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geli festanti la Madonna, vicino a lei Eva, Rachele e Beatrice. Nella sede celeste un posto è vuoto e su di esso sta una corona; è il seggio di Arrigo VII:

che a drizzare Italia

Verrà, in prima ch'ella sia disposta. 1)

Così, con una felice invenzione, Dante trova modo di mettere nel Paradiso l'alto Arrigo che nel 1300 era ancor vivente morì a Buonconvento nel 1313).

Per grazia ottenuta dalla Vergine, mercè le preghiere di S. Bernardo, di Beatrice e di tutto il Paradiso, Dante puó fissare la luce eterna, ove mira racchiudersi:

Legato con amore in un volume,

Ciò che per l'universo si squaderna; 2)

e può comtemplare i misteri della Trinità e dell'umanità di Cristo. La inente di Dante è percossa da un fulgore, non può sostener oltre la gloria del Paradiso e la mistica visione finisce. Dalla cantica risulta che Dante traversò i primi otto cieli in ventisette ore; nel Primo Mobile cessa ogni misura di tempo, ma si può congetturare che a compiere il gran viaggio egli impiegasse altre nove ore, in tutto dunque trentasei.

<< Io non sono d'accordo con la moderna critica nel giudicare l'Inferno molto superiore alle altre due Cantiche. . . . il Purgatorio e il Paradiso sono ugualmente, e forse anche più ammirabili. Ma, a vero dire, i tre compartimenti mutualmente appoggiati, sono l'uno all' altro indispensabili. Il Paradiso, tutto una divina e gloriosa musica, una sfolgorante mistica luce, è il lato redimente dell' Inferno, l'antitesi necessaria, senza cui l' Inferno parrebbe men vero. Tutti e tre formano quel Mondo Invisibile, raffigurato nella Cristianità del Medio Evo; una cosa memorabile e, nella sua intima essenza, anche vera, e per tutti. Dante ebbe la missione di esprimerla e di eternarla col canto. » 3)

Nel Paradiso l'elemento umano è più ristretto e primeggia invece la teologia e la speculazione filosofica, perciò la terza Cantica, più difficile delle altre due, ci prova

1) Par. XXX, 137-138.

2) Bar. XXXIII, 86-87.

3) CARLYLE - Lettura su Dante nel libro Sugli Eroi e il Culto degli Eroi.

come Dante sapesse rendere poesia vera il più astruso ragionamento. L'Inferno è tutto tenebre, il Purgatorio è rivestito dai raggi del sole, il Paradiso rifulge di splendore incomparabile: son fiamme i beati, luci eterne gli angeli, un lume d'infinito splendore è Iddio stesso. Eppure in queste scene celesti che dovrebbero apparire uniformi, quanta mirabile varietà! Canti dolcissimi, gemme, fiori rifulgono nella dimora degli eletti, ma la loro felicità è tutta felicità dello spirito:

Luce intellettual piena d'amore,

Amor di vero ben pien di letizia,

Letizia che trascende ogni dolzoré. 1)

Nelle invenzioni della terza Cantica Dante si leva di gran lunga sui poeti precedenti, come su tutti quelli che cantarono il Paradiso; innanzi a lui non s'immaginava la beatitudine celeste che con idee di dolcezze terrene; egli la trasporta nell' alto de' cieli e veramente celeste la raffigura: la vista di Dio è la suprema dolcezza, e l'amore che da lui emana riscalda tutti i beati di universa carità. Ancor più che nel Purgatorio appaiono riunite dall' amore le anime nel Paradiso; poche sono le grandi figure isolate; fra quelle che grandeggiano sopra le altre v'hanno Piccarda, Giustiniano, Romeo, Cacciaguida e parecchi santi. Due donne appaiono meravigliose di bellezza eterna e quasi divina fra le anime elette, Beatrice e Maria. Beatrice non è più la fanciulla fiorentina della Vita Nuova, nè la donna amante del Paradiso Terrestre: essa è un simbolo di quella che l'Alighieri teneva la più alta fra le scienze, la Teologia, essa è la celeste speranza dei beati, è il lume tra il vero e l'intelletto, il suo sguardo abbaglia, nè il suo sorriso può sostenersi; ma i contorni suoi si perdono nell'astrazione dell' infinita bellezza, così che la sua figura. non può più concepirsi. Maria è una bellezza che letizia, fin nel Purgatorio la si sente esaltata come esempio di ogni virtù, nel canto di S. Bernardo le sue lodi risuonano altissime: in lei, misericordia e pietà e magnificenza, in lei quanto in creatura è di bontate.

