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re; Guelfi i plebei, per indole, e per ulteriore amore di libertà.

Finalmente dal medesimo ceppo d'ogni male, l'indipendenza incompiuta, venne l'ultimo e pessimo danno de' tiranni, o principi di fatto senza diritti fermi. I più erano discendenti degli antichi Conti e Marchesi delle città, che spogli d'ogni autorità entro le mura, potenti fuori in lor terre e castella, rientrarono poi a guerreggiarle e signoreggiarle. Altri, feudatarii nuovi venuti d'oltremonte, fecero il medesimo; ed altri poi sorgendo dalla plebe, erano da qualche aura popolare portati a tirannia. Chiamavansi, al solito, non più che capitani del popolo, o podestà, o l'uno e l'altro insieme: quello, nome antico, ma diventato più importante per essere ora un solo in luogo di parecchi; questa, istituzione nuova, introdotta principalmente dai due Federighi I e II, invece de' consoli da essi odiati. Ma appena introdotti, si mostrarono più addetti alla città che li pagava, che non al principe che gli istituiva; ondechè in breve anche le città più amanti di libertà accolsero la istituzione, meno pericolosa oramai per l'origine nemica, che comoda per sua unità. Ma capitani e podestà, d'origine imperiale o comunale, di schiatte antiche o nuove, straniere o italiane, tutti, quando potevano e fin che potevano, affettavano la suprema potenza. Pochi Comuni furono così prudenti da tenersi sempre illesi di siffatte tirannie.

Ed ora si vede quale dovess' essere la condizione d'Italia, quale la testè sorta e già depravata virtù. La compiuta indipendenza è la prima necessità di uno Stato, qualunque sieno le forme di esso, le quali poco importano al paragone. Ad ogni forma è necessaria quella definizione e stabilità, che gli uni chiamano legalità, e gli altri con poca differenza legittimità; alla quale quanto più toccano le parti, tanto più sono pervertitrici. Le incertezze de' diritti, le infedeltà, i tradimenti, i pronti innalzamenti, le frequenti cadute, le ricchezze e le povertà subitane sono cause irre

sistibili di pervertimenti. E così è che la misera Italia, sorta alle virtù cittadine e private nelle virtuose lotte del secolo XII, cadeva ora nei vizii cittadini e privati tra le viziose del XIII. Nè sia chi ne accusi la sorgente civiltà. Obsoleto, e direi quasi pagano modo di pensare: credere inevitabil compagna della civiltà la corruzione, e predestinati noi ad essere alternatamente barbari o corrotti. Tal fosse o no la necessità della civiltà antica, tal non può essere nè è della Cristiana. E senza parlar d' altri secoli, non fu nel XIII la civiltà quella che corruppe; ma fu corrotta essa con ogni virtù dalla incompiuta indipendenza.

E siffatta differenza di virtù tra i due secoli XII e XIII, dimostrata da tutti i fatti della storia, e notata dagli storici che si venivano dirozzando, è descritta poi e vituperata principalmente in tutto il poema di Dante; tanto che, se non fosse questo la più magnifica tra le poesie delle Lettere risorte, ei sarebbe ancora il più importante tra i documenti della nostra storia moderna. Tra i molti luoghi di Dante che accennano a tal mutazione, è solenne quello ove dice:

In sul paese ch' Adice e Po riga,
Solea valore e cortesia trovarsi,
Prima che Federigo avesse briga. ‘

PURG. XVI. 115-17.

Ma più solenne ancora è quel paragone dei costumi dei due secoli in Firenze; il quale, non essendo come in altri poeti amplificazione su un secolo d'oro immaginario, nè come in altri moralisti vano lamento dell' età peggiorate, ma descrizione piena di storici particolari, parmi quindi che possa essere opportuna introduzione ad intendere il secolo e la vita di Dante. Epperciò, quantunque notissimo, lo pongo qui; come porrò poi altri luoghi del mio Autore,

1 Contendesi tra gli interpreti, se debba intendersi di Federico I o II. Potrebbe credersi del I, perchè questi fu che ebbe più briga tra l'Adige e il Po: ma ad ogni modo, Dante desidera qui la cortesia antica, o del fine del secolo XII, o del principio del XIII.

ad uso di quelli fra i miei leggitori, che su un semplice cenno non ricorrerebbono forse al loro Dante, e lascerebbero così le presenti narrazioni spoglie della necessaria evidenza.

La descrizione è fatta a Dante in Paradiso da uno de' suoi antenati vivuto tra il 1100 e il 1150, e morto alla crociata di Corrado III, ed è questa:

1

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↑ Chi mi abbia conceduto l'arrecar i passi di Dante, forza è mi conceda alcune note ad uso de' medesimi leggitori, che non amino d'aver più libri alle mani. Ma mi ridurrò alle interpretazioni indispensabili, rimandando chi non si contenti agli interpreti; i migliori dei quali sono raccolti nell'edizione della Minerva (Padova 1822, vol. 5 in 8o), da me seguita.

2 In mezzo alla città, e così nella cerchia antica di Firenze, era la Badia, e sulla torre di essa la campana che sonava le ore.

