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C.

CI.

CII.

XCIX. Nell' anno 1574. Scipione I Rebiba.

1577. Giacomo Savelli.

1578. Giannantonio II Sorbelloni.

1578. Antonio IV Pernotto.

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FIDE NE

Pare che appartenesse all'antica provincia della Sabina, tra le mol

te città, anche questa di FIDENA O FIDENE, la quale al giorno d'oggi non è più che un piccolo castello nominato Castel Giubileo; e poichè un tempo ebbe essa una sede vescovile, che ora più non esiste, perciò di essa mi faccio a parlare con apposito articolo.

Il suo luogo è sopra gli scosesi colli a destra della via salaria, cinque miglia a un bel circa fuori di Roma. Dicesi fabbricata da Ascanio figlio di Enea: certo è, che Latino Silvio re di Alba ne fece una colonia, che perciò fu detta colonia albana. Ne fu padrone dipoi anche Romolo, il quale vi pose un presidio e ne congiunse per la maggior parte il territorio a quello di Roma. Non andò guari, che i fidenati si rivoltassero contro Tullo Ostilio, che nuovamente se ne impadroni e ridusse la città in colonia romana. La scena si rinnovò sotto Anco Marzio e sotto Tarquinio Prisco ; ma in quest' ultima circostanza Fidene restò in potere degli etruschi. Sesto Tarquinio ne instigò di bel nuovo gli abitatori a prendere le armi in compagnia di tutti i Sabini a favore dei re, contro la nascente repubblica di Roma. Incominciato il quarto secolo, i fidenati congiunti in alleanza or cogli etruschi or coi veienti non cessarono di resistere alla romana potenza, finchè il dittatore Mamerco Emilio la oppresse colle vittoriose sue armi, la saccheggiò, la smantellò, ne vendette all'incanto i cittadini avanzati dalla strage.

A poco a poco risorse ancora Fidene dalle sue rovine, sicchè verso la metà del primo secolo dell' era cristiana par che fosse una città con senato e dittatore, e colle altre prerogative cittadinesche. Tacito e Svetonio parlano di uno spettacolo di gladiatori, dato in Fidene nell'anno 26 dell'era nostra, in cui la mal ferma costruzione dell' anfiteatro, che

perciò in sul più bello della festa crollò, fu cagione che perissero o restassero mal conci nella persona intorno a quaranta mila, secondo Tacito, o sopra ventimila, secondo Svetonio (4). Di Fidene cristiana poche notizie si hanno. Presso il bibliotecario Anastasio la si trova nominata come città: anzi nella vita del pontefice s. Silvestro ci fa sapere, che l' imperatore Costantino donò alla chiesa di sant' Agnese tutte le terre che stavano circa civitatem Fidenas. Di due soli vescovi si trovano memorie : di GERONZIO, il cui nome si legge nel concilio romano del 502 sotto il papa Simmaco; e di GIUSTINO, che nel concilio romano del 680, sotto il papa Agatone si vede sottoscritto: Justinus fidentinensis. Ma quind' innanzi Fidene peri vittima del furore e della barbarie longobarda: non se ne trova infatti più traccia veruna. Soltanto nel secolo decimoterzo cominciò a sorgere sulle rovine di essa un castello, a cui si diè il nome di Monte sant'Angelo, e n' erano padroni i monaci di s. Ciriaco. Fu di poi nominato Castel Giubileo perchè la famiglia romana Giubileo ne fu in seguito padrona: ce ne assicura un documento del secolo XIV, esistente nell'archivio del capitolo vaticano, il quale in sulla metà del secolo decimoquinto lo comperò dai frati di s. Stefano a Monte Celio, a cui dalla famiglia Giubileo n' era passato il dominio.

(1) Ved. Ughelli, Ital. Sacra, tom. x, pag. 97.

PALESTRINA

Indarno mi adoprerei se volessi la vera e precisa origine indagare

della città di PALESTRINA, detta dagli antichi PRENESTE. Molte e differenti sono le opinioni degli scrittori e chi la dice fabbricata da Preneste figliuolo di Latino e nipote di Ulisse, chi da Telegone figlio di Circe, chi da Cecolo o Caccolo figlio di Vulcano: altri pensano, che così la chiamasse l'oracolo dalle corone, con cui si videro la prima volta ballare gli abitanti di essa; altri, che le venisse un tal nome dalla eminente sua posizione in vago prospetto, quasichè si dicesse, che praeest agli altri monti vicini (1). Ne celebrano la bellezza e l'amenità i primarii poeti del Lazio. Qui aveva maestoso tempio la Fortuna Primogenia, a cui offerivano i suoi devoti veneratori corone e statue di bronzo, di marmo, di pietra cotta, a tenore delle proprie facoltà: molte di queste statue furono assai volte trovate nello scavare per i fondamenti di nuove fabbriche. Parla a lungo sul culto di questa dea Cicerone nel suo II libro De divinatione. Qualche lapide esiste anche oggidì, la quale ricorda gli ossequii di alcun suo devoto: negli orti del magnifico palazzo Barberini, ch'è piantato sulle rovine di questo tempio, se ne trovò una in sul principio del secolo XVIII, la quale dice:

FORTVNAE. PRIMIGENIAE
MARCIVS. TELESPHORVS
VOTVM. SOLVIT.

(1) Ved. il Piazza nella sua Gerarchia Cardinalizia, pag. 213.

Vol. 1.

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