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rimproveri, amari sì, ma pieni di secreto affetto! Come è naturale il confronto che ella fa tra il suo vivissimo e santo amore ed i folli allettamenti altrui! Il sentimento della donna prorompe e Dante trova appena la voce per rispondere piangendo: Quando non vidi più il vostro viso, le altre cose a me presenti mi attirarono con falso piacere. La confessione mitiga il rigore e la celeste donna più mitemente si volge al Poeta; tuttavia perchè più si vergogni e perchè un'altra volta udendo le sirene sia più forte, ella ricorda come nel mondo nulla diede a lui tanto piacere, quanto le belle membra di lei, che ora son terra. Se questo piacere gli venne meno, nessuna cosa mortale doveva più allettarlo; egli doveva levarsi al Cielo col pensiero, dietro a lei che v'era salita:

Non ti dovea gravar le penne in giuso,
Ad aspettar più colpi, o pargoletta
O altra vanità con si breve uso. 1)

Mai nella Divina Commedia Beatrice è umana e veramente donna come in questo canto. Qui si scorgono realmente in lei quei raggi divini di donna che il De Sanctis accenna; qui ella non è la scienza divina, astrazione fredda nel suo splendore, ma un essere vero che ama, pensa e parla, come se appartenesse tuttavia alla terra. Quanto accoramento in lei quando ricorda che Dante si è lasciato allettare da un' altra pargoletta, scordando l'unica cui doveva tutto il cor suo! Come i fanciulli vergognosi e pentiti, 2) chinan gli occhi a terra, tale sta Dante ascoltando la voce che lo rimprovera : « Se l'udirmi ti affligge, alza la barba, guardami e soffrirai ancor più. >> Un albero vigoroso si sradica più facilmente al vento nostro od al vento africano, ch' egli non levi il viso a quel comando: e quando sente nominare la barba per il viso, ben conosce il veleno dell' argomento: ella ha nominato la barba per fargli comprendere che all' età sua egli avrebbe dovuto, al par degli uccelli, sapersi guardar dalle reti. Dante leva gli occhi, vede Beatrice tanto più bella di un tempo, quanto in terra ell'era più bella d'ogni altra donna; il pentimento, il rimorso lo pungono più che mai; egli sente d'odiare tutto quello che lo tolse alla sua donna e, degno finalmente di salire al cielo, è tuffato da Matelda nelle acque del Lete.

1) Purg. XXXI, 58-60.

2)

Buono e ottimo segno è nelli pargoli e imperfetti d'etade, quando, dopo il fallo, nel viso loro vergogna si dipinge: » Convivio, 1V, 19.

CAPITOLO VII.

IL PARADISO

Posizione e forma.

Suddivisione del Paradiso.

Rias

· I cori angelici. Dante e la Teologia. II Cieli simbolo delle scienze. Posizione apparente e posizione reale delle anime beate. sunto del viaggio traverso il Paradiso. I nove Cieli. Trionfo di Cristo e di Maria. La gloria dell' Empireo. Caratteri della terza Cantica.

Nell'immenso Empireo nove cieli concentrici si avvolgono con moto continuo intorno ad un centro immobile che è la terra, per lo ferventissimo appetito di unirsi all'immobile Empireo, sede di Dio. I nove cieli son quelli della Luna, di Mercurio, di Venere, del Sole, di Marte, di Giove, di Saturno, delle Stelle Fisse e del Primo Mobile; essi sono materiali, l' Empireo non è che luce ed amore. In ogni cielo sta un coro angelico: nella Luna gli angioli, in Mercurio gli Arcangeli, in Venere i Principati o Principi celesti, nel Sole le Potestà, in Marte le Virtù, in Giove le Dominazioni, in Saturno i Troni, nelle Stelle Fisse i Cherubini, nel Primo Mobile i Serafini. Ne' suoi cieli angelici il Poeta non si scosta mai dalla teologia cattolica: dal lato scientifico gli stanno innanzi i cieli aristotelici, quelli tolomaici e le tradizioni platoniche che negli astri abitassero intelligenze superiori all'uomo; dal lato religioso, oltre i ricordi biblici, egli tiene per guida le dottrine di S. Tommaso, con lui distingue gli angioli in tre gerarchie contemplanti le persone della Trinità, gerarchie di cui ognuna ha tre ordini. I cieli sono pel Poeta simbolo delle scienze: « Alli sette primi rispondono le sette scienze del trivio e del quadrivio.....; all'ottava spera, cioè alla stellata, risponde la scienza naturale, che fisica si chiama; e alla nona spera risponde la scienza morale; e al cielo quieto risponde la scienza divina che è teologia appellata. » 1)

