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(1) Per lontananza m'è tolto dal viso,
Che m'ave in foco miso,

(2) Lieve mi conterei ciò che m'è grave:
(3) Ma questo foco m'ave

(4) Già consumate si l'ossa e la polpa,

Che morte al petto m'ha posto la chiave:

(5) Onde s'io ebbi colpa,

(6) Più lune ha volto il Sol, poi che fu spenta, (7) Se colpa muore, perchè l'uom si penta.

ni leggerezza fu del Petrarca, e d'altri lievi poeti, non già di lui. Nell'epistola, di cui tratterò appresso, egli stesso si dice domestico della Filosofia, la quale, dopo la partita di Beatrice, fu la sua donna ; siccome si dimostrerà in questa Preparazione Cap. XXXVII.

(1) Lontano dai dotti amici, dalla sua biblioteca, dagli agi allo studio nella quiete della sua casa, potea Dante poeticamente e veracemente della lontananza dolersi della sua Donna, cioè della Filosofia.

(2) L'aver perduto cioè ogni altra cosa diletta più caramente. (3) Era dodici anni ch'egli ardea di tal foco; avendo egli cominciato lo studio della Filosofia poco dopo la morte di Beatrice, com' egli narra nel suo Convito.

(4) Perchè, come suol dirsi, lo studio è una lima sordina, che spolpa, nè giova punto a viver gli anni di Nestore. Giova però a scansar morbi e morti, cui van soggetti i vili oziosi e gli scapestrati .

(5) Della qual cosa, cioè della lontananza da me della Filosofia, per la condanna all'esilio, in cui sono incorso, s'io n'ebbi alcuna colpa ec.

(6) Anche di quì io argomento recente questa Canzone all'esilio di Dante, poichè se più anni fossero da quello trascorsi, avrebbe egli detto:

Più soli ha volto il ciel.

(7) Per vero pentimento la colpa muore dinanzi a Dio, rimanendo viva, quasi sempre, in qualche parte la pena. Dinanzi agli uomini, ancorchè tutta si sconti la pena, rimane la colpa, se l'oblivione non la cancelli.

Dalla chiusa di questa stanza si vede, ch'egli stesso il Poeta temeva d'aver alcuna spinta dato alla sua ruina, non già con baratterie, con estorsioni, e con altri lucri vietati; ma coll' essersi frammischiato nella Reggenza Fiorentina, dagl'imbrogli della quale ei dovea, secondo la sentenza di Platone, tenersi lontano; o coll'aver aderito piuttosto a' Bianchi, che a' Neri, allora forse che nel suo Priorato star si dovea neutrale. Quando di quì non si tragga giusta cagione di sua disgrazia, d'altronde non saprei come trarla, poichè per quanto io n'abbia cercato in Firenze ne' codici, e ne' consulti degli eruditi di quella città, non ho trovato monumento, nè memoria o tradizione che'l danni, nè scrittore alcuno che nol dica innocente. La prima delle sentenze pronunziate contro di lui, quella da cui le altre dipendono, è fondata, non sopra di accuse e processi di fatti particolari, ma su la fama del popolo; la quale quanto sia lieve da se, massimamente nelle dissensioni civili, l'ebbe detto l'Autore nel suo Convito (1): le popolari persone... molte volte gridano: viva la lor morte, e muoja la lor vita; purchè alcuno cominci. Se noi avessimo le lettere, che in sua difesa egli scrisse al popolo Fiorentino, a' Magnati, e agli amici particolari, dal tempo edace consunte, noi vedremmo più limpida la sua innocenza. Una lettera però ci è rimasta, la quale mi fu cortesemente indicata in Firenze dal ch. Sig. Ab. Lorenzo Mehus, che sola vale, ben ponderata che sia, a compensarci della perdita di tutte le altre.

(1) Tratt. I. Cap. XI.

