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La quarta supposizione è la più sciocca e insieme la più ruinosa di tutte: perchè guai, se dalle lagrime del Poeta se ne traesse per lui conseguenza di reità di costumi! Ci converrebbe dirlo incestuoso, e adultero per la pietà da lui mostrata de due cognati. Ci sarebbe da crederlo sodomita, o da sospettarne assai, per ciò che arguisce gentilmente il Boccaccio (Inf. XVI. 12.) in questa maniera: Suole l'autore nelle parti precedenti sempre mostrarsi passionato, quando vede alcuna pena, della quale egli si sente maculato: non so se qui si vuole, che l'uomo intenda per questa compassione avuta di costoro (cioè de' sodomiti) che esso non si confessi peccatore di questa scelerata colpa, e perciò il lascio a considerare agli altri. Ma voi, Mess. Giovanni, che c'ingerite si grave sospetto, che ne giudicate voi? Secondo 'l vostro raziocinio dovete averlo per sodomita. Bisognerebbe ancora dirlo indovino, malvagio consigliere, seminatore di scisme, ed anche traditore, perchè compianse del Conte Ugolino la morte. Non basta mica: si proverebbe per questa via, ch'egli avesse tentato, o tentasse il suicidio, allora che s'intenerì in udendo Pier delle Vigne, il quale per disperazione col dar del capo in un muro si uccise. Che razza d'argomentar fu mai questa; e' piagne, dunque reo? Ma così pensò l'Anonimo, così il Boccaccio, così Jacopo della Lana, così si ragiona nelle finte glose di Pietro, e così dietro a costoro son it a guisa di pecore tutti gli altri Comentatori, i quali però saranno esecrati da' posteri, come micidiali della buona fama dell'Autore innocente.

Suol dirsi, un fallo ne tira un altro. Dal primo falso supposto ne venne, o s'accrebbe quest'ultimo, di cui

per anco parliamo. L'avarizia (pare incredibile) gli fu attribuita da' suoi Espositori. L'anonimo testè mentovato, da altri detto l'antico, il buono, sopra 'I Canto primo dell'Inf. dice: >> (Dante) mostra quella bestia che più limpedia ciò fu la lupa sia avaritia o sia invidia nel quale peccato fu molto incolpato e maculato ». Un altro (1) comentator senza nome: » Dante per queste parole immantenente dimostra che dopo li vizj di superbia e di lussuria fu macolato per avarizia in questa vita carnále, e non e maraviglia però chel peccato in generale e di tanta gravezza che selli non e costretto per virtù o per rimedio di ragione siffa luomo pervenire ad altre cose, e questo e quello che dice Sancto Agostino ec. » E per dirne un meno antico, Vincenzio Buonanni ne reca una ragione, a dir vero, ridicolosa, asserendo: » Più che a tutti i vizj fu combattuto Dante dall' Avarizia, credo per la molta, anzi troppa povertà ».

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Ma il Boccaccio, cui premeva forte, non so perchè, mostrar avaro il Poeta, dell' un supposto si valse a rinforzar vie più l'altro: laonde comentò nel Cap. VII. ch'è degli avari, di tutta forza così. Ed io ch' avea lo cor quasi compunto, di compassione, la quale portava a tanta fatica, ed a tanto tormento, quanto quello era, il quale nel percuotersi sofferivano; ed oltre a ciò, aveva la cơmpunzione, per lo vermine della coscienza, il quale il rodeva, cognoscendosi di questa colpa esser peccatore; il che esso assai chiaramente dimostra nel primo Canto, dove di

(1) Bibl. Gadd. Pl. LXXXX. Cod. XLII.

ce, il suo viaggio essere stato impedito dalla lupa, cioè dall'avarizia: ed in questo è da comprendere, invano esser da noi conosciuti i vizi, e' peccati, se sentendoci inviluppati in quegli, o poco, o molto noi non abbiamo dolore e compunzione: nè osta il dire, come avea l'autore compunzione dell'essere avaro, che ancora, come nelle seguenti parole appare, non sapeva chi essi si fossero; perciocchè qui usa l'autore una figura chiamata preoccupazione ». Oh la bell'arte, ch'è questa, per arguir in Dante avarizia! Diremo adunque ch'egli usò della stessa figura allor quando disse, Inf. III. 22. 1

Quivi sospiri, pianti, e alti guai

Risonavan per l'aer senza stelle,
Perch' io al cominciar ne lagrimai.