Come l'Inferno è tutto tenebroso, senza stelle,1) mondo cieco, 2) oscuro, profondo, nebuloso, 3) così il Paradiso è tutto luce, è un mare di raggi, di fiamme, di gemme vive, che, insieme all' amore da cui dipende il moto celeste, emana da Dio. Le tenebre infernali simboleggiano la mancanza della grazia divina, la luce del Paradiso rappresenta allegoricamente il divino favore. Le anime beate sono tutte nel Paradiso, ma secondo i loro meriti appaiono nell'uno o nell'altro cielo, come fulgide luci: dopo il giorno del Giudizio rivestiranno la carne, gloriosa e santa, dalla quale verrà loro anche più grande splendore. Guidato dalla luce degli occhi di Beatrice, che si fa sempre più fulgida, Dante si alza di sfera in sfera. Il Poeta vede la sua donna guardare il sole così fissamente, come giammai aquila potè mirarlo, ed egli segue il suo esempio; non sopporta a lungo, ma abbastanza quella vista per notare come intorno sfavilli una luce, pari a quella del ferro rovente: egli è nella sfera del Fuoco. Non sa egli medesimo se ascenda al cielo in corpo ed anima o coll' anima soltanto che Iddio crea dopo il corpo. Al primo apparirgli di quel rosso sfavillio, egli, che si crede tuttavia sul sacro monte, ne rimane meravigliato e curioso, e Beatrice gli spiega dove si trovano. Tolto così al Poeta il primo dubbio per le sorrise parolette brevi, egli cade nella rete di un dubbio nuovo: come può alzarsi sopra quei corpi leggieri, aria e fuoco? Beatrice sospira di pietà e lo guarda con quel sembiante con cui la madre guarda il figliuolo deliro; gli spiega come l'ordine da cui tutte le cose sono riunite, fa l'universo simile a Dio, ordine perfetto; in quest' ordine son comprese tutte le nature, per cui si muovono nel gran mare dell' essere con un istinto che porta ciascuna al suo fine, istinto proprio non soltanto dei bruti e delle cose inanimate, ma anche degli esseri che hanno intelligenza ed affetti, i quali per natura tendono al cielo. Gli è vero che, come l'opera non riesce talvolta secondo l'intenzione dell' artista, perchè la materia non risponde all' idea, così le creature si allontanano talora da questa innata tendenza e, colla libertà di cui sono dotate, si volgono altrove; e, come si può veder il fuoco cader dalle nubi, così il primo impeto virtuoso dello spirito umano può essere ritorto da un falso piacere verso la terra. Dante, puro di peccato, deve levarsi alla sua sede naturale, l'Empireo, e sarebbe meraviglia se questo non

1) Inf. III, 23.
2) Inf. IV, 14.
3) Inf. IV, 10.

avvenisse. Dalla sfera del Fuoco il Poeta sale al cielo della Luna, dove stanno le anime di coloro che per forza altrui, non per propria colpa, mancarono in parte ai voti fatti a Dio: fra le altre, l'Alighieri vede Piccarda Donati e Costanza imperatrice, moglie di Arrigo VI. S' alza quindi alla sfera di Mercurio e vede più di mille splendori trarsi verso di lui; sono le anime che furono operose per desiderio di onore e che nobilmente adoprarono l' ingegno: Questa picciola stella si correda

De' buoni spirti, che son stati attivi
Perchè onore e fama gli succeda. 1)