Nell'anno, secondo ch'io computo; 1315. si trattò nella Repubblica Fiorentina della liberazion de' banditi. Fu presa parte che ritornassero; con l'obbligazione però di pagar una tal somma di danaro, e di essere all'altare offerti di S. Giovanni. Di questo decreto n'ebbe il nostro Dante notizia da molti suoi amici, e particolarmente da un Religioso, non so chi, nè di che Ordine, al quale egli rispose colla seguente latina epistola importantissima, poichè da quella si riconosce la sua innocenza, li suoi studj continuati nella Filosofia, la premura di mantenersi in buona fama e decoro, e la grandezza dell'animo suo. Questa sola è una perfetta apologia della vita onesta e studiosa di Dante Allighieri. Niuno de' suoi comentatori la vide, nè anche il Boccaccio, ancorchè nella Vita faccia egli menzione del fatto principale in essa contenuto, dicendo: (1) » Fu adunque il nostro Poeta, oltre alle cose di sopra dette, d'animo altiero e disdegnoso molto; tanto che cercandosi per alcuno amico, come egli potesse in Firenze tornare, nè altro modo trovandosi, se non che egli per alcuno spazio di tempo istato in prigione fosse misericordievolmente offerto a S. Giovanni; calcato ogni fervente disio del ritornarvi: rispuose; che Dio togliesse via, che colui, che nel seno della Filosofia allevato e cresciuto era, diventasse cero del suo Comune ». Nel toccar la qual cosa quantunque il Boccaccio in più circostanze s'inganni, non erra però egli nell'importanza, qual è, che

(1) Ne do le parole come sono nella Vita manoscritta nel bellissimo Codice, che mi fu donato in Firenze dall'amica liberalità di Monsig. Canonico Bandini, sino dal passato anno mancato a' vivi.

Dante non volle con diminuzione dell'onor suo ritornare alla patria. Il qual fatto magnanimo essendo caduto nell' anno 1315., in vece di mitigar la fierezza de' suoi nemici, ch'avrebberlo voluto in Firenze avvilito, l'accrebbe; sicchè indispettiti citaronlo a dar malleveria de' confini, e non essendo comparso, l'ebbero sbandito di nuovo nell' Ottobre dell'istesso anno, come si è detto nel fine del Capitolo antecedente. Tal fu la riuscita del generoso rifiuto.

Questa preziosissima epistola io l'ho trascritta colla possibile diligenza dal Cod. VIII. pag. 123. Plut. XXIX. della biblioteca Laurenziana, dove unicamente si ritrova. Darolla scorretta d'ortografia, come sta e giace nel manoscritto, aggiuntavi solo la puntatura moderna. Darolla ancora volgarizzata per chi non gusta il Latino, e pur ama d'esser istrutto di queste cose.

CAPO XVI.

Epistola di Dante.

In licteris vestris et reverentia debita et affectione receptis, quam repatriatio mea cure sit vobis (1) ex animo, grata mente, ac diligenti animaversione concepi: etenim tanto me districtius obligatis, quanto rarius exules invenire amicos contingit. Ad illarum vero significata respondeo: et (si non ea tenus qualiter forsan pusillanimitas appeteret aliquorum) ut sub examine vestri consilii ante

(1) Nel ms. et.

judicium ventiletur, affectuose deposco. Ecce igitur quod per literas vestri meique nepotis, nec non aliorum quamplurium amicorum significatum est mihi, per ordinationem nuper factam florentie super absolutione bannitorum; quod si solvere vellem certam pecunie quantitatem, vellemque pati notam oblationis, et absolvi possem, et redire ad presens. In quo quidem duo ridenda et male preconsiliata sunt, pater. Dico male preconsiliata per illos, qui talia expresserunt; nam vestre litere discretius et consultius clausulate nicil de talibus continebant. Est ne ista revocatio gloriosa, qua (1) d. alla. revocatur ad patriam per trilustrium fere perpessus exilium? Hec ne meruit innocentia manifesta quibuslibet? Hec sudor et labor continuatus in studio? Absit a viro philosophie domestico temeraria terreni cordis humilitas, ut more cuiusdam (2) cioli, et aliorum (3) infamium, quasi victus, ipse se patiatur offerri. Absit a viro predicante iustitiam, ut perpessus iniurias iniuriam inferentibus, velud bene merentibus, pecuniam suam solvat. Non est hec via redeundi ad patriam, pater mi: sed si alia per vos, ut deinalios invenietur, (4) que fame. d. que onori non

de

per

(1) Cioè, Dantes Allagherii. Ecco in qual maniera scrivevansi le più volte i nomi proprj già noti; donde poi mille errori ne son provenuti nelle Stampe.

(2) Nel Cod. vale per scioli.

(3) Intendo Infami, non d'infamia positiva, che avessero fatto, cioè, azioni infami; ma di fama negativa, per non averne fatte mai di famose. Ciò che l' Autore dice a contrapposto di se; poichè egli si reputava, e tale era, dotto e famoso.

(4) Può leggersi in due maniere: quæ fame Dantisque honori, ovvero, que fame Dantis, quæ honori. La seconda, perchè di maggior for za, mi piace più della prima, e però seguirolla nella Traduzione.

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