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<< Inter insignes viros, quos sibi (Ubertino) a secretis vo» luerat, Petrus Campagnola Juris peritus, et ad negotia Prin> cipum natus eminebat (1) ». Il Principe Ubertino negli ultimi giorni di Marzo del 1345 mortalmente infermo, prima di morire, per consiglio di Pietro Campagnola istitui suo successore ed erede Marsilietto Papafava. Adontatosi di questa scelta Giacomo Niccolò da Carrara nipote di Ubertino, proditoriamente uccise Marsilietto dopo 41 giorni di principato. Divenuto egli Signore di Padova sfogò l'odio suo contro di Pietro e Sacchetto da Campagnola, ed altri ancora, spogliandoli delle loro ricchezze, e cacciandoli in esilio (2).

Ritornando al testamento di Marsilio, tra le opere pie ordino, che nella Chiesa de' Frati minori di Padova, dove fu sepolto il sig. Giacomo da Carrara, od altrove in detta Chiesa, non che in quelle dei Predicatori, degli Eremitani, e dei Carmelitani; e così pure in Venezia ne' luoghi principali dei suddetti Ordini, sieno di nuovo costruite altrettante Cappelle, od altari, e provvedute di libri, calici, ed apparamenti; ed a ciascheduna sieno corrisposte annue lire cinquanta de' piccoli, ne' quali altari debba esser celebrata ogni giorno in perpetuo una Messa per l'anima di esso testatore, e del signor Giacomo da Carrara, e de' suoi. Se tutte le anzidette Cappelle sieno state costruite, non abbiamo documenti, che ce ne assicurino. Un buon indizio per altro ne abbiamo al vedere, che nella Chiesa degli Eremitani esiste la Cappella S. Johannis Baptistae quae nominatur Cappella D.ni Marsilii de Carraria. Reca questa notizia il Ceoldo (3) che la trasse da certa selva mss. del Gennari appartenente all' anno 1347.

Ordinò parimenti che nella Città di Venezia sia fabbricato un solenne Monistero con Chiesa sufficiente ad onore di Dio, sotto il titolo della Vergine Maria, nel quale debbano stare almeno venti Frati, che chiamansi Servi di Maria, o di altro Ordine, e che per comperare il terreno e costruirvi il Monistero

(1) Hist. cit., pag. 166.
(2) Cavac. 1, c., pag. 168.
(3) Memor. cit.. pag. 170.

e la Chiesa, e pegli apparamenti necessarii sieno spese lire ottomille di piccoli; al qual Monistero lasciò perpetuamente molte case in Venezia, e tutte le sue possessioni nelle ville d'Isola di Carturo, di Gazzo, di Carturo, di Pernuncia, e di Cartura. Questo legato ebbe il suo effetto colla erezione del Monistero, e Chiesa di S. Maria Novella, o sia di S. Giacomo della Zuecca (1).

Possedeva Marsilio in Venezia, depositata nella Procuratia di S. Marco, una grandiosa somma di danaro, che secondo i Cortusj ascendeva a centomila fiorini (2), e volle che questa impiegata fosse nel pagare omnia sua male ablata et sua legata. Particolarmente poi prescrive, che sieno restituite lire settemille di piccoli per le bestie da lui avute nel tempo della guerra dei Trivigiani, e in primo luogo a quelli, che ne hanno diritto, e ne faranno per detta causa la domanda; e se qualcosa avvanzasse, debba distribuirsi nella Città di Trivigi, e suo distretto, senza oltrepassare la detta somma di lire settemille, perchè di più non ha avuto.

E poichè esso testatore (tosto soggiungesi) ebbe nella città e comune di Padova grande onore, ed utilità, così lascia al comune medesimo la possessione chiamata Palù maggiore nel territorio di Conselve, colle sue adiacenze; e se mai si ritrovasse, ch'egli avesse avuto dal Comune di Padova qualche cosa illecitamente, sia computato a soddisfazione questo legato.

Ad Alberto suo fratello naturale lascia la sua casa posta in Padova, nella contrada di S. Lorenzo, e tante delle sue possessioni, quante rendano annue lire quattro de grossi.

Istituisce tutore de' suoi figli e figlie, tanto nati al tempo di sua morte, quanto che nascessero poi il Nob. Cav. signor Ubertino da Carrara figlio del qu. sig. Giacomino ne' beni, che possede in Padova, Vicenza e Trivigi, o sia ne'loro territorii. Nei beni poi esistenti sotto la giurisdizione del Comune

(1) Ceoldo Memor. cit., pag. 162.

(2) Lib. VII. Cap. X.

di Venezia, vuole che sieno tutori li Procuratori di S. Marco

di Venezia.

Inoltre prescrive, che in nessun modo, e per nessun titolo, veruno de' suoi beni mobili ed immobili, diritti, biade e rendite possano mai pervenire nel sig. Niccoló qu. sig. Ubertino da Carrara o di lui discendenti.

Era Niccolò uomo torbido, ambizioso e feroce. Invidiando egli l'autorità di Marsilio aveva occultamente trattato di dare Padova allo Scaligero. Ciò risaputosi da Marsilio, sbandeggiò alcuni de'congiurati stretti amici di Niccolò, il quale tenendosi scoperto fuggi a Venezia, e per la sua fuga maggiormente convinto fu giudicato ribelle, e perpetuamente bandito. Rappacificatosi con Paolo Dente, e unitosi co'fuorusciti, levò milizie, occupò gran parte del Territorio, fece lega con Cane, per la qual cosa gli furono confiscati i beni, e spianata la casa, e i due figliuoli Giacomo e Giacomino condotti in carcere in Alemagna (1). Tanta era la inimicizia sua e con. tro la propria famiglia, e contro la patria, che il Pontefice Giovanni XXIII scrisse due Brevi in data 14 Maggio 1328, uno diretto allo stesso Niccolò per esortarlo a non esser nemico della patria e della sua famiglia; l'altro indiritto all'Abbate della Vangadizza, ed al canonico Rotondo suo Nuncio, loro commettendo di esser mediatori per la rappacificazione (2), la quale, per quanto sembra, non si verificò. Questi saranno stati i motivi, pe' quali Marsilio si è indotto a segnare l'accennata proibizione.

