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cteriarum iniquarum, extorsionum, et illicitorum lucrorum fuerint condemnati, ut in ipsis condemnationibus docetur apertius, condemnationes easdem ipsi vel eorum aliquis termino assignato non solverint. Qui omnes et singuli per nuntium Communis Florentie citati et requisiti fuerunt legiptime, ut certo termino jam elapso mandatis nostris parituri venire deberent, et se a premissa inquisitione protinus excusarent. Qui non venientes per Clarum Clarissimi publicum Bapnitorem posuisse in bapnum Comunis Florentie subscriterunt (ita) in quod incurrentes eosdem absentis (ita) contumacia innodavit, ut hec omnia nostre Curie latius acta tenent. Ipsos et ipsorum quemlibet ideo habitos ex ipsorum contumacia pro confessis, secundum jura statutorum et ordinamentorum Communis et populi Civitatis Florentie et ex vigore nostri arbitrii, et omni modo et jure, quibus melius possumus, ut si quis predictorum ullo tempore in fortiam dicti Communis pervenerit, talis perveniens igne comburatur sic quod moriatur, in hiis scriptis sententialiter condemnamus.

Lata, pronuntiata, et promulgata fuit dicta condemnationis summa per dictum Cantem Potestatem predictum pro tribunali sedentem in Consilio Generali Civitatis Florentie, et lectum per me Bonorum Notarium supradictum sub anno Domini milesimo tercentesimo secundo Indictione XV. tempore Domini Bonifatii Pape ottavi die decimo mensis Martii presentibus testibus Ser Masio de Eugubio, Ser Bernardo de Camerino Notariis dicti Domini Potestatis, et pluribus aliis in eodem Consilio existentibus.

» Se Dante, conchiude lo stesso Caval. Tiraboschi, fosse veramente reo delle baratterie, che quì gli vengono

apposte, non è sì facile a difinire. Io credo, che in que' tempi di turbolenze e di dissensioni fosse assai frequente l'apporre falsi delitti, e che questi facilmente e volentieri si credessero da coloro, che voleano sfogare il lor mal talento contro i loro nimici. Egli è però questo l'unico monumento, ch'io sappia, in cui si veda a tal delitto assegnata tal pena; ed esso ci pruova il furore, con cui i due contrari partiti si andavano lacerando l'un l'altro ».

La terza ed ultima condanna, ch'ebbe il nostro Dante, si fu nell'anno 1315. del mese di Ottobre, pronunziata da D. Rainerio di D. Zaccario d'Orvieto, Vicario regio della città di Firenze, (1) per non esser egli comparso a dar mallevería del suo andar a'confini. Or qual diremo noi essere stata la cagione, ch'egli in tal anno, in tempo ch'egli si viveva quietissimo, solo inteso a' suoi studj, sia stato egli dal banditore citato a presentarsi in giudicio, per esser poi, come avvenir doveva, dannato? La vedremo assai probabile nel seguente Capitolo.

(1) Nelle Memorie del Sig. Pelli §. X. pag. 78. n. 3. ( Nel Dante del Zatta Tom. IV. Par. 11.) pro eo quod non comparuit ad satisdandum de eundo ad confinia, prout in forma dicte condepnationis plenius continetur. In questa carta, ch'è una recupera d'alcuni beni fatta da Jacopo figlio di Dante, è notabile, che nominando visi espressamente la prima e la terza sentenza, della seconda, cioè di quella del fuoco, non si fa menzione: quando però questa non fosse dal Notajo accennata, e prudentemente da lui ricoperta con un eccetera dopo di quelle parole: Et maxime pro quadam condepnatione personaliter de dicto Dante facta per D. Cantem de Gabriellibus de Eugubio &c.

CAPO XV.

Se Dante s'abbia egli meritato l'esilio.

In una sua (1) Canzone introduce il Poeta a dolersi, come sbandeggiate e tapine, tre donne nobili e virtuose; ed Amore, anch'egli quasi ramingo, che le riconosce per sue germane, e le incuora. L'atteggiamento, della prima di quelle è tale:

Dolesi l'una con parole molto,

E'n sulla man si posa,.

Come succisa rosa;

Il nudo braccio di dolor colonna

Sente (2) lo raggio che cade dal volto

L'altra (3) man tiene ascosa

La faccia lagrimosa,

Discinta e scalza, e sol di se par donna.

La quale da Amore richiesta a dir chi si fosse, rispose: Son suora alla tua madre, e son (4) drittura;

Povera vedi , a' panni ed a cintura.

