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di sede episcopale, ed andasse congiunta a quella di Porto: certo è, che in sul cadere del secolo undecimo (1) questo vescovo suburbicario pagava alla chiesa romana due marabottini pro castro Caere, che gli era stato aggregato.

Presentemente l'antica città di Ceri è detta Caere vetus o Cerveteri, perchè alcuni de' suoi abitatori, essendosi piantato in sul principio del secolo XIII, un nuovo soggiorno sulla cima di un colle nel medesimo territorio, vollero recarvi anche il nome della loro patria; sicchè incominciò questo a dirsi Cere nuovo, e rimase a quell' altro l'appellazione di Cere vecchio, che poscia congiuntamente diventò Cerveteri. Sino dal 1256, in una bolla di Gregorio IX a favore del vescovo di Porto, se ne trova già in uso la nuova denominazione. Nulla dirò degli avanzi di profane antichità, di che i dintorni di Ceri ossia di Cerveteri abbondano. A memoria del suo pristino lustro vedonsi ancora vestigie di non poche chiese oltre ad alcune che tuttora sussistono. La principale è dedicata alla beata Vergine sotto l'intitolazione di santa Maria Maggiore: ha un arciprete, a cui è devoluta la cura di cinque o seicento anime.

Non devo tacere, che il Piazza (2) pretende essere altra cosa Ceri ed altra Cerveteri, e però dice, esser questo infedelmente confuso con l'Agilla di Cerveteri: ma le citate parole di Strabone abbastanza ci assicurano, essere Ceri (ora Cerveteri ) l'antica Agilla, ed aver egli piuttosto infedelmente disgiunto in due paesi quello che per lungo tempo non era che un solo, cioè fino all'incominciare del secolo XIII. Perciò egli vuole Ceri essere stata città vescovile, non mai Cerveteri: laddove invece l'odierna Ceri non fu mai vescovile, anzi non cominciò ad esistere che dopo dodici secoli di cristianesimo; Cerveteri lo fu, ed era Agilla, mutata più tardi in Ceri, finchè l' esistenza della nuova Ceri la fece diventare Ceri vecchia o Cerveteri. Tanto i cangiamenti dei nomi possono generare confusione anche nei più diligenti scrittori !

(1) Lo si deduce dal libro dei censi del

la chiesa romana dell'anno 1192.

(2) La Gerarchia Cardinalizia. Roma, 1703, pag. 80 e seg.

SABINA

È

assai cospicua per dignità, in fra le altre dell'Italia, la chiesa della SABINA, posseduta sempre da un cardinale dell' ordine dei vescovi, il quale nell' assistenza al sommo pontefice tiene il terzo luogo tra i cardinali vescovi suburbani. Essa è formata di una gran parte dell'antica provincia della Sabina; di quella Sabina, che per lungo tempo seppe resistere alla romana possanza. Anzi è tradizione, che per contraffare gli stemmi romani adoperasse anch' essa sul suo vessillo le solite iniziali S. P. Q. R., ma poi le interpretasse: Sabinis Populis Quis Resistet? Aveva i suoi re, tra i quali è celebre Sango o Sanco o Sabo; da cui pretendesi, che traessero i sabini la loro origine e il loro nome (4). Anzi i romani, dopo di avere stretto amicizia coi sabini, eressero a questo divinizzato re un tempio nel Quirinale, per politica religione (2). Lo nominavano Sanco, Fidio, e Semipadre, e ne celebravano la festa a'5 di giugno, con molte oblazioni e solennità: ce ne conservò memoria elegantemente Ovidio:

«Quaerebam Nonas Sanco Fidioni referre

» An tibi Semipater? Tunc mihi sanctus ait : Cuicumque ex illis dederis, ego munus habebo;

» Nomina trina fero. Sic voluere Cures. »

Di questa provincia, dei suoi popoli, dei suoi re, non v'ha storico antico, che non parli e non ci racconti le vicende, e non ci enumeri le città c

(1) S. Agost. De civit. Dei, lib. 18, сар. 15.

(2) Piazza Carlo Bartolommeo, nella Gerarchia cardinalizia, pag. 125.

non ci descriva le leggi, le costumanze, le particolarità. Ne scrisse a lungo Strabone (1); più diffusamente vi si occupò Plinio (2); ma con maggior enfasi di eloquenza così Virgilio (5) cantava:

« Ecce Sabinorum prisco de sanguine magnum

» Agmen agens Clausus, magnique ipse agminis instar

>> Claudia nunc a quo diffunditur et tribus et gens,

» Per Latium, postquam in partem data Roma Sabinis.
» Una ingens Amiterna cohors, priscique Quirites,
» Ereti manus omnis oliviferaeque Mutuscae:
» Qui Nomentum urbem, qui rosea rura Velini,

» Qui Tetricae horrentes rupes montemque Severum,
Casperiamque colunt, Forulosque et flumen Himellae :

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» Qui Tiberim Fabarimque bibunt, quos frigida misit

» Nursia, et Hortinae classes, populique Latini :

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Coi quali versi ci fa sapere il poeta anche i nomi di alcune città, che ne componevano la provincia, de' suoi fiumi e della sua amenità.