In tutti gli altri suoi beni, se esso testatore mancasse senza figli maschi legittimi e naturali, o che nascessero dopo la sua morte, istituisce suo erede universale il Nob. Cav. Ubertino da Carrara qu. Giacomino. E se il detto Ubertino o li discendenti di lui maschi fino al quinto grado mancassero senza figli legittimi e naturali, vuole che tutti i suoi beni immobili, eccettuate le possessioni di Carrara, i Mulini di Ponte-manco, della Battaglia e di Bitefredo, pervengano nei (1) Gennari. Informaz. pag. LXXVII.

(2) Ceoldo. Alb. pag. 50.

suoi Commissari, i quali debbano vendere tutte le case, che ha nella città di Padova, e ne' Borghi, ed impiegare il prezzo nella nuova costruzione di due solenni Monisteri con Chiese sufficienti, in uno dei quali debbano stare continuamente almeno trenta Religiosi, e nell' altro venti Religiose Signore. Le possessioni poi di Carrara, coi Molini di Ponte-manco, della Battaglia, e di Bitefredo pervengano nei Signori Marsilio qu. Albertino da Carrara, e Giacomo di lui nipote qu. Rinaldo detti Papafava, e nei loro discendenti maschi. Vuole inoltre, che dopo la morte di Ubertino suddetto, mancando senza figli, o de' figli di lui e discendenti fino al quinto grado senza figli, tutti i loro servi ed ancelle, con tutti i loro discendenti e peculii sieno liberi e franchi.

Ordina finalmente, che in nessun modo, nè per alcun contratto le possessioni, che furono una volta del sig. Tiso da Camposampiero, e della sig.a Cunizza qu. di lui madre, possano in verun tempo pervenire in Guglielmo da Camposampiero, o discendenti di lui.

Di Cunizza da Carrara cosi scrivono i Cortusj (1): << Mortuo jam Dom. Tisone de Campo Sancti Petri, uxor ejus » Dom. Cunizza de Carraria peperit Tisonem, quem cum au>> ctoritate nutrivit. Aliquando enim arma induens in castro » Sancti Petri merum et mixtum imperium exercebat. Haec >> Emum militem de Burgundia fratrem illius Ottonis, qui in » obsidione Tarvisii fuit extinctus, inhoneste dilexit. Eorum » stupro detecto, ambo pariter jugulantur, mandato Doin. » Marsilii de Carraria fratris dictae dominae, sed matris filius » fuit occisor. Fuerunt haec Veronae die XXVIII Octobris >> dell' anno 1330.

Narrano poi, che Tiso novello suddetto istituito avea suo successore Marsilio da Carrara suo zio materno, al quale in seguito succedette il cav. Ubertino: che per questo motivo nacque discordia tra Ubertino e Guglielmo Camposampiero, il quale nato essendo da un figlio premorto, che nacque da

(1) Lib. V Cap. I.

Tisone Grande, e da una nobile signora da Camino, pretendeva tutta la eredità, in vigore del testamento dell' avo; che tale discordia andò poi sopita con sentenza del Doge di Venezia. Non è inverisimile, che Guglielmo accampato avesse le sue pretese anche in confronto di Marsilio, e che questi siasi perciò determinato a prescrivere ciò come è detto. Nondimeno non ebbero un pieno effetto gli ordini suoi, poichè rimessa la quistione nel Doge di Venezia Francesco Dandolo, decise, che il Castello di S. Pietro colla sua Corte sia di Ubertino, che il rimanente della eredità sia di Guglielmo (1).

All'adempimento poi di tutte le accennate sue disposizio ni, istitui Commissari i Procuratori di S. Marco di Venezia superiori ed inferiori.

Il presente testamento fu esteso in Padova, in contrada del Duomo, nella casa di abitazione del testatore. Furono testimonii Fra Giovanni da Piove di Sacco Guardiano del Con. vento dei Frati minori di Padova, Fra Paolo da Milano del Convento di Venezia, Fra Ugone d'Arquada, e Fra Giovanni da Lendinara, tutti dei Frati minori, Pietro da Campagnola qu. Benedetto, Sacchetto notajo qu. Giacomo da Campagnola, amendue della contrada di S. Margherita di Padova, Marco qu. Francesco da Campagnola, della contrada di S. Urbano, Ruggero da Ponte qu. Marsilio, che abitava in Venezia nella contrada di S. Giacomo da Lorio.

Questo testamento è l'autografo, che fu rogato dal notajo Andrea di Cavarzere qu. Ricerio, Cancelliere dell'Aula Ducale di Venezia. (1)

Li 6 Ottobre 1384 è stato raccomandato per ordine Ducale all'Ufficio degli Uditori delle sentenze da Gerardo de Guazoni notajo della Curia maggiore, come in calce del testamento sta registrato.

(2) È l'originale da cui il cav. Gloria, fece ricopiare le parti del testamento che mancavano a quelle esistenti nel nostro Archivio.

(1) Lib. VIII. Cap. I.

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