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contro Firenze, fu ingannato dall' astuzia di Bonifazio VIII e soggiacque alla violenza di Carlo di Valois, l'avventuriero francese. Così, di un sol colpo, vide abbattute le speranze della patria e le proprie: vide Firenze oppressa, dovette andar in esilio; nelle miserie di una esistenza raminga, provò il dolore supremo di vedersi unito a una compagnia malvagia e scempia; provò quanto sa di sale lo pane altrui e come è duro calle

Lo scendere e il salir per l'altrui scale. 1)

Con mille altri sognò un'era nuova di quiete e di gloria quando, lungamente aspettato e desiderato, Enrico VII, simboleggiante per lui la maestà dell' Impero, scese in Italia a metter pace come fosse un agnolo di Dio 2) ma, colla morte dell' Imperatore, si vide cadere infranta anche quest'ultima speranza. E il suo dolore non guardò più la terra, si volse al cielo; il filosofo della Monarchia e del Convito divenne il poeta della Divina Commedia, che nell'arte portò gli affetti suoi di uomo, di cittadino e di cristiano, e, in un'opera sola, fuse la scienza acquistata con lunghe meditazioni, la fantasia vigorosamente creatrice, il sentimento gagliardo nell' affetto e nell'odio e l'alta speranza che col miglioramento dello spirito, assorto il popolo a virtù nuova, conquistasse alla patria nuova libertà e nuova gloria.

Dante chiude la Vita Nuova con queste parole: « Vidi cose 3) che mi fecero proporre di non dir più di questa benedetta 4) in fino a tanto che io non potessi più degnamente trattare di lei. E di venire a ciò studio quanto posso, sì com'ella sa veramente. Sicchè, se piacere sarà di Colui, per cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, spero di dire di lei, quello che mai non fu detto d'alcuna. >>

Vi ha qui indubbiamente la promessa della Divina Commedia ed un cenno se ne trova anche nella canzone: Donne che avete intelletto d'amore, nella quale un angiolo, a nome di tutto il Paradiso, prega Iddio di far salire Beatrice nel cielo, alla gloria del quale ella sola manca;

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e il Signore risponde a' suoi diletti, che quella gentile deve rimaner ancora sulla terra, dove havvi qualcuno che si aspetta di perderla:

E che dirà nello inferno a'malnati

Io vidi la speranza de' beati.

Proposito di Dante fu quello di erigere a Beatrice un duraturo ricordo, nè mai monumento fu più grande e glorioso di questo, che sfidò già quasi sei secoli e che vivrà finchè l'arte avrà culto. Da tale idea prima dell'opera, Dante sali ad un concetto d'ampiezza universale, in cui si fondono il terrestre ed il divino, e si rispecchiano coll'anima del poeta, l'anima e la vita dell'umanità. Dall' amore giovanile dell'Alighieri, come derivò la Vita Nuova, prese ispirazione la Divina Commedia; quella è la primavera fiorente, questa l'estate feconda; nella prima, Dante è il giovanetto dipinto da Giotto, pallido, pensoso, che guarda un fiore; nella seconda, è la figura che ci appare grande e superba fra quelle del suo tempo, come Farinata tra i dannati, poichè l'ira, l'amarezza e sopra tutto il dolore, hanno reso gigante quello spirito soave.

Nelle rime giovanili il Poeta aveva spesso adoperato la forma di visione, comune a quel tempo e singolarmente propria alla sua indole letteraria; e forma di visione diede all'opera sua principale, simbolico viaggio ne' regni d'oltre tomba. Egli prepose al suo Poema le parole: Incipit Comoedia Dantis Alagherii florentini natione, non moribus; l'intitolò Commedia, perchè è scritta in quello stile che egli chiama comico (misto di umile e di alto) e perchè ha un principio triste e un lieto fine. L'epiteto di divina fu dato alla Commedia dai posteri, e per la prima volta in una edizione del 1555.

Di questi viaggi nel mondo eterno si ebbero esempi fin nella più remota antichità: la mitologia narra le discese di Ercole, di Piritoo e di Orfeo nella dimora dei morti e Omero nell' Odissea fa apparire ad Ulisse le ombre dei trapassati; fra i Latini, Cicerone immaginò un sogno di Scipione l'Africano nel quale descrisse la dimora delle anime buone; e finalmente Vergilio nell' Eneide fa discendere Enea nell' Averno, dipingendo questo con evidenza poetica e ricchezza di particolari.

