popoli di Samaria, di Lidda, di Joppe, di Cesarea, di Antiochia, ove per la prima volta i fedeli cominciarono ad assumere il nome di Cristiani; e da per tutto collo sfoggio di strepitosi portenti aveva reso amabile e soave il giogo di Gesù Cristo. Nel carcere di Gerusalemme egli era stato oggetto di glorificazione a Dio, di conforto ai novelli convertiti, di rabbia alla sinagoga; chiusovi da Erode, liberatovi dall' angelo (5). Sulla porta del tempio aveva raddrizzato nel nome di Gesù Nazareno la storpio, conosciuto da tutta la città, che vi sedeva limosinando. Arbitro della vita e della morte, quando aveva risuscitato la defunta Tabita, e quando aveva punito lo spergiuro di Anania e di Saffira, facendoli cadere estinti a'suoi piedi. Ma troppo lunga cosa sarebbe che ad uno ad uno raccontassi i prodigii operati da Pietro avanti il suo ingresso nella capitale del mondo: più opportunamente avrebbero luogo nella storia delle sue azioni. Qui non mi voglio occupar che di Roma; e perciò seguo i passi di Pietro nella fondazione, nella reggenza, .nell' ingrandimento di questa chiesa. Sette anni dopo ch' egli aveva piantato la sede pontificale in Antiochia, venne adunque a fissare in Roma più solennemente la sua residenza, avendo lasciato colà pria di partire suo successore il discepolo Evodio. Seco menò il discepolo Marco, affinchè lo assistesse nelle gravi fatiche di un più difficile apostolato, in qualità d'interprete e di secretario. Fruttificò ben presto, e copiosamente, la divina parola predicata da Pietro, cosicchè di ogni condizione e di ogni sesso

(r) Giovan. cap. 1., vers 42.
(2) Matt. cap. xvi, vers. 18.

(3) Atti degli Ap. Cap. 11, e seg.

correva la moltitudine a ricevere dall'apostolo il lavacro della rigenerazione. Fu allora, che il discepolo Marco, pregato dai convertiti fedeli, scrisse in greco il suo vangelo, secondochè dal labbro di Pietro ne aveva udito il racconto: ed il medesimo Apostolo lo approvò e lo propose ai cristiani da leggere.. Marco poco dopo parti, inviatovi dal suo precettore, a piantare la chiesa di Alessandria, che perciò fu sempre una delle più cospicue sedi dell' Oriente, subito dopo quella di Antiochia. Scrisse Pietro la prima sua lettera; ed è probabile che si valesse di questa circostanza per inviarla ai fedeli del Ponto, della Bitinia, della Galazia e della Cappadocia. In essa dipinge Roma, che nomina Babilonia, come il centro della idolatria e della corruzione. E tal era appunto al suo ingresso, e continuò ad esserlo per alcuni secoli ancora. Sostitui Glaucia per suo assistente, in luogo di Marco; quel Glaucia, che l'eresiarca Basilide si gloriava di avere avuto per maestro. Ma la sollecitudine di tutte le chiese dell'universo chiamò il pastore di Roma a presiedere, nell'anno 50 circa dell'era cristiana, al concilio di Gerusalemme, a cui intervennero quanti apostoli e vescovi si poterono avere. Qui fu pronunziato e sanzionato di doversi prosciorre i convertiti fedeli dalle gravose osservanze del ceremoniale mosaico. Nè più a lungo si trattenne egli colà; perchè i doveri del suo apostolato lo chiamavano a guardar da vicino la greggia, che in ispecialità aveva serbato a sè da pascere e governare. Ritornò in Roma, ov' era imperatore il feroce Nerone. Non si stancava il santo apostolo dal predicare in pubblico ed in privato, e nell'intorno della città e ne' suoi vasti dintorni. Anzi è probabile che vi passasse molto tempo nelle suburbane contrade, perchè quando nell' anno 64 giunse a Roma l'apostolo Paolo, che per sottrarsi dalle persecuzioni dell' Oriente s'era appellato al tribunale dell'imperatore, non si trova memoria, che s'incontrassero insieme, benchè si sappia del loro incontro quando vi ritornò un'altra volta.

A questo suo primo arrivo fu Paolo incontrato da truppe di fedeli, che mossi dalla fama delle sue virtù e della sua sapienza gli andavano incontro, chi alla distanza di trenta miglia e chi di cinquanta. Per le buone informazioni, che si avevano di lui, gli fu concesso, com'era talvolta costume dei Romani, di poter stare fuor di prigione, e girare legato con una catena e custodito da un soldato: Questo privilegio lo rendeva atto a predicare senza riserva e convertire in gran numero gl'idolatri; ed egli stesso. in alcuna delle sue lettere, che scrisse da Roma, dichiara di riputarsi

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fortunato nel portare eatene si vantaggiose alla diffusione della fede. Aveva preso a pigione una casa; e coll' assenso degli uffiziali del pretorio v' era un continuo concorso di gente, che veniva a lui notte e giorno per ascoltarlo è ricevere il battesimo. Tanto si rendeva egli celebre, che ne penetrò la fama persino alla corte di Nerone, e potè cangiare in veri cristiani alcuni dei più viziosi eortigiani. Fra le celebri conversioni per suo mezzo operate, non è da tacersi quella. di Onesimo, schiavo, disertore e ladro, e riconciliatolo quindi col suo padrone Filemone, lo adoperò a varii uffizii del ministero apostolico. Mentre stava prigioniero in Roma, scrisse Paolo ai Filippesi, al suddetto Filemone, ai Colossesi, agli Efesini e agli Ebrei. Durò due anni la sua prigionia; ma, ricuperata appena la libertà, fece ritorno in Oriente a visitare le chiese che vi aveva fondato, e percorse altre contrade per piantarne di nuove. Ricco finalmente di tanti trionfi ottenuti alla Chiesa, si dispose a ritornare a Roma, ove per divina rivelazione, come dice sant'Atanasio, sapeva di dover soffrire il martirio. Fu appunto in questa circostanza che si trovarono insieme i due apostoli Pietro e Paolo. Il loro zelo non conosceva confini; le conversioni erano senza numero; i miracoli strepitosi e continui. Piętro scrive una seconda lettera ai fedeli dispersi nell' Asia, nel Ponto, nella Cappadocia e nelle vicine provincie, e li premunisce contro le false dottrine, gli esorta a mantenersi costanti nella religione, gli avvisa della velocissima deposizione del suo tabernacolo, ossia dell'avvicinamento del suo martirio. Ambidue questi grandi luminari della Chiesa si uniscono di concerto a predicare le più desolanti sciagure agl' israeliti pervicaci e deicidi. Loro annunziano la imminente desolazione del tempio famoso di Gerusalemme, il massacro sanguinoso della loro città, la, fame, per cui a vicenda si sarebbero divorati, le ignominie, la schiavitù, la miseria, a cui ne sarebbero stati condannati i superstiti. Pietro a tanto spinse if suo coraggio sino a predicare non solo l'equità e la moderazione, ma la pietà, la penitenza, la castità agli schiavi stessi e agli adulatori del più impudico e sanguinario di tutti gl' imperatori. Paolo, inoltratosi presso gli stessi familiari ed amici di Nerone, ne aveva convertito il primario coppiere, ed aveva indotto una delle concubine del monarca ad abbracciare colla religione cristiana le più strette regole della continenza. Tostochè Nerone lo seppe, diede ordine che fosse chiuso in una secreta prigione, ove da nessuno poteva ricever soccorso. Vi stette un anno, finchè venne il tempo della sua condanna. È probabile, che intanto

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