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la raffigura nella mite luce della sua vita terrena, santa e soave; il Paradiso nel trionfo della sua gloria. Come raggio di sole passando schietto traverso una rotta nube va ad illuminare un prato fiorito, sicchè si vede la luce senza vedere il sole, così allo sguardo di Dante appaiono turbe di splendori fulgurati dall'alto di raggi ardenti di cui il Poeta non vede la fonte; ma il nome di Maria, bel fiore ch'egli sempre invoca, gli dà forza a mirar lei, viva stella che vince lassù come quaggiù vinse. Gabriele, fulgida face, discende dall' alto sulla Vergine e si aggira vertiginosamente intorno al suo capo, a guisa di lucente corona, cantando con armonia incomparabile la gloria di lei. Ella sale al cielo supremo; tutto intorno echeggia il suo nome e tutte le anime colla lor fiamma tendono all'alto verso di lei, ispirate da infinito amore, cantando Regina Cæli. Qual più magnifico quadro? Qual pennello ebbe mai la potenza che ha qui la parola dantesca? Qual tavolozza ebbe mai così vividi colori e luce così fulgente?

Nell' Empireo in mezzo a raggi infiniti, tra gli angeli festanti, le danze e il canto degli eletti, ride una suprema bellezza che fa brillar di letizia gli occhi de' santi.

Es' io avessi in dir tanta divizia,

Quanta ad immaginar, non ardirei
Lo minimo tentar di sua delizia, 1)

dice il Poeta. Nel primo quadro domina la gloria, in questo secondo, la gioia celeste. Maria è al sommo, sotto di lei Eva bellissima, Rachele con Beatrice (la contemplazione e la teologia), Sara, Rebecca, Giuditta, Rut. La Vergine somiglia a Cristo più che alcun altro, sopra di lei piovono fiumi di allegrezza e l'arcangelo Gabriele le sta dinanzi sulle ali aperte, contemplandola così innamorato che par di fuoco e le ripete il saluto glorioso: Ave Maria, gratia plena. In mezzo a tanta gloria si leva l'orazione di S. Bernardo che ha lo splendore d' immagini e la grandiosità solenne de' canti biblici, l'accento della fede sincera e fervidissima e della umile tenerezza, la sublimità del sentimento e la magnificenza dello stile. Da S. Luca, dal Libro de' Proverbi, da S. Giovanni e da altri libri sacri Dante attinge immagini ed idee pel suo canto, ma sovratutto s' ispira al proprio cuore.

Vergine Madre, figlia del tuo Figlio,

Umile ed alta più che creatura,
Termine fisso d'eterno consiglio,

Tu se' colei che l'umana natura

Nobilitasti, si che il suo Fattore

Non disdegnò di farsi sua fattura. 1)

Solenne invocazione! L'umiltà dell' animo contrasta mirabilmente in Maria coll'altezza della dignità di lei, che nella mente di Dio era ab eterno destinata ad ufficio sublime; ella rese la natura umana così nobile che Iddio non disdegnó questa natura da lui creata; in lei si riaccese l'amore dell' Onnipotente per l'uomo, amore che il peccato di Adamo avea spento e che fece crescere magnifico il fiore del Paradiso, la candida rosa formata dalla luce di mille beati. Nell' Empireo la Vergine risplende come sole a mezzodì e in terra è fonte inesausta di speranza ; bramare una grazia senza ricorrere a lei è cosa vana, come vano sarebbe tentar di volare senz' ali. Stupenda è l'immagine:

Sua disianza vuol volar senz'ali. 2)

La sua carità non soccorre soltanto chi domanda, ma spesso previene generosamente ogni richiesta; in lei misericordia, pietà, magnificenza, in lei tutto il bene che può essere in una creatura. Così S. Bernardo invoca la Vergine, cominciando col cantarne la grandezza, poi le presenta la preghiera di Dante, che dal più basso Inferno, dopo aver veduto gli stati vari dello spirito oltretomba, salito al cielo, supplica Maria di poter levare gli occhi verso Iddio, salute ultima. « Io che non ho desiderato per me, come desidero per lui la beatitudine di questa vista, ti prego perchè la tua intercessione gli tolga ogni nube proveniente dal suo essere mortale, così che egli possa godere il sommo dei piaceri; ed ancora ti prego, poichè tu puoi ciò che vuoi, che tu conservi umili e virtuosi i suoi affetti, dopo si gloriosa vista. La tua protezione vinca l'urto delle umane passioni: vedi Beatrice e quanti beati tendono a te giunte le mani perchè tu accolga la mia prece. » Così supplica S. Bernardo. Commovente è l'atteggiamento di Beatrice che prega per l'amico suo, magnifico l'insieme del quadro: Maria dal seggio supremo guarda con bontà il suo Bernardo, poi leva gli occhi divini all'eterna luce, mentre nel fulgore del Paradiso, Beatrice e gli eletti supplicano devoti e amorosi. L'Orazione di San Bernardo è forse il più splendido inno religioso che mai poeta abbia cantato.

1) Par. XXXIII, 1-6.
2) Par. XXXIII, 15.