Nel Medio Evo furon comunissime le descrizioni dei regni eterni, le quali procedettero dall'idea cristiana; alcune ebbero scopo assolutamente religioso e vollero incutere il terrore del male mostrando le terribili pene riserbate ai viziosi e l'amore del bene, descrivendo la beatitudine eterna,

premio ai virtuosi. Fra queste le principali sono: la visione di S. Paolo, il Viaggio di S. Brandano, la Visione di Tundalo, il Purgatorio di S. Patrizio e la Visione di Alberico. Altre ebbero mira politica; con esse gli ecclesiastici furono intesi ad aumentare la loro potenza, mostrando quali orribili castighi fossero preparati a quelli, che usurpavano terreni alla Chiesa o che non le si sottomettevano, e quali premi a coloro, che facevan ricchi donativi ai monasteri ed ai religiosi: fra queste è un passo del dialogo di S. Gregorio. Altre finalmente furono satiriche; mancata la fede salda e sincera, gli allegri menestrelli e i giullari cantarono un inferno pieno di preti avari e di frati scostumati ed un paradiso popolato di ricchi e generosi baroni. Alcune altre visioni sono simboliche, fra le altre la Voie du Paradis di Baudouin de Condé. E religiosa, politica, non scevra di qualche idea satirica e sopratutto allegoricomorale è la Divina Commedia. Ma se Dante abbia conosciuto queste leggende, o quali abbia conosciuto e quanto vi abbia attinto, non si sa.

Fra esse e la Commedia non mancano i riscontri; per esempio nella Visione di S. Paolo (che Dante certo conobbe perchè l'accenna nel Poema 1)) è un'ardente fornace destinata agl' impenitenti; havvi Belzebù nella bocca del quale sono attirate le anime dei peccatori, v' ha un torbido fiume nel quale alcuni dannati sono immersi fino alle ginocchia, altri fino agli occhi, pene che ne ricordano alcune dantesche.

Nella Visione di S. Brandano si trovano, come in Dante, gli angioli vili che non combatterono nè per Dio, nè per Lucifero. Nella leggenda di Tundalo, l'anima di costui compie un viaggio oltre tomba in compagnia di un angiolo, vede peccatori puniti nel fuoco, nel ghiaccio, nello zolfo, un mostro sopra un lago gelato, che lontanamente ricorda il Lucifero dantesco, e demoni che afferrano coi forconi le anime perdute. Nel Purgatorio di S. Patrizio certi dannati stanno miseramente crocifissi in terra, altri son pasto di orrendi serpenti, altri percossi da un vento furioso, altri scagliati in fosse di fuoco, altri son nel ghiaccio, e, quando alzan la testa, i diavoli li afferrano cogli uncini, come immaginò Dante. 2)

Più che in particolare dall' una o dall'altra leggenda, l'Alighieri attinse certamente dal popolo, che quelle leggende conosceva e ripeteva; esse erano divenute patrimonio comune; rozze, incolte, sproporzionate, talora ingenue, talora

1) Inf. II. 28-32.

2) V. su questo argomento il bellissimo studio del D' ANCONA: I precur◄ sori di Dante.

confinanti col ridicolo, non avevano alcun serio elemento di arte. Dante non ebbe in esse che la rozza materia. Dice giustamente Pio Rajna: « Di quella condizione singolare per cui il grande Poema riesce opera d'impareggiabile originalità, pur dovendo infinitamente al mondo che lo circonda, potrà esserci immagine un grand' albero, che da una parte si sprofonda nel suolo ad aspirarne succhi per mille e mille radici, e dall' altra si eleva meravigliosamente poderoso, ricco di rami, lussureggiante di foglie, tutto rivestito di fiori. 1) >>

La vasta mente di Dante trovò dovunque fonti all' opera sua; egli studiò tutto lo scibile umano de' tempi suoi e dalla scienza tolse argomento all'arte. I libri biblici, i padri della Chiesa gli furon maestri; dai filosofi dell' antichità, in particolare da Aristotile e da Boezio, ebbe le dottrine filosofiche, seguì in quelle teologiche Pietro Lombardo, Alberto Magno e sopratutto S. Tommaso d' Aquino e in quelle astronomiche Tolomeo. Dai classici, specialmente da Vergilio, Ovidio, Lucano e Stazio, tolse la perfezione dell' arte antica; la Bibbia, la mitologia, la storia, gli fornirono argomenti, ma sopratutto attinse all' ingegno suo, meditò sulla vita e sulla natura con mente di filosofo e cuore di poeta e ritrasse l'Italia e la Firenze del tempo in cui visse.