Tu piagni in questa prima valle d'inferno? non fare; poichè quantunque tu per anco ne ignori la condizione, il tuo preventivo pianto ti può tradire, quasi tu pianga per lo vermine della coscienza, e sii uno di quegli sciaurati, che mai non fur vivi. Ma lasciam queste baje, per dirne dell' altre.

Lo stesso Boccaccio nella Vita, che ci ha lasciata di lui, ce l'ha dipinto col più vivo color lussurioso. Imperciocchè al Num. IV. di quella: quasi dallo inizio della sua (1) puerizia insino allo estremo della sua vita, Dante ebbe

(1) Nota, o Lettore, che nei testi che allego della Vita di Dante, scritta dal Boccaccio, io seguo la copia, che meco trascrisse il benemerito Arciprete di Soave D. Bartolommeo Perazzini, di buona memoria, da un Codice di Firenze, il quale in più luoghi è diverso dalle stampe.

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fierissima et importabile passione d'amore. E nel Num. XXX. Tra cotanta virtù, tra cotanta scienza, quanta dimostrata è di sopra, essere stata in questo mirifico Poeta, truovò amplissimo luogo la lussuria; e non solamente ne' giovani anni, ma ne'maturi. Similmente, o peggio, l'Anonimo: quanto in essa (lussuria ) peccasse l'autore, qui (cioè nel Can. 1. dell'Inf.) et altrove il dichiara aggiungendo poi, che in cotal vizio di qui allultimo peccoe. Peggio ancora un certo cotal Fiorentino. Questo però lo riservo ad altro Capitolo.

CAPO XXXVI:

Della Pargoletta, dell' Alpigiana, e di Madonna Pietra.

Venendo poi esso Boccaccio al particolare, così scrive al Num. VII. Nè fu solo da questo amore (di Beatrice) passionato el nostro poeta; anzi inchinevole molto a questo accidente per altri obbietti in più matura età: e troviamo lui sovente avere sospirato, e massimamente dopo el suo esilio, dimorando in Lucca, per una giovine, la quale egli nominò Pargoletta. Et oltre a ciò, vicino allo estremo della sua vita, nell'alpi di Casentino per una alpigiana, la quale (se mentito non m'è) quantunque bel viso avesse, era gozzuta. E per qualunque fu l'una di queste compuose più e più (1) laldevoli cose in rima. D'un terzo amoreggiamento fa menzione Anton Maria Amadi nelle sue Annotazioni sopra

(1) Di cotal foggia d'ortografia si dirà nella Vita scritta dal Boc

caccio.

d'una Canzone morale pag. 84. Ediz. di Padova per Lorenzo Pasquati 1565. in 4. volendo che quella Canzon nelle Rime di Dante, la quale comincia, Amor, tu vedi ben che questa donna, fosse da lui composta quand'egli amava Madonna Pietra della nobil famiglia Padovana degli Scrovigni. Ecco quì dunque tre amori, su de' quali si vuole che'l Poeta stesso abbia versificato. Che dirai mo, studioso lettore, s'io ti mostrerò chiaramente, che la creduta Pargoletta, l'Alpigiana, e Madonna Pietra, sono una donna sola, e questa la Filosofia?

Esaminiamo pertanto nelle Rime e nella Commedia que' luoghi che son paruti o che pajono, a queste donne appartenere. Per la Pargoletta è notevole la seguente Ballată.

Io mi son pargoletta bella e nuova,

E son venuta per (1) mostrarmi a vui
Delle bellezze e loco, d'ond' io fui.
Io fui del Cielo, e tornerovvi ancora,

Per dur della mia luce altrui diletto:
E chi mi vede, e non se ne innamora,
D'amor non averà mai intelletto;

(2) Che non gli fu 'n piacere alcun disdetto,
Quando natura mi chiese a colui,

(1) mostrarmi. L'affisso mi c'è di più per vaghezza di lingua .

(2) Parafrasi. Poichè ad Amore non fu detto di no in cosa alcuna che fosse di suo piacere : e fra le altre ch'ei volle, una si fu, che chi mi vede, e non s'innamora di me, non sappia mai, che sia Amore: e ciò avvenne quando l' umana natura mi dimandò a Dio, il quale volle ch' io fossi d'esso Amore compagna .

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