Come Dante chiude quasi la Divina Commedia con questa preghiera che fu detta il suo testamento, così il Petrarca chiude il Canzoniere colla canzone alla Vergine; in ambedue suprema aspirazione all' alto dopo le lotte della vita. E in alcuni punti l'uno ricorda l'altro. Vergine Madre, figlia del suo figlio, la chiama Dante, e il Petrarca: Del suo parto gentil figliuola e madre; Umile ed alta più che creatura, la esalta l' Alighieri, e il cantore di Laura la dice salita al cielo per vera ed altissima umiltate.

Tu se' colei che l'umana natura

Nobilitasti si, che il suo Fattore
Non disdegnò di farsi sua fattura,

canta il primo, ed il secondo:

al Sommo Sole

Piacesti si, che in Te sua luce ascose.

Meridiana face di carità, fontana di speranza è la Vergine per l'uno, e l'altro la glorifica, perchè partorì il fonte di pietà e il Sole di giustizia. Malgrado questi accidentali riscontri, affatto diverso è il carattere delle due preghiere. Il Petrarca non era uomo da consacrarsi tutto ad un sentimento; amò per ventun anno la sua Laura viva, lungamente la pianse morta, eppure non fu costante nè fedele, ebbe della passione gli slanci, non la profondità, adorò talora, talora ebbe a sdegno, sprezzò talora la sua donna. Come uomo aveva gentilezza di cuore e di pensiero, tenerezza soave, quasi femminea, talora impeti di passione, talora freddezze inesplicabili, aspirazioni ascetiche ed ebbrezze di desideri terreni, facilità ad esaltarsi, facilità a dimenticare; come artista possedeva la fantasia che colora e vivifica più di quella che crea, l'affetto soave più che la forza possente, il suo verso risuona armonioso e dipinge, ma non scolpisce quasi mai. Il suo « stato doloroso insopportabile. espresse con sovrana efficacia nella Canzone alla Vergine . . . . La Canzone alla Vergine è inno ed elegia, confessione e preghiera ad un tempo. Vi è come un ritmico singhiozzo nelle rime a metà di verso è come un desolato e supremo appello nell'insistente invocazione Vergine! a ogni principio di strofa. E finalmente vi è un presentimento di riposo e di pace ineffabile nei versi finali: « Raccomandami al tuo Figliuol, verace Uomo e verace Dio Che accolga il mio spirto ultimo in pace ». 1)

vi

La canzone alla Vergine ove spira un'aura dolce di fede affettuosa è l'abbandono di un' anima stanca sul seno di una creatura divina. Dante, in cui tutto il Medio Evo si compendia, era un cuore di ferro, grande nell'ira e nell' amore, fermo ne'suoi propositi e ne'suoi affetti, come torre, che non crolla giammai la cima per soffiar di venti. Il suo amore fu assoluto ed altissimo, ed egli, non che pentirsene, potè veder Beatrice presso la Vergine nel Paradiso; egli ebbe insieme gli slanci e la profondità della passione purissima, e questa ultima preghiera conferma, non rinnega, l'intera sua vita. L'orazione di S. Bernardo esprime anch'essa l'ultima aspirazione del Poeta, e se quest' aspirazione si volge all' eterno, non porta seco il peso grave di pentimenti, di rimorsi; è il canto grande e glorioso di un' anima che ha compito nobilmente l' ufficio suo, che è paga di sè, e che, stanca forse, non spossata, sofferente, ma non senza speranza e coraggio, vicina a lasciar la terra si leva tutta col desiderio al cielo.

Fra i moltissimi poeti italiani che cantarono le lodi di Maria, uno solo per sincera ispirazione, per isplendore d'immagini bibliche ed elevazione di stile, è degno di esser nominato dopo Dante e il Petrarca: Alessandro Manzoni.

CAPITOLO IX.

LA DIVINA COMMEDIA

NELLA STORIA LETTERARIA ITALIANA

Popolarità della Divina Commedia nel secolo XIII. I più antichi commentatori. Il Poema nel 1400, nel 1500, nel 1600. Dante e gli Arcadi. Saverio Bettinelli e le sue Lettere Vergiliane. Gaspare Gozzi e la Difesa di Dante.· Risorgimento degli studi danteschi. Il Monti e il Foscolo. Commenti grammaticali e rettorici, commenti storici, commenti allegorici, commenti estetici.

<< Fu notato che gli studi Danteschi ebbero in Italia una fortuna medesima col pensiero civile. Ogni volta che le forze della nazione parvero malamente impigrire, Dante giacque negletto e frainteso; ogni riscossa della coscienza fu un ritorno a Dante ».1)

Il Divino Poema nel secolo stesso dell' Alighieri divenne popolare in Italia e fu letto con amore e commentato dovunque. I più antichi e principali commenti pervenuti fino a noi sono le Chiose attribuite a Jacopo e il commento di Pietro Alighieri, ambidue figli di Dante; quello di Graziuolo de' Bambagliuoli e quello di Jacopo della Lana, tutti e due Bolognesi; l'altro d'autore incerto (forse Andrea Lancia) detto l'Ottimo commento e quelli dei tre primi pubblici lettori della Commedia: Giovanni Boccaccio che la spiegò in Firenze, Benvenuto Rambaldi da Imola che tenne il medesimo ufficio in Bologna e Francesco di Bartolo da Buti in Pisa. Tutti questi appartengono al 1300.

Nel 1400 se ne ebbero pure numerosissimi; i secoli XIV e XV sono il tempo « della interpretazione scolastica e religiosa e della gloria popolare di Dante. Dal 1333 agli

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