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il poeta latino. L' Alighieri attraversa l'Inferno vedendo le pene dei dannati e parlando con alcuni di questi; percorre il Purgatorio osservandone le penitenze, giunge al Paradiso terrestre, che è in vetta al monte del Purgatorio; qui a Vergilio sottentra Beatrice, la quale guida Dante attraverso i nove cieli sino a Dio.

Questo senso letterale, asconde un significato allegoricomorale, che è appunto lo scopo del Poema. Morta Beatrice, il Poeta si lasciò andare ad una vita traviata, e questo traviamento fu preso da lui come simbolo della umana corruzione di costumi. Nell'anno del Giubileo (1300) pensò con pentimento a' suoi errori e volle ravvedersene. Scelse appunto l'epoca del Giubileo pel suo viaggio ne' tre mondi, come la più adatta al pentimento. Nel Poema, l'Alighieri rappresenta l'uomo, la cupa selva, gli errori umani che lo traviano; il colle illuminato dal sole, la virtù che l'uomo, accorto de' propri vizi, cerca di raggiungere; le tre belve sono: la lussuria, la superbia e l'avarizia che gl' impediscono di ravvedersi. Per conseguire questo scopo, gli è necessario l'aiuto della ragione, della scienza umana, simboleggiata in Vergilio, la quale fa conoscere all'uomo i vizi e i mali che ne derivano (viaggio all' Inferno); dopo di che nasce il pentimento; e, purgatasi colla penitenza (viaggio al Purgatorio), l'anima può finalmente godere la felicità terrena (Paradiso terrestre). Dante distingue questa, che chiama felicità della vita attiva, dalla felicità spirituale, che chiama felicità della vita contemplativa. Per giungere alla vera beatitudine celeste, la ragione, la scienza umana non basta, è necessario l'aiuto della scienza divina, della teologia, della fede, rappresentata in Beatrice, che conduce Dante fino al trono del Signore. La Divina Commedia è dunque simbolo della vita umana nel vizio, nel pentimento e nella perfezione; l'uomo simboleggiato in Dante, è condotto alla virtù per mezzo dell'esperienza. Infatti Vergilio dice:

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per dar lui esperienza piena

A me, che morto son, convien menarlo

Per lo Inferno quaggiù di giro in giro. 1)

Il mistico viaggio è la ricerca della libertà dello spirito e della pace dell' anima. Nel primo canto del Purgatorio, Vergilio dice a Catone parlando di Dante:

Or ti piaccia gradir la sua venuta,

Libertà va cercando ch'è si cara;

e, nel XXXI del Paradiso, Dante, rivolto a Beatrice, esclama: Tu m' hai di servo tratto a libertade. 1)

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Pensoso d'altrui e di sè stesso, esule, misero, nel grande cuore egli riflette alla condizione infelice dell' Italia e, nulla potendo operare pel bene immediato e della patria e suo, per la libertà che doveva schiudergli le porte di Firenze, medita sul miglioramento dello spirito, sul progresso morale, cui col suo Poema spera iniziare il popolo che, a sua volta, divenuto più degno e virtuoso, potrà rendersi padrone di sè e tornare a dignità le sorti cittadine.

A differenza dei letterati del tempo suo, egli non scrive pei dotti, ma pel popolo, non in latino, ma in volgare, vuole che tutti lo intendano ed inizia così una nuova letteratura.

Moltissimi critici, vedono nel Poema anche un'allegoria politica; e vogliono che la selva oscura sia l'Italia, sconvolta e discorde; la lonza dalla pelle maculata, Firenze divisa in Bianchi e Neri; il leone, la Francia che s' intrometteva nelle cose nostre, non arrecando che del male; la lupa, la Corte Romana.

Dante immaginava una monarchia universale, e in un Imperatore residente in Roma, ne sognava il capo, cui ogni altro principe fosse sottomesso; solo così, a parer suo, il mondo avrebbe potuto esser felice e virtuoso; la fazione guelfa, che si opponeva all' Imperatore, era causa che lo ideale suo non potesse raggiungersi e le principali potenze guelfe erano Roma, Francia e Firenze; la prima peccava di avarizia, di violenza la seconda e di frode la terza; per questo le vediamo personificate nelle tre belve.

