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lasciar gli altri indicj, si rileva pur dalla Chiusa

ch'è questa:

O montanina mia canzon, tu vai

(1) Forse vedrai Fiorenza la mia terra;

Che fuor di se mi serra

Vota d'amore, e nuda di pietate:

Se dentro v'entri, va dicendo: omai
Non vi può fare il mio fattor più guerra:
Là ond' io vegno una catena il serra
Tal, che se piega vostra crudeltate,
Non ha di ritornar qui libertate.

Imperciocchè se qui si trattasse di lascivo amore, troppo imprudente sarebbe stato l'Autore a mostrarsi impedito in faccia de' suoi Cittadini; e privo affatto di senno e'si sarebbe scoperto in dirsi tanto preso d'un' alpigiana gozzuta, che se anche egli fosse richiamato alla patria, non potesse rompersi le catene a tornarvi. Laonde io son d'avviso, che quando Dante mandò a Fiorenza questa sua poesia, fosse già noto a' volgari, non tanto per le Rime, quanto per l'opera forse del Convito, e forse ancora per la Cantica dell' Inferno, e per la fama ch'egli avea di Filosofo, che la sua donna fosse già la Filosofia: e che perciò egli abbia creduto di farsi merito, tanto applicato dicendosi alle filosofiche speculazioni, ch'ei non potesse, per dir così, ritornare, se anche i cittadini fatti pietosi lo richiamassero.

(1) Ancorchè dica Forse, par ch' ei l'abbia principalmente diretta a quella città.

f

Veniamo finalmente a Madonna Pietra, per amor della quale si vuole inventata e scritta dal nostro Poeta la di sopra indicata Canzone, nella quale però niente altro di quella donna si trova, che la voce pietra rimata e ripetuta più volte con quell'intreccio che richiedevasi in una Sestina di nuova foggia e bizzarra, com'è appunto quella. Ma se per questo il Sig. Amadi credette, che quivi si trattasse di essa Nobile Padovana, io mi maraviglio di lui, che non le appropriasse piuttosto un'altra Canzon che principia:

Così nel mio parlar voglio esser aspro,
Com'è negli atti questa bella pietra,
La quale ogn' ora impetra

Maggior durezza, e più natura cruda &c.

E potrebbe essere, ch'egli o alcun altro dicesse, che questa pure le appartenesse; in tal caso però converrebbe dire, che di Madonna Pietra parlasse anche (1) quell' altra, dov'egli dice il Poeta:

E però non disgombra

Un sol pensier d'amore, ond' io son carco
La mente mia, ch'è più dura che pietra,
In tener forte immagine di pietra:

la quale appunto termina con questi versi:
Saranne quello ch'è d'un uom di marmo,

Se in (2) pargoletta fia per cuore un marmo.

(1) Che comincia: Io son venuto al punto della rota, la quale imitò il Petrarca nella Canz. V. delle sue Rime.

(2) Vedi, che dicendola pargoletta, ben dimostra l'Autore, costei esser la pargoletta bella e nova della ballata di sopra esposta.

Ma se ogni volta che Dante scherza su la pietra, o sul marmo, o su'l diaspro, o su d'altra cosa dura, s'abbia a dir ch'egli parli di Madonna Pietra, perchè ne sia stato amante, converrà credere, che tutte le sue rime sieno scritte in lode di lei; le quali pur mostreremo ben tosto, che tutte sono dettate in lode della Filosofia da esso unicamente celebrata, dopo la morte di Beatrice, come sua donna. Vedremo a suo tempo nell' espor la controversa Canzone, che in essa invoca il Poeta l'Amor increato, dicendo:

Però vertù, che sei prima che tempo,
Prima che moto, o che sensibil luce,
Increscati di me, che ho sì mal tempo.
Entrale in core omai &c.

e conchiuderemo; che quella Pietra, di cui s'intese il Poeta, non era adunque delle nostre petraje.

САРО XXXVII.

Dell'amor di Dante per Bice o Beatrice de' Portinari.