In questo cielo che prende il nome da Mercurio, perchè Mercurio nell' antica mitologia è rappresentato attivissimo, stanno Giustiniano imperatore e Romeo. Dante non s'accorge di salire al cielo di Venere (dove stanno gli spiriti che in terra furon proclivi all' amore) se non che dalla bellezza più fulgente di Beatrice; colà egli trova Carlo Martello, Cunizza da Romano, e Folchetto da Marsiglia. Nella sfera del Sole appaiono le anime dei grandi teologi e dei padri della Chiesa: S. Tommaso d' Aquino, Alberto da Colonia, il monaco Graziano, che compilò la collezione di canoni ecclesiastici intitolata Decreto, Pietro Lombardo, Salomone ecc. Il dottore Angelico narra poeticamente la santa vita di S. Francesco d'Assisi, e S. Bonaventura tesse le lodi di S. Domenico; chè, questi due sostegni della Chiesa, sono considerati come modelli di perfezione angelica. Nell'affocato riso della stella di Marte, ove la luce è più rossa che negli altri cieli, Dante vede una croce luminosissima sparsa come la Via Lattea d'astri maggiori e minori che si muovono continuamente, e son le anime di coloro che santamente trattarono le armi. Una dolcissima armonia si sparge intorno ed il Poeta comprende due sole parole di quel canto: Risorgi e vinci; qui Dante incontra il suo trisavolo Cacciaguida. Nel sesto cielo, quello di Giove, risiedono le anime dei giusti:

che giù, prima

Che venissero al ciel, fur di gran voce, 2)

Giosuè, Giuda Maccabeo, Carlo Magno ecc. esse colle loro luci formano trentacinque lettere che compongono un verso di Salomone: Diligite justitiam qui judicatis terram. Indi, muovendosi continuamente si pongono in figura di aquila luminosa (simbolo della monarchia imperiale) e

1) Par. VI, 112-114.

questa, colle ali aperte, tutta formata di punti brillanti, simili a rubini in cui fosse acceso un raggio di sole, parla con una sola voce, esalta la divina giustizia e rimprovera l'ingiustizia umana. I più nobili di tutti gli spiriti sono quelli che formano l'occhio dell' aquila e sono i principi giusti, fra cui Guglielmo il Buono, re di Sicilia e di Puglia, Rifeo trojano e Trajano imperatore, questi due ultimi beati benchè pagani, il primo perchè ebbe da Dio aperti gli occhi alla futura venuta di Cristo e meritò il Paradiso per fede, speranza e carità; il secondo perchè in grazia delle preghiere di S. Gregorio, dopo morte, ritornò in vita e credette alla religione Cristiana.

Sopra una scala d'oro, raggiante come fosse percossa dal Sole, scendono e salgono numerosissime fiammelle; il Poeta è qui nel cielo di Saturno e le luci son le anime de' contemplanti, fra le quali S. Damiano e S. Benedetto parlano a Dante lamentando la corruzione dei preti e dei frati. Dante sale all'ottavo cielo, la sfera delle stelle fisse; quanto più ascende, tanto più il Poeta è avvalorato negli occhi e nell' intelletto: di lassù guarda il mondo e sorride del suo vil sembiante, poi rimira i sette grandi Cieli che ha già percorsi e li vede muoversi velocissimi, rispetto ad essi la terra non gli par più che un' aiuola. Scendono le schiere del trionfo di Cristo che fra gli spiriti beati è come un sole fra migliaia di lucerne, e con lui è Maria, viva stella, che vince lassù come quaggiù vinse. S. Pietro esamina il Poeta circa la fede, S. Iacopo sulla speranza e S. Giovanni sulla carità; tutto il Paradiso intuona gloria al Padre, al Figlio ed allo Spirito Santo, e le dolci melodie inebbriano Dante così, che tutto quel che vede gli sembra un riso dell'universo. Il Poeta sale al nono Cielo, il Primo Mobile, di cui il moto ha principio nella mente divina e di dove si propaga a tutte le sfere. Intorno ad un punto che raggia luce splendidissima, figura della Divinità, girano le ruote celesti, con moto sempre meno veloce quanto più si allontanano da esso; finalmente Dante sale all' Empireo, dove in realtà risiedono tutti i beati, benchè appaiano nei nove cieli. Un subito vivido lampo lo dispone a veder lo splendore di Dio, che gli si rivela in forma di un fiume di luce, fra due rive meravigliosamente fiorite; da esso escon vive faville che vanno a posarsi sui fiori, come rubin che oro circonscrive; il fiume diviene circolare, si trasforma ed apparisce l'alto trionfo del regno verace: Iddio è un lume splendidissimo, e intorno a lui a guisa di gradinata e in forma di rosa, stanno gli spiriti eletti; in mezzo agli an

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