Come è meravigliosa la verità di Dante quand' egli dipinge la natura reale, così è magica la sua potenza nelle rappresentazioni fantastiche; e di queste si hanno esempi. stupendi nel Paradiso: la croce luminosa dei santi guerrieri, il trionfo di Cristo e di Maria, il fiume divino tutto luce da cui escon le gemme che vanno a posarsi sui fiori delle sue rive, la sublime scena finale dell'Empireo.

1) Par. XXX, 40-42.

Nel Paradiso si passa di meraviglia in meraviglia, una scala di eterna bellezza conduce alla bellezza suprema, a Dio, perciò l'argomento stesso esclude ogni idea troppo terrena e la viva drammaticità vien meno, ma in compenso l'arte trasfigura quella materia che avrebbe dovuto riuscir arida. Tuttavia la terra non è esclusa affatto dal Paradiso dalla Costellazione dei Gemelli Dante la vede lontana e misera e ne sorride di pietà; santamente irati gli eletti inveiscono contro i grandi del mondo; Giustiniano esalta l'Impero, fa la storia di Roma e condanna le fazioni. « Vi ha nella Divina Commedia di cotali bellezze che per intenderle, conviene in prima sentirle; ma troppe altre vi si racchiudono, le quali, ad essere sentite, fa d'uopo innanzi tutto che siano bene intese. Queste soprabbondano nell'ultima Cantica, dove le più sublimi verità dimostransi nel loro pieno splendore, e l'Artista nell'adunare gli sparsi raggi della scienza, sembra che a guisa di lucido cristallo, li franga, trasmutandoli in colori di mirabile bellezza e armonia. » 1) Non si può negare che la parte teologica e dottrinale, poca nell' Inferno, maggiore nel Purgatorio, sovrabbondi talora nel Paradiso dove, ancor più che nel resto del Poema, molti trovano sconvenienti le allusioni mitologiche, ma Dante le introdusse come poetiche allegorie. Però questi difetti scompaiono accanto agl' immensi pregi d' invenzione, di stile, di sentimento. Giustamente fu detto che dell' Alighieri molti esagerano gli odii, pochi comprendono gli amori; il Paradiso, scritto negli ultimi anni della vita di Dante, è tutto ispirato da un alto e sereno sentimento di fede che calma le terrene passioni e il dolore dell' esule, riconducendo i suoi pensieri alla più eccelsa meta; il sublime inno alla Madonna fu chiamato dall' Ozanam il Testamento di Dante. « Coloro che non leggono se non l'Inferno e non conoscono gli angeli e gli affetti del Purgatorio e la Beatrice del Paradiso terrestre e le gioie del Paradiso celeste, di Dante non conoscono se non la parte feroce, e lascian tutta la parte amorevole di lui. Chi non teme esaltare in sè le passioni amare, rilegga dunque continuamente l'Inferno; chi voglia temperarle co' dolci affetti, proceda al Purgatorio; chi voglia innalzare l'animo alle cose soprannaturali, legga il Paradiso; ma chi voglia conoscere Dante veramente, studi tutto il Poema nel quale tutto sono talor aperti, ma talor nascosti i tesori di quella ricchissima natura ». 2)

1) G. GIULIANI.

Conclusioni alle Lezioni sulla Divina Commedia.