Le femmine testè nominate, la Pargoletta, la Gentucca, la Montanina, la Pietra, parmi d'averle mostrate abbastanza per allegoriche, o favolose, come quelle che non ebbero sussistenza, se non se nello studio Filosofico del nostro Poeta, o nell' equivoco, e nell'abbaglio degli Scrittori con che mi lusingo d'aver imposto silenzio a coloro, che di tali amoreggiamenti anche al giorno d'oggi l'imbrattano ingiustamente. Or mi piace di dar la storia della passione amorosa, ch'egli ebbe nella sua adolescen

za per la famosa Beatrice, contro di chi opinò e scrisse (1) lei non essere stata figlia di Folco Portinari, nè Fiorentina, nè donna vera, ma solo fantastica ed allegorica; e puramente intellettuale e scientifico l'amore di Dante. La storia sarà fiancheggiata da ragioni forti, perchè tolte dagli scritti dell'Autore, le più delle quali fien nuove. Che Bice o Beatrice sia stata femmina in carne, e Fiorentina, ed amata dal Poeta, si prova coll' infrascritto Sonetto, il quale è stampato già nelle Rime, ma pur alla Vita Nuova appartiene, ancorchè in quell'Opuscolo non abbia avuto luogo.

(2) Guido, vorrei, che tu, e (3) Lapo, et io,

Fossimo presi per incantamento,

E messi ad un vasel, che ad ogni vento
Per mare andasse a voler vostro e mio;
Sicchè fortuna, od altro tempo rio
Non ci potesse dare impedimento:
Anzi vivendo sempre in noi talento
Di stare insieme crescesse'l disio.

E Monna (4) Vanna, e Monna (5) Bice poi

(1) Di tal parere fu Mario Filelfo presso 'l 1468 nella sua Vita di Dante; e in questo secolo Anton Maria Biscioni nella sua Prefazione alle prose di Dante e del Boccaccio: la qual opinione a' Letterati non piacque, perchè falsa.

(2) Questo Guido, al quale indirizza l' Autore le sue parole, fu nobilissimo cavalier Fiorentino, poeta e Filosofo, figlio di Cavalcante de' Cavalcanti; e fu il primo degli amici di lui, in grazia del quale egli commentò la Vita Nuova, in Volgare.

(3) Lapo, anch' egli rimatore Fiorentino e amico di Dante. Costui fu degli Uberti.

(4) Vanna, detta nella V. N. § 24. Giovanna, era molto donna di Guido. (5) La Bice quì nominata fu la celebre donna del divino Poeta: e

Con (1) quella (2) su il numer delle trenta

Con noi ponesse il buono incantatore:
E quivi ragionar sempre d'amore,

E ciascuna di lor fosse contenta,

Siccome io credo che sariamo noi.

Dalla Vita Nuova (§. 5.) si vede, che Bice o Beatrice in detto ruolo era, o fingeva il Poeta, che fosse la nona: presi, egli scrive, i nomi di sessanta, le più belle donne della città, ove la mia donna fu posta dallo altissimo Sire: e composi una pistola sotto forma di (3) serventese, la quale io (4) non iscriverò, e non n'avrei fatta menzione, se non per quello, che ponendola, maravigliosamente addivenne, cioè che in alcuno altro numero non sofferse il nome della mia donna stare, se non in sul nono, tra' nomi di queste donne. Or dovrassi egli credere, che fra tante vere femmine Fiorentine la sola Bice fosse una larva im

quegli Scrittori o Comentatori, che affermano, lui non aver mai chiamata la donna sua con tal nomie, salvo che per cenno una volta sola nel Par. VII. 13. laddove disse:

Ma quella reverenza, che s' indonna

Di tutto me, pur per B e per ICE:

non videro essi, o non osservarono questo Sonetto, e nè anco quello: Io mi senti' svegliar, ch'è nella V. N. § 24. dove, la chiama pur Bice.

(1) Quella, cioè, che nel ruolo delle belle donne in Firenze cadeva in tal numero, era di Lapo.

(2) Forse meglio, sur, o sor. Nell' Inf. XXIX. 40. si legge nel Cod. di S., nel Ms. Canonici, e in altri antichi e buoni da me veduti : Quando noi fummo sor l'ultima chiostra.

(3) Di questo vocabolo vedi la Crusca.

(4) Nè men di questo componimento, in oggi perduto, egli volle far uso nella V. N. e pur egli era acconcio al misterioso numero nove, su cui egli insiste molto, e di cui vedi il significato in quell' Opuscolo § 30.

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