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fosse rimasto Re dopo la morte di lui, che non fosse sì poco vissuto, ben andava il valor, cioè la prodezza delle cose grandi e magnanime, di vaso in vaso, cioè dal padre nel figlio suo primogenito;

Che non si puote dir dell'altre rede:

Jacomo, e Federico hanno i reami;
Del retaggio miglior nessun possiede.
Rade volte risurge per li rami

L'umana probitade; e questo vuole

Quei che la dà, perchè da lui si chiami.
Anco al Nasuto vanno mie parole

(Non men ch'all'altro, (1) Pier, che con lui canta)
(2) Onde Puglia, e Provenza già si duole.
Tant'è del (3) seme suo (4) minor la pianta,
Quanto più che Beatrice, e Margherita,
Costanza di marito ancor si vanta,

(1) Mi piace Pier fra due virgole, e come lo segna il P. M. Lombardi, acciò più facilmente s'intenda esser dirette le parole, non ad un altro Piero, ma all' altro, che canta con Carlo Primo, ch'è appunto Piero d'Aragona, i figli degeneranti del quale (Jacopo e Federigo) sono già espressi di sopra.

(2) Per lo figlio del qual Nasuto (per la mala vita, cioè, di Carlo II.) Puglia e Provenza si dolgono.

(3) Nel Conv. Tratt. IV. Cap. 29. « della lor semenza così fatta pianta si vede ».

(4) Così è nel Codice di Santa Croce, e ne Testi di più autorità, in vece di miglior, che ha l' edizione Aldina, e per isbaglio di stampa l'edizione degli Accademici della Crusca, e dietro a cotale sbaglio la Cominiana e tutte le moderne edizioni. Fissarono gli Accademici, che quì va letto minor, e nel v. 132. maggior: ma lo stampatore, scambiando annotazione e lezione, deluse in questo luogo e nell'altro la loro ac

cortezza.

Siam giunti al passo importante. Ho detto già nel principio del Capitolo precedente, che Costanza fu moglie di Pietro III. Re d'Aragona; Beatrice di Carlo I. Re di Sicilia; e Margherita di S. Luigi Re di Francia: ora dico, che Costanza non potea senza aperta menzogna vantarsi, che Pietro marito suo fosse per morale bontà da più di S. Luigi, o di Carlo, amendue commendati, l'un più dell'altro, da tutti gl'istorici. Lascio le lodi di S. Luigi, come a dirsi superflue, perchè già celebrate dagli scrittori, che diconlo concordemente uno de' più virtuosi Re della terra: e riferirò solo ciò che dell' altro racconta Gio. Villani nel 1. 7. c. 1. Ediz. Fiorent. de' Giunti 1587., la quale fedelmente seguirò d'ora innanzi. » Carlo, ei dice, fu savio di sano consiglio, prode in arme, e (1) aspro,

(1) Cioè troppo severo;, come dirà poco appresso, aspro in giustizia; ch' ei fece decapitar Curradino, figliuolo che fu del Re Currado, figliuolo dello 'mperador Federigo, e'l Duca d'Osterich, ed altri Signori. Della qual sentenza (Gio. Vill. 1. 7. c. 29.) il Re Carlo ne fu molto ripreso dal Papa, e da suoi Cardinali, e da ogni savio, peroch' egli havea preso Curradino, e' suoi per caso di battaglia, e non per tradimento. Fu aspro ancora in non accettar la dedizion di Messina, che a patti assai duri: ciò che non gli riuscì, ed ei dovette abbandonarne l'assedio, e lasciar tutta l'isola in potere del suo nemico. Vedi Gio. Villani 1. 7. c. 65. e segg. S' egli poi

Ripinse al Ciel Tommaso per ammenda,

come dice Ugo Ciapetta nel Pg. XX. 69.; s'è vero un tal fatto, non solo fu aspro, ma anche traditore e sacrilego. Io però non so dire, qual cosa sia più verisimile, o che 'l Poeta abbia troppo seguito qui le dicerie della fama, o che un Re di tante belle doti fornito sia stato egli l'autore d'un misfatto sì grande. Gio. Villani narra la cosa in questo modo (1. 9. c. 218.) « Vivette (S. Tommaso) al tempo di Carlo primo Re di Cicilia, e andando lui a Corte di Papa a Concilio a Leone, si dice che per uno fisiciano (non ficisiano, come ha la predetta edi

e molto temuto, e ridottato da tutti li Re del Mondo, magnanimo, e d'alti intendimenti in fare ogni grande impresa, sicuro in ogni avversitade, fermo e veritiere d'ogni sua promessa, poco parlante, e molto adoperante, e quasi non ridea, se non poco, onesto come uno religioso, e cattolico, aspro in giustizia, e di feroce riguardo, grande di persona, e nerboruto, di colore ulivigno, e (1) con gran naso, e bene parea maestà reale più ch'altro signore; molto vegghiava, e poco dormia, e usava di dire che dormendo, tanto tempo si perde; largo fu a' Cavalieri d'arme, ma (2) covidoso d'acquistar terra, signoria, e moneta, donde che venisse, per fornire sue imprese, e guerre. Di gente di corte, ministrieri, o giucolari non si dilettò mai ». E nello stesso libro, c. 94. dopo d'aver narrata la morte, ch'ci fece con vive dimostrazioni di Cristiana pietà, in epilogo dice: Questo Carlo fu il più temuto, e ridottato Signore, e 'l più valentre d'arme, e con più alti intendimenti, che nullo Re che fosse nella casa di Francia da Carlo Magno infino a lui, e quegli che più esaltò la Chiesa di Roma, e più harebbe fatto, se non che nella fine del suo tempo la fortuna li tornò contraria ».