Vergilio parlando della lupa dice che verrà un veltro, incurante di stati e di ricchezze, il quale la farà morire di doglia e che sarà salute della bassa Italia; in questo veltro, chi vede un personaggio indeterminato, ideale, chi un papa, chi Uguccione della Fagiuola, chi Can Grande della Scala, chi Arrigo VII di Lussemburgo.

Il mistico viaggio incomincia nel Marzo del 1300 e, per molti critici, precisamente la notte dal 24 al 25 Marzo,

1) Parad XXXI, 85.

2) Purg. V, 61-63.

la quale divideva l'anno 1300 dal 1301 secondo il computo dall' Incarnazione; per altri critici, il viaggio ha principio la notte del 26; è dura una settimana. Il Venerdì Santo passa nella selva, il Sabato Santo nell' Inferno, quattro giorni nel Purgatorio e trentasei ore nel Paradiso.

L'Inferno è un baratro di forma conica, che si sprofonda nelle viscere della terra, al centro della quale ha il suo vertice; il Purgatorio, antipodo a Gerusalemme, è un' isoletta su cui s'erge un monte in forma di cono tronco; il Paradiso è la riunione di nove cieli concentrici contenuti nell'Empireo, che ruotano intorno alla terra, centro immobile.

L'idea del Poema, è cristiana, e cristiane son tutte le dottrine accolte dall' Alighieri; tuttavia egli toglie nomi e particolarità esteriori dall' antichità pagana e dalla mitologia: ad esempio nella Divina Commedia troviamo i fiumi e le paludi infernali Acheronte, Flegetonte, Cocito e Stige; troviamo, fra il Purgatorio ed il Paradiso terrestre, i due rivi Lete ed Eunoè e le figure di Caronte, di Cerbero e di Minosse, le Arpie, le Furie, i Centauri ecc. Ciò si deve, probabilmente, all'influenza dei classici sulla mente di Dante: egli prese quelle immagini pagane, per rivestirne, quasi di un manto metaforico, idee cristiane.

L'originalità del Poeta si rivela dovunque, come si manifesta la superiorità della sua immaginazione su quella di tutti i poeti che rappresentarono i regni eterni. Egli pone l'Inferno sotterra, come generalmente veniva supposto dalla fantasia del popolo e da quella degli scrittori, ma, mentre gli altri ne fanno una regione indeterminata e vaga, senza contorni, egli ne dà un disegno preciso, la suddivide con esattezza geometrica. Fino allora si era immaginato il Purgatorio quasi come un vestibolo dell' Inferno; Dante invece, con un alto sentimento della dignità delle anime purganti, ne fa un regno a parte, dove non è più nemmeno il ricordo della dannazione, dov'è luce e speranza. E il Paradiso, immaginato dai precedenti come una campagna, o un palazzo, o un giardino, ricco di pietre preziose e sede di delizie terrene, è posto dall' Alighieri nel cielo ed è felicità spirituale.

Di tutta la Divina Commedia, il protagonista vero è Dante, sicchè a ragione disse il Gozzi che il Poema avrebbe potuto esser intitolato Danteide; ma con lui grandeggiano nell'opera due figure: Vergilio e Beatrice. Vergilio, poeta insuperabile, innamorò dell'arte sua Dante, che ne studio il volume con lungo amore e che nel savio gentile, considerato dal superstizioso Medio Evo un santo o un

negromante, 1) vide colla sua tendenza al simbolismo, la perfezione della scienza umana, e ne fece il simbolo della ragione, della filosofia morale, che guida l'uomo a scorgere il vizio e a ravvedersi. Scelse Vergilio a questo ufficio, perchè « Vergilio appariva a Dante come l'uomo nel quale la ragione, non ancor guidata dalla fede, aveva parlato più rettamente e più altamente. Nel regno dell' umano, nessuno aveva raggiunta l'idealità morale a cui era arrivato Vergilio. »2)

Adorata con venerazione in vita, Beatrice, morta, diviene pel Poeta l'ideale d'ogni eterna virtù; e, dovendo eleggere una guida, che di ciel in cielo lo conduca sino a Dio, egli pensa naturalmente alla fanciulla che fece battere così virtuosamente il suo cuore giovanetto; ma Beatrice nel Poema non è più soltanto la dolce Fiorentina, è il simbolo della teologia, della fede, che, sola, può dare all'uomo la felicità dello spirito:

Quanto ragion qui vede

Dir ti poss' io; da indi in là t'aspetta
Pure a Beatrice ch'è opra di fede. 3)

Come i cieli danteschi si avvolgono intorno alla terra, così il Poema ha quasi per centro prima Dante, indi Firenze, poi l'Italia; chè nel soggiorno dei morti, l'Alighieri porta la vita, nell'eternità porta il mondo, nella Divina Commedia riflette il Medio Evo, specie il trecento italiano e più particolarmente fiorentino. La Visione non è puramente mistica: arte, scienza e storia convengono a darle importanza; somiglia a uno dei grandi paesaggi ove all'orizzonte, il cielo si confonde colla terra.

Il Poeta vi è sempre uomo de' suoi tempi, affettuoso, sdegnoso od irato; le anime, come nell' Inferno e nel Purgatorio rivestono apparenza di persone, così hanno sentimenti e passioni umane; e da questo deriva la drammaticità del Poema, che rispecchia in sè le tenebre e la luce, le grandi miserie e le sublimi speranze, i tremendi dolori e la fede dell'epoca che lo vide sorgere, anzi di tutta l'epoca medioevale. Dice il Carlyle: « Dieci secoli hanno preparato la Divina Commedia il più gran libro moderno. »>

1) A procurargli questa fama, oltre il nome della madre Maja, maga, e l'alto concetto, in cui era stato tenuto nell' antichità, valsero l'uso che si faceva de' versi suoi per trarre le sorti (sortes Vergiliana), il libro VI dell'Eneide ove narra la discesa d' Enea all' Inferno ed alcune sue egloghe in cui par che spiri un'aura profetica: nella quarta ove parla della nascita del figlio di Pollione, alcuni immaginarono predetta la venuta di Cristo (V. Purg. XXII, 67 e seg.).

2) BARTOLI

Storia della Lett. Ital. vol. VI, parte I., cap. I.

3) Purg. XVIII, 44-46.

Colpito crudelmente, Dante, fuggendo la realtà amara, si rifugia coll' animo nell' arte e nella fede; e l'arte ispirata dalla fede, crea la Divina Commedia, che è il Poema italiano per eccellenza, ma è altresì il Poema dell' umanità. Tuttavia, in questo suo sacro rifugio, le immagini del mondo in cui vive, della patria che, malgrado tutto, ama infinitamente, lo riassalgono di continuo e nella mistica visione introducono l'elemento umano. Nei regni eterni Dante vede ancora il suo bel S. Giovanni e, compenso all'opera sua immortale, sogna il ritorno a Firenze:

Se mai continga che il poema sacro,

Al quale ha posto mano e cielo e terra,
Si che m'ha fatto per più anni macro,
Vinca la crudeltà, che fuor mi serra

Del bello ovile, ov' io dormii agnello,
Nimico ai lupi, che gli danno guerra;
Con altra voce omai, con altro vello
Ritornerò poeta, ed in sul fonte

Del mio battesmo prenderò il cappello. 1)

Quanto Dante dice sullo stile nel libro De Vulgari Eloquentia è da lui posto in atto nella Divina Commedia; in essa adopera il volgare che chiama illustre, cardinale ed aulico, in essa purga la lingua << di tanti rozzi vocaboli, di tante difettive pronunzie, di tanti contadineschi accenti, scegliendo solo quelle parti che erano sane, districate, perfette e civili »;2) e l'adopera a cantare i più alti concetti, le teorie più astruse, come ad esprimere ogni sentimento ed ogni fantasia: meritamente egli è chiamato il padre della lingua e della letteratura italiana.

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il

La potenza dello stile dantesco è inimitabile, poichè il Poeta ha il secreto di infondere la vita ne' fantasmi della sua mente, unendo alla più alta idealità, il più profondo sentimento del vero. Perfetta è nella Divina Commedia la rispondenza fra l'idea e la parola, per cui, nella forma, pensiero si rivela nitidissimo, quasi, attraverso l'aria serena, un paesaggio. Lo stile passa dall'umile al sublime, secondo gli argomenti, e, com'è possente a porre in evidenza le più cupe bolgie dell' Inferno e gli abissi fangosi di anime bassamente malvagie, così sa elevarsi a cantare, colla gloria

1) Par. XXV, 1-9.

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