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la quale c'insegna, che Beatrice viveva, allorchè Dante apprese a dire per rima, ed esercitarsi nella poesia; e che esso non fu nè Filosofo, nè Teologo, se non dopo la morte di quella donna: che anzi, quand'ella morì, essendo egli affatto ignaro di questi studj, gli avvenne felicemente di sopir quel primo suo amore; col darsi allo studio della Filosofia. Oltre a ciò, di quale studio poetico si vuol quì da Bice, o Beatrice, o dalla Teologia ripreso il nostro Poeta? Imperciocchè se dell' aver lui scritto le Rime d'amore; in quelle ei loda per intero la Filosofia, e però, più che altra parte, la Teologia, che n'è la più nobile, siccome egli spiega nel suo Convito : diremo forse l'eccelsa donna esser quì alle sue stesse lodi nemica? Se della divina Commedia; questa nel 1300. non era per anche composta; e se'l comporla era peccato, questo era un peccato futuro, ed ella non lo rampogna che de' falli passati. Ma come mai poteva ella della Commedia dannarlo, se quel poema l'ha egli poi scritto, non di suo capriccio, ma per consiglio e providenza del Cielo? Cacciaguida in fatti, lei presente, comandagli: Par. XVII. 128.

Tutta tua vision fa manifesta:

e S. Pietro, Par. XXVII. 64.

E tu figliuol, che per lo mortal pondo
Ancor giù tornerai, apri la bocca,
E non asconder quel, ch'io non ascondo:

ed ella stessa, Pg. XXXII. 104.

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quel che vedi

Ritornato di là fa che tu scrive:

e nell'ultimo del Pg. v. 52.

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E sapean ben eglino, ed ella, che una tal Visione sarebbe stata dall' Allighieri descritta colla poesia la più studiata e più nobile che fosse possibile in uom mortale. Come dunque riprenderlo? E non fu ella, Beatrice, che da Lucia pregata, e questa dalla donna gentile, mosse Virgilio in ajuto di Dante? Ora perchè valersi dell' opera del Mantovano poeta, di cui sapeva lui essere studiosissimo, s'ella poi voleva per li lavori poetici fatti, o da farsi, accusarlo?

Unico è tra moderni il Sig. Can. Antonmaria Biscioni Fiorentino, il quale (2) ci dà per troppo manifesto, che il Poeta si ritirò dall' amore di Beatrice (cioè della Teologia) per cagione degli studj delle profane scienze, e spezialmente per avere intrapreso il lavoro del Convito. Egli è vero, ch' essendosi l'Autore applicato, dopo 'l transito della sua donna, allo studio della Sapienza, egli attese ancora alle scienze profane, le quali pur appartengono alla Filosofia: ma che l'opera del Convito sia stata quella pargoletta, O altra vanità con sì brev' uso, che dalla Teologia l'abbia tolto, ciò non solo non è manifesto, ma è falso. Imperciocchè lasciando tutt' altre ragioni da par

(1) Così nel Cod. di S. . dove sopra quel segna sta scrivi. Così anche nel Testo dell' Anonimo. Nella stampa della Crusca, e sì pur in quella del P. Lombardi, le'nsegna; con che si perde le scrivi nella Commedia.

(2) Nella Prefazione alle Prose di Dante e del Boccaccio pag. XXXV. e seg. Ediz. Fior. MDCCXXIII.

te, il preteso abbandono Teologico principia secondo questo Comentatore, e'l supposto (1) Pietro di Dante, dal 1290. e continua per un decennio; e l'opera del Convito la cominciò l'Autore (2) molto dopo l'esilio. Laonde c'è quì il contrattempo di quasi vent'anni: ed è fisicamente impossibile, che quell' Opera sia stata a Dante cagione di staccarsi dall'amore di Beatrice.

v. 64. Qual' i fanciulli vergognando muti

Con gli occhi a terra stannosi ascoltando,
E sè riconoscendo, e ripentuti,

Tal mi stavio: ed ella disse: Quando
Per udir se' dolente, alza la barba,

E prenderai più doglia riguardando.