Sino dal tempo del pontificato di s. Gregorio, la provincia della Sabina fu donata in gran parte alla Chiesa e ne aumentò il patrimonio. In varie età fu posseduta da differenti tiranni: Luitprando re dei Longobardi la tolse a Trasamondo duca di Spoleti e la ridonò al papa s. Zaccaria: usurpata nuovamente da diversi potenti, fu riconquistata alla Chiesa dall'imperatore Carlo Magno e donata al pontefice Adriano I. Da ciò « na» cque, al dire del Piazza (4), che i vescovi della Sabina, come custodi » del primo patrimonio della chiesa incoronassero in Roma gl'impera» tori, come segui di Ottone, Enrico ed altri, » allorchè per altro fosse stato assente il pontefice. Al quale proposito nota il Baronio (5), che sotto il pontificato di Clemente V, essendo insorta questione in un concistoro tra il vescovo della Sabina e quello di Ostia e quello di Albano, intorno alla giurisdizione d'incoronare Enrico, in assenza del papa, fu

(1) Lib. 5.

(2) Lib. 13, cap. 12.

(3) Æneid. lib. vii, vers. 706 e seg.

(4) Luog. cit. pag. 1266.
(5) Annal. Eccles. ann. 1321.

deciso a favore del cardinale Palagrua, vescovo della Sabina, il quale di fatto lo incoronò.

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È da notarsi inoltre, che mentre tutti gli altri vescovi portano il titolo della città principale, ove hanno residenza, questi della Sabina portano invece il titolo della provincia, a cui presiedono; benchè nel territorio di loro giurisdizione ne abbiano avuto molte e cospicue. Nemmeno aveva per lungo tempo il vescovo della Sabina una ferma residenza, ove tenere il suo trono se pur non vogliasi dire chiesa di sua residenza quella, ove prende ordinariamente il possesso della sua diocesi, ossia l'antica cattedrale di Magliano. Laonde anche il Biondo ne stabiliva qui assolutamente la cattedrale e diceva: « Post arduum montem, in quo Mallianum est, » descendentes in Sabinae mediterranea, vallem inveniunt, ut in mon» tuosa regione, ampla in qua Imoli fluvio proxima est s. Mariae sancti» que Euthymii Ecclesiae Sabinae regionis episcopium cui dextrorsum adjacet oppidum Turres pro civibus vetustissimis Numae Pompilii pa» tria appellatum. Beatus enim Gregorius in registro scribens Gratioso episcopo Nomentano, curam gubernationemque sancti Euthymii eccle» siae in Sabinarum territorio constitutae committit; desolata namque >> ecclesia Sabinensi, aliquando sub Nomentano episcopo mansit, quousque » eadem Nomentana civitas penitus desolata Sabinensi unita est, transla» tum episcopium in Malliano oppido. » Ricevette senza dubbio questa Provincia il lume della fede nei tempi apostolici, e forse l'istesso apostolo s. Pietro ve la predicò : certo è che sino dai primi secoli ne fu innaffiato il terreno del sangue dei magnanimi confessori. Chi poi fosse il primo pastore, a cui veniva raccomandata la cura di questa porzione dello spiritual gregge cristiano, resta tuttora avvolto tra la caligine degli antichi secoli. Tre diocesi comprendeva in sè la provincia della Sabina, e i vescovi di esse a poco a poco, col cadere delle loro città, vennero a concentrarsi nel solo vescovo Sabinese: anzi parmi presumibile, che or questo or quello di loro s' intitolasse talvolta vescovo della Sabina, invece che della propria chiesa, perchè contenuta nei confini della stessa provincia. Erano infatti le tre diocesi: Curi, oggidi Torri; Foronovo o santo Eulimio; Nomento, ora La Mentana: e moltissime volte si trova soltoscritto lo stesso vescovo in più alti ecclesiastici, ora col qualitativo di vescovo salinese, ora con quello da vescovo di sant' Antimo, che sarebbe di Curi. Ciò puossi vedere del vescovo Dolcizio, che sottoscrisse ai

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