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Del marito di Costanza dice il medesimo istorico, ivi c. 102. Questo Re Piero d'Araona fu valentre Si

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zione) del detto Re, per veleno li mise in confetti, il fece morire, credendone piacere al Re Carlo, peroch'era del legnaggio de' signori d'Aquino suoi rubelli, dubitando che per lo suo senno e virtù non fosse fatto Cardinale. Onde fu gran dannaggio alla Chiesa di Dio ".

(1) Per ciò lo dice il Poeta, nasuto.
(2) Idiotismo, cioè cupido, bramoso.

e

gnore, e pro in arme, e savio, e benavventuroso, ridottato da' Cristiani, e da' Saracini altrettanto, o più, come nullo, che regnasse al suo tempo ». Il qual encomio non monta che a dirlo uom valoroso, e savio, cioè scaltro, com'egli fu veramente, e felicitato dalla fortuna, e temuto. Nell' istessa Storia però leggiamo, ch' ei tenne mano (1) al tradimento di Gianni di Procida: sotto finta spedizione contro degl' infedeli si fece dar da Filippo Re di Francia, ch'era suo cognato, quaranta mila tornesi, quando andava pur a rapire al di lui Zio la Sicilia; s' impadronì di quell' isola, non per suo valore, ma per asprezza dal Re Carlo usata contro la città di Messina; per accorto consiglio del detto Gianni; per diligenza e bravura del suo Ammiraglio; e per imprudenza (2) del Principe Carlo, il quale s'avventurò alla battaglia navale contro 'l divieto del padre suo. Egli non attese nè promessa nè giuramento al nimico. Non perdette la Catalogna per un gruppo d'accidenti fortunati per lui; poichè non vuol sempre Iddio, che i Principi cattivi sottogiacciano a' buoni . Vi lasciò però anch' egli la vita; e la Sicilia mal acquistata fu per lungo tempo la croce della sua casa.

(1) Di questo fatto, e degli altri quì mentovati, vedi Gio. Vill. nel libro settimo della sua Storia.

(2) E' curioso il caso, che dietro al fatto narra Gio. Vill. 1. 7. c. 92. E avvenne che fatta la detta sconfitta, e preso il Prenze, que' di Surrenti mandarono una loro Galea con loro Ambasciadori a Messer Ruggieri dell' Oria, con quattro cuofani pieni di fichi fiori, i quali e' chiamano Palombole, e con dugento Agostari d'oro per presentarli al detto Ammiraglio; e giugnendo alla Galea di Messer Ruggieri ov' era preso il Prenze, e veggendolo riccamente armato con molti Baroni intorno, credendo fosse l'Ammiraglio si li inginocchiaro a piedi, e fe

Ma già si sa, considerato il natural delle femine, di che si pregino anche le Principesse e le Regine rispetto alla condotta de' loro mariti in faccia del Mondo: esse non si curano troppo della lor santità; li voglion piuttosto valorosi e fortunati nelle loro intraprese, giuste o ingiuste che sieno, e di ciò, più che d' altro si vantano e fanno galloria. Tal è il vanto che quì si dà la Regina Costanza; d'aver ella cioè avuto marito, quanto alla veduta mondana, più felice e glorioso di quello di Beatrice, e di Margherita, ambedue le quali furono molto dolenti per le calamità de' loro consorti. Quali sicno state le disavventure di S. Luigi, niuno le ignora; delle più delle quali fu spettatrice e compagna Margherita sua moglie; nella prima sua impresa oltre mare, così disponendo gl' imperscrutabili consigli di Dio, perdette la libertà, nella seconda la vita. E Carlo, oltre l'essere stato partecipe delle disgrazie di suo fratello a Damiata, e a Tunisi, ancorchè egli fosse prima e poi per molti egregi fatti famoso, perdette in fine, non (1) a petit passi, il regno di Sicilia sotto gli occhi della moglie sua

cerli il detto presente, dicendo. Messer Ammiraglio, come ti chiace da parte del Comuno di Surienti prendi quissi Palombola, e prendi quissi Agostarii, per un taglio di calze ; e plazesse a Deo, com' hai preso lo figlio, avessi lo patre. Il Prenze con tutto suo dannaggio, udendo questo cominciò a ridere, e disse all'Ammiraglio. Per lo San Dio, che sont bien leal a Monsegnor le Roy ».

(1) S'allude a ciò che racconta Gio. Vill. 1. 7. c. 62. « Nel detto tempo lo Re Carlo era in Corte di Papa, e com'ebbe le dette dolorose novelle della rubellazione di Cicilia, crucciossi molto nell'animo, e ne' sembianti, e disse» Sirc Iddio, dappoi che t' è piaciuto di farmi avversa la mia fortuna, piacciati che'l mio calare sia a petit passi». La quale orazione non fu esaudita.

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