Anche qui collo starsi tacito e vergognoso con gli occhi á terra, riconosce il Poeta per vero ciò che gli è rinfacciato e la donna, per farlo ancor più confuso e dolente, gli dice: Alza la barba.

v. 70. Con men di resistenza si dibarba

Robusto cerro, o vero (3) al nostral vento,

O vero a quel della terra d' Iarba;

(1) Spiegando Pietro quelle parole (Pg. XXXII. 2.) la decenne sete, dice: per X. annos steterat relicta visione Beatricis. i. studio Theologico. Piccola bagatella; dal 1290. fino al 1300. non aveva Dante atteso alla Teologia. Ma per dismetter uno studio bisogna prima averlo cominciato: or quando lo cominciò egli? Ne' Capitoli superiori è diciferata ogni cosa.

(2) Vedi ciò ch' egli dice nel Cap. 3. Tratt. I. del suo Convito. (3) al in vece di a. Esattezza questa del Cod. di S. . non dicendosi nostro, che 'l vento, che move dal nostro polo. In margine con error manifesto è notato allaustral vento.

Ch'io non levai al suo comando il mento:

E quando per la barba il viso chiese,
Ben conobbi 'l velen dell' argomento.

Ecco giunto al sommo il rossor del Poeta, riconoscendosi egli stesso, o, a meglio dire, mostrando in apparenza di riconoscersi disleale e vizioso, non già fanciullo di primo pelo, ma colla barba al mento, perchè in età di trentacinque anni. Il processo è finito; a chi tocca dar la sentenza la dia e' si guardi però dall' apparir troppo dolce di sale in creder tosto qual suona all' orecchio, o qual pare all'occhio l'accusa di Beatrice, e la confessione di Dante, cioè nel senso ovvio e letterale, come appunto la espone infra gli altri (1) il P. Lombardi; da che in questi Capitoli s'è fatta veder manifesta la contraddizione in tal senso tra Dante istorico, e Dante poeta. Se si voglia trarne la verità, bisogna necessariamente ricorrere al senso figurato, o sia allegorico, di cui si compiacque tanto l'Autor nelle Rime, nell' Egloghe, e come pur vedremo nella Commedia. Niun' altra via ci rimane a conciliar le prose di lui colle sue poesie; quando non si voglia dirlo nell' une, o nell' altre bugiardo; e quel ch'è men verisimile, mendace nell' orazione sciolta, e veritiero nella ri

(1) A dir il vero, questo novissimo Comentatore ha la prudenza nel suo non breve comento Romano di non ingerirsi niente in simiglianti questioni: e quantunque bene spesso si sforzi egli colla vela e co' remi adoperarsi e sospingersi a difender il suo Dante dalle piccole accuse; che nulla quasi rilevano; in questa gravissima della di lui onestà e morigeratezza, suscitatagli dalla negligente diligenza de' suoi stessi Comentatori, passa la nave sua colma d'oblio. Non si può lodare questa sua condotta abbastanza.

mata. E pur un tale spediente o non fu veduto, o fu trascurato da que' tanti Comentatori, che gareggiaron tra loro in dannar per quest' accusa e confessione l'Autore, non s'accorgendo gl' incauti, che avendo essi per vera la confession ch'ei fa quì della colpa, mostravano d'aver per falsa la difesa, ch'altrove egli stesso fa della sua innocenza. Forse vi sarà chi dimandi, qual figura ci sia, che scioglier possa il nodo delle cose in questi due Capitoli

esposte.

Dirò brevemente. Due persone, come si è detto e provato di sopra, sostiene l'Autore nel gran Poema; la sua, e quella di qualunque viaggia, meditando con esso lui per tutte e tre le regioni dell' altro Mondo. Il getto della Sapienza, e'l mal costume rimproveratogli, e da lui confessato, troppo spesso conviene alla voluta ignoranza e alla scostumatezza de' compagni suoi viaggiatori; non di rado vedendosi giovani di nobile ingegno forniti, e nobilmente educati, lasciar il nettare della Filosofia per appressar sitibondi le labbra al feccioso calice di Babilonia, o all'acque stagnanti di libri pieni d'empietà e di lascivia. Tutto ciò dunque che nel senso istorico non può dirsi nè credersi del nostro Poeta, si dica e si creda da esso rappresentato nel senso morale in coloro, che vanno errando per questo aspro deserto accccati dalla loro malizia i quali illustrati poi, quando che sia, dal padre de' lumi, son qui rimproverati da Beatrice, cioè dalla Sapienza, e costretti a vergognarsi e pentirsi de' loro errori. Di chi abbia rappresentato in se stesso l' altrui persona, più che la sua, n'abbiamo in Apulejo luculentissimo esempio; il quale nel suo Asino d'oro le strane cose par

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