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(1) Comincia, Tre donne intorno al cor mi son venute.

(2) Chiama raggio la lagrima, per dir lucente l'occhio, come la stella.

(3) Nelle Stampe, unitamente, manticne. Troppo grosso errore, mentre il Poeta una sola donna dipinge, la quale poggiando la guan cia su l'una mano, si vela coll'altra la faccia.

(4) Antichi Espositori, a quel luogo dell'Inf. VI. 73. Giusti son due, ma non vi sono intesi, dicono li due giusti essere, l'uno il jura divino naturale, l'altro quel delle genti, o sia il jure umano. V'è di loro chi aggiunge; quel primo diritto esser la donna detta qui drittura, la quale in certo modo generò la seconda, cioè la drittura delle gen ti, o l'umana, che fu quasi madre della legge civile.

E dimandata dell' altre dice:

Più nel dolor s'accese,

Dicendo: or non ti duol degli occhi miei?
Poi cominciò: Siccome saper dei,

(1) Di fonte nasce Nilo picciol fiume
Ivi, dove'l gran lume

Toglie alla terra del vinco la fronda:
Sovra la vergin onda,

Genera' io costei, (2) che m'è da lato,

E che s'asciuga con la treccia bionda:

(1) Costruzione un po' troppo turbata; caduta forse al Poeta dal non risonargli bene all'orecchio,

Di picciol fonte nasce Nilo fiume;

ch'è verso in fatti dai lombi in giù fievolissimo. Non meno stravolta però è questa più lunga di Mess. Francesco Petrarca: (Canz. III. St. V.) Lagrima dunque, che dagli occhi versi

Per quelle che nel manco

Lato mi bagna, chi primier s'accorse,

Quadrella, del voler mio non mi svoglia:

Nè men bizzarra (nel Sonetto lasso, lo dol) è quella di Dante da Maja

no:

E qual più chiarirem dol pena porta

Dello assegnando amico prove saggio....

quando potea pur dirsi:

E chiarirem qual dol più pena porta,

Prove assegnando dello amico saggio.

Ma forse il nostro Poeta fu mal servito quì da'copisti, poichè pare impossibile, ch'egli non abbia voluto, o saputo dire:

Nasce di picciol fonte Nilo fiume.

Vedremo nella Commedia quanti errori, per vizio d'un solo esemplare, passati sono in tutte le Stampe.

(2) Dice da lato, perchè alla legge divina naturale, che comanda. si faccia agli altri ciò che si vuol fatto a se, totalmente s'accosta la legge delle genti, che si dia a tutti il suo, e che niuno col danno altrui s' avvantaggi

Questo mio bel portato,

Mirando sè nella chiara fontana,

Generò (1) questa, che m'è più lontana.

Ciò udito, Amor le conforta; e Dante a' casi suoi riflet tendo, dice:

Ed io ch'ascolto nel parlar divino

Consolarsi e dolersi

Cosi alti dispersi,

L'esilio, che m'è dato, (2) onor mi tegno:
E se (3) giudizio, o forza di destino,
Vuol pur che il mondo versi

(4) I bianchi fiori in persi;

(5) Cader tra' buoni è pur di lode degno:

E se non che (6) degli occhi miei'l bel

segno

(1) Questa la dice più lontana, perchè la legge positiva, o sia civile, derivando ella, per mezzo della giustizia delle genti, dalla giustizia naturale, come da prima norma o principio, una tal deduzione è così discosta, come la nepote dall'avola.

(2) Bell' onore, s'egli fosse stato a ragione esiliato, come barattiere!

(3) Giusto giudizio di Dio per lì nostri peccati, o forza di destino, cioè delle cause seconde, permessa da Dio per alcun bene a noi ignoto.

(4) Par ch' egli alludá il Poeta alla fortuna de Bianchi rivolta da Bonifazio VIII., e da Carlo di Valois in favore de' Neri.

(5) Di quì arguisco fatta questa Canzone poco dopo l'esilio; prima cioè ch'egli prendesse avversione a' suoi stessi Bianchi o Ghibellini, co'quali era stato sbandito: ciò che fu certamente prima c'

nida, Par. XVIII. 61., potesse dirgli:

E quet, che più ti graverà le spalle,

Sarà la compagnia malvagia e scempia,
Con la qual tu cadrai in questa valle.

(6) Non creder, saggio lettore, che 'l bel segno degli occhi di Dante femina fosse mortale; poichè l'inserir vani amori in i Danma

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