Come si vide, Dante in patria ebbe l'idea di comporre una grande opera, che fosse la glorificazione di Beatrice; ma quest' idea, certamente ancor vaga, indeterminata, non fu in tutto quella che di poi trovò così mirabile esecuzione nella Divina Commedia. La Commedia nata da un pensiero d'altissimo amore, fu maturata fra le angoscie amare dell'esilio, tra i rimpianti di ogni cosa più caramente diletta, tra i fremiti delle passioni; il dolore di un uomo, innalzandosi sopra le miserie della vita e le preoccupazioni personali, assurse alla grandezza del dolore d'un figlio che sente la patria in sè e sè in essa: il sogno dell'esule, che rivedeva dovunque con un sospiro di desiderio il suo bel S. Giovanni, divenne sogno di un cittadino che anelò alla libertà e alla grandezza della terra nativa.

È impossibile determinare l'epoca esatta in cui il Poema fu composto; e s'intende l'epoca in cui fu realmente scritto, non quella in cui Dante finge di compiere il mistico viaggio, cioè l'anno 1300. Secondo il Bartoli l'Inferno fu scritto fra il 1306 e il 1315; il Purgatorio fra il 1313 o 14 e il 1318; il Paradiso negli ultimi anni

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della vita di Dante << e fu compiuto assai probabilmente nell'anno stesso in cui Dante, quasi non gli restasse più nulla a fare nel mondo, morì. » 1) Altri critici opinano per date diverse.

La Divina Commedia ha in sè tutte le forme poetiche; unico esempio, è epica, lirica, drammatica e didascalica; perchè è visione, narrata ed in cui spesso il sentimento prorompe, è poema epico e lirico; è drammatico, perchè l'uomo, Dante, e gli spiriti vi entrano in azione come sulla scena; è didascalico, perchè ha uno scopo morale e insegnativo.

Si suddivide in tre cantiche Inferno, Purgatorio e Paradiso; le due ultime hanno trentatre canti ciascuna, la prima trentaquattro, ma il primo di questi si può considerare come un proemio a tutta l'opera, che comprende dunque cento canti. In questa suddivisione come nella scelta della terzina (che è il metro degli antichi canti narrativi popolari detti sirventesi) si manifesta la predilezione di Dante pel tre e pel nove, 2) sottigliezza che pure giovò al Poeta facendogli architettare l'opera con esattezza geometrica e con mirabile proporzione. La Commedia comprende in tutto 14233 versi di cui 4720 appartengono all' Inferno, 4755 al Purgatorio e 4758 al Paradiso; anche qui dunque l'Alighieri tenne una giusta e regolare misura, e lo stesso può dirsi per la lunghezza di ciascun canto.

L'opera è ispirata ad un alto concetto morale: l'azione del Poema è il peccato, la redenzione e la beatitudine, è in fondo la storia dell' anima secondo la sacra scrittura; scopo del Poema è « di rimuovere gli uomini viventi in questa vita dallo stato di miseria e condurli a stato di felicità. » 3)

Dante racconta come a trentacinque anni si smarrisse di notte in una cupa selva e al far del giorno, tentasse salire sopra un colle, che gli apparve rivestito dai raggi del sole. Tre fiere, una lonza, un leone e una lupa, gl'impediscono la via; l'ombra di Vergilio acconsente a trarlo di là conducendolo attraverso l' Inferno e il Purgatorio; nel Paradiso, gli sarà guida Beatrice, che ha inviato a Dante

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2) I tre in uno nella mente di D. è il simbolo dell'armonia, della bellezza, della perfezione, della divinità, del mistero divino. La finzione del nove, potenza del tre, come simbolo di Beatrice, per dare ad intendere che tutti e nove li mobili cieli al nascimento di lei si avevano insieme, e per significare ad un tempo che quella divina creatura era per sè stessa una emanazione della Santissima Triade, a cui s'era ricongiunta in morte, è fondata sulle dottrine cosmologiche del medioevo e sui misteri più solenni della religione. ➤ AMATI Del Ternario di Dante. Rapporti di alcuni passi della Vita Nuova colla Divina Commedia.

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3) Epistola a Can Grande della Scala.

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