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Contigie si chiamano calze solate col cuojo, stampate intorno al piè (Crusca). Ma si usa anche per ogni ornamento... dal lat. comptus (Ed. Min.). 4 Cioè scostandosi dalla giusta misura il matrimonio in anni troppo verdi; e la dote coll' eccesso. (Ed. Min.)

5 Qui mi scosterei dagli espositori da me veduti; parendomi che s'accennino non case vuote di servi, o abitatori in generale, ma di figliuolanza per vizio. È più d'accordo con quanto precede e segue, e più amaro contro il mal costume dei tempi.

6 Montemario, allor detto Montemalo, per cui allora si giungeva a Roma, e I'Uccellatojo per cui anch'oggi si giunge a Firenze; dai quali l'una e l'altra si veggono, e sui quali erano le villeggiature dei Romani e de' Fiorentini.

7 Potente cittadino de' tempi virtuosi, e così altri nomati più giù.

Vila di Dante.

2

E vidi quel di Nerli e quel del Vecchio
Esser contenti alla pelle scoverta,1

E le sue donne al fuso ed al pennecchio.
O fortunate! e ciascuna era certa

2

Della sua sepoltura, ed ancor nulla
Era per Francia nel letto deserta.
L'una vegghiava a studio della culla,
E consolando usava l'idïoma

Che pria li padri e le madri trastulla;
L'altra, traendo alla rocca la chioma,
Favoleggiava con la sua famiglia

De' Trojani e di Fiesole e di Roma. 3
Saria tenuta allor tal maraviglia

Una Cianghella,5 un Lapo Salterello,"
Qual or saria Cincinnato e Corniglia."

PARAD. XV. 97-129.

FIRENZE.

CAPO SECONDO.

- MAGGIORI, NASCITA, E PRIME IMPRESSIONI
POLITICHE DI DANTE.

[1265-1284]

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Onorate l' altissimo Poeta:
L'ombra sua torna.
INF. IV.

I principii di Firenze oscurati dalla smania de' suoi primi cronachisti per le origini romane, anzi trojane, e poi dalla incomposta erudizione di alcuni scrittori posteriori, sono poco noti; ma non può esser ufficio nostro il rischia

1 Pelliccie semplici senz' ornati.

2 A mercanteggiare, ovvero ad esulare come il Poeta.

3 Nota come in questo favoleggiava delle origini supposte di Firenze, il Poeta si mostri più storico che non gli storici contemporanei suoi, i quali ne narravano da senno. Ma così succede de' grandi ingegni, che veggono le verità quasi per intuizione; mentre gli altri se ne scostano tra la farraggine de' particolari accumulati per iscoprirla o descriverla.

Manca per elisione stata.

5 Nobile fiorentina molto lasciva de' tempi di Dante. (Ed. Min.)

6 Giudice fiorentino carico di vizii da Dante, quantunque, o appunto per

che compagno mal gradito di Dante nell' esilio. (Ed. Min.)

7 Per Cornelia, madre de' Gracchi.

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rarli con particolarità. Città etrusca di poco conto per la vicinanza a Fiesole maggiore di essa, poi colonia romana, poi capo di ducato longobardo, poi Comitato sotto i Carolingi, ella fu con Lucca e Pisa una delle città possedute da quei Conti e Marchesi di Toscana, che furono così potenti e così ricchi ne' secoli X ed XI. Sono famose le magnificenze di Bonifazio marchese; e perchè qualche causa dovette pur essere di esse, certo è che fin d' allora dovettero fiorire per il loro commercio le città toscane; e Pisa principalmente per quello di mare, Firenze per li suoi lanifizii, per li cambi da lei inventati, e per li traffichi di terra, a che era ajutata dalla sua bella ed opportuna situazione in mezzo alle due Italie settentrionale e meridionale. Perchè poi il commercio di mare è naturalmente belligero, quello di terra pacifico; Pisa fu delle prime città guerreggianti e quindi delle prime libere, Firenze dell' ultime. Trovasi memoria, che ella combattè a lungo, e poi distrusse Fiesole, ed all' uso romano ne trasportò gli abitanti nelle proprie mura l'anno 1010; ma non è provato da nulla, che fosse tal guerra fatta da Firenze libera, anzi che dai Conti di essa. Ancora, quelle guerre dei cittadini contro i Capitani, o Cattani, o feudatarii principali del distretto, che segnano in ogni città d'Italia l'origine della indipendenza, e che veggonsi fatte da' Milanesi fin dal principio del secolo XI, non furono incominciate da' Fiorentini se non al principio del XII, e secondo il Villani precisamente nel 1107. In tali anni stava Firenze sotto l'ultima erede dei Marchesi di Toscana, contessa Matilda, la grande avversaria degli Imperadori, la gran protettrice dei Papi e della indipendenza italiana; la fondatrice, che si potrebbe dire, con Gregorio VII della parte della Chiesa, detta Guelfa più tardi. Vedesi, quindi, Firenze essere stata culla fin d'allora di quella parte onde fu poi rôcca principale. Ma appunto perchè Matilda era della parte nazionale, perciò le città non cercarono liberarsi da essa, e la tranquilla obbedienza dátale, lasciò meno tracce nelle

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