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(1) Quindi non terra, ma (2) vergogna ed onta
Guadagnerà per sè tanto più grave,
Quanto più lieve simil danno conta.

CAPO LV

Del Leone.

Tutti i segnali, che nell' allegoria del carro div enuto deforme al gigante convengono ed alla fuja, per dir l'uno il regno di Francia, e l'altra la Corte Romana; quegli stessi nella prima allegoria dell' Inferno al leone convengono ed alla lupa per significar quel medesimo Regno, e la medesima Corte. S'è veduto ne' Capitoli antecedenti, che la fuja e la lupa sono una stessa cosa: dunque son pur tutt' uno il Gigante el Leone: conseguenza, che mi piace qui dichiarare.

L'ora del tempo, e la dolce stagione

(dice Dante) buona speranza mi dava Di quella fera alla gajetta pelle;

cioè della lonza, che a lui uscito della selva s'

prima nel salir del colle; Inf. 1. 44.

oppose la

(1) Quindi nella Volgata, e nella mia Bodoniana: ma nel Cod. di S. si leggea quivi.

(2) Parrà forse a più d'uno, che sia miglior lezione peccato, con che s'accresca la forza del sentimento. Ma il vero è, che del peccato, chi non ha troppa coscienza, si ride; laddove della vergogna risentonsi o poco o molto anche i tristi, che per dignità o per carattere facciano figura nel Mondo. Ugo per questo a Carlo senza terra predice, volendo trafiggerlo, non il peccato, ma la vergogna.

Ma non sì, che paura non mi desse
La vista, che m'apparve d'un leone,

E (1) d'una lupa.

Che è pertanto il Leone?

Poichè la Lupa, per le cose già dimostrate, è la Corte di Roma, il Leone egli è il Regno di Francia: ed eccone in succinto la prova. Queste due fiere nel loro significato son parallele al gigante e alla fuja, poichè Messer Cangrande, il quale, come Duce,

Messo di Dio, anciderà la fuja,

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E quel gigante, che con lei delinque, come Veltro farà morir con doglia la Lupa: e Virgilio l'avrebbe detto anche uccisor del Leone, se non fosse contro la verisimiglianza poetica il dir ucciso da un cane (2) il re delle fiere. Ma il Gigante, per consenso di tutti gl' interpreti, egli è simbolo della Francia, dunque egli è pur il Leone.

In questa fiera, che contra del Poeta veniva Inf. 1. 47. Con la test' alta, e con rabbiosa fame,

Sì che parea che l'aer ne temesse,

(1) Si sottintende, la vista.

(2) D'un leone però ucciso da un asino fa memoria Gio. Vill. 1. 8. c. 62. nel fine. » In questi tempi avvenne in Firenze una cosa nuova, e bene notabile, che avendo Papa Bonifazio presentato al Comune di Firenze un giovane e bello leone, ed essendo nella corte del palagio de' Priori legato con una catena, ed essendovi venuto un asino carico di legna, veggendo il detto leone, o per paura che n'avesse, o per miracolo, incontanente assali ferocemente il leone, e co' calci tanto il percosse, che l'uccise, non valendogli l'ajuto di molti uomini ch' erano presenti ».

è figurato adunque, del pari che nel Gigante, il regno di Francia, e quella casa reale per la superbia principalmente, e l'avarizia del Re Filippo detto (1) il bello, e di Carlo di Valois, fratello di lui, detto (2) senza terra. Or cominciando da Filippo, egli è chiamato da Sordello Mantoano, Pg. VII. 109. il mal di Francia; e da Ugo Capeto, Pg. XX. 43. la mala pianta,

Che la terra Cristiana tutta aduggia

Sì, che buon frutto rado se ne schianta.

E perchè? Perch' egli per la vanità di dominar nella Chiesa, e per far già il suo interesse, sosteneva con la sua potenza la signoria temporale de' Papi, e così fomentava le discordie; d'onde veniva che con diverse maniere d'ingiustizie, con l'interessato favorir piuttosto una parte che l'altra, vedevansi nella calamità di que' tempi, Inf. XIX. 105. calcati i buoni, e su levati i pravi a grave scandalo e quasi universale tristizia del mondo Cristiano; Pg. XVI. 100.

Perchè la gente, che sua guida vede

Pure a quel ben ferire, ond' ella è ghiotta,
Di quel si pasce, e più oltre non chiede.

Laonde ragionava colui, Par. XVI. 103.
Ben puoi veder, che la mala condotta
È la cagion, che 'l mondo ha fatto reo,
E non natura, che 'n voi sia corrotta.

(1) Gio. Vill. c. 4. c. 3.,, Filippo. ... fu il più bello Cristiano, che fosse al suo tempo,, ·

(2) Perchè con tutte le sue arti non acquistò un palmo di terra per se. Di lui si nota, che non fu Re, ancorchè figlio, e fratello, e zio, e padre di Re. Mori nel Novembre del 1325.