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Fra le donne della Divina Commedia alcune sono simboli, personificazioni di concetti astratti, spiriti d'amore, di carità, di fede; tali: Beatrice, in cui, come disse il De Sanctis, raggi divini di donna balenano, ma raggi non luce continua, Rachele, vaga sempre di veder i suoi begli occhi, simbolo della vita contemplativa, Lia che muove le belle mani a farsi una ghirlanda, personificante la vita. attiva, Lucia, la carità illuminante, Matelda, l'amore alla Chiesa. Altre invece appaiono in tutta la forza della realtà umana e sono figure, anzi persone indimenticabili: tali Francesca da Rimini, Pia de' Tolomei, Piccarda Donati, così possenti nel loro fascino di sventura, di soavità e di pietà femminile, ed è notevole come queste tre donne appaiano ciascuna alla soglia di uno dei regni eterni. Dante in pochi versi crea una figura, in cui un' anima che ha personalità propria, pensa e sente; egli che aveva in sè tanto amore, dice il Mazzini, da infiammarne due o tre generazioni, aveva altresì nell'anima grande tanta potenza di vita da creare un mondo. Quante donne che ci passeggiano davanti per tutto un grosso volume di poema romanzo, e di cui sappiamo il colore dei capelli e degli occhi e l'espressione del sorriso e la forma del naso e la foggia del vestire, sono vive come la Francesca e la Pia? Un aureola d'amore e di dolore avvolge Francesca di una luce ardente e pura anche su quel cupo, tempestoso fondo di bufera infernale, e l'anima umana

o di

1) Par. III e IV.

cui il patetico scuote le più intime fibre, ha uno slancio d'affetto per questa donna eternamente infelice ed eternamente amante. Ci commuovono in Piccarda la purezza, la pietà religiosa, la letizia del Paradiso. Il Poeta conobbe questa Piccarda della casa Donati, cui egli, per parte della moglie Gemma, fu congiunto; ed a Forese, fratello di Piccarda, fu stretto di grande intimità.

Nel sesto cerchio del Purgatorio, dove i golosi sono puniti colla fame e la sete, rese più pungenti dalla vista di fresche acque zampillanti e di alberi carichi di frutta, come si vide, Dante incontra Forese Donati tra le ombre affamate, ch' egli descrive con tanta verità di particolari: chiede all'amico dov' è Piccarda, ed ode rispondersi ch'ella già trionfa lieta di sua corona nell' Olimpo. 1) Quanta schietta e cara dolcezza d'amor fraterno nelle poche parole di quel Forese, cui gli occhi, dal profondo della testa, paiono scintillare uno sguardo pieno d'amore ricordando la sua sorella! E come la figura della donna gentilissima si rispecchia nitida in quella terzina di mirabile semplicità!

Nella luna, fra le anime di coloro, che non poterono per violenza altrui adempiere i voti fatti a Dio, Dante incontra Piccarda, figlia di messer Simone Donati e sorella di Corso e di Forese. Tragica e notissima è la storia di questa donna; ce ne parlano Benvenuto da Imola e l'Anonimo Fiorentino tra i più antichi commentatori della Divina Commedia. Ella si ritirò nel convento di Santa Chiara dell'ordine dei Minori in Firenze, già adulta, dice Benvenuto da Imola, bellissima e pudicissima. Il fratello di lei, il famoso Corso Donati, la promise in isposa ad un amicosuo, Rosellino della Tosa, e, non potendo in alcun altro modo mantenere la sua parola, egli « con Farinata tremendo sicario e dodici altri satelliti scelleratissimi, scalò le muraglie del monastero, rapi di forza la sua sorella, le squarciò i vestimenti sacri, la rivestì alla mondana e la costrinse alle nozze. » 2) Ella pregò il cielo di farla morire, e in un istante un grave morbo invase la carne di lei, di che morendo andò ad uno sposo migliore; 3) mite creatura travolta dal turbine di un tempo di lotte e di sangue,

1) Purg. XXIV, 14-15.

2) FOSCOLO Discorso sul Testo del Poema di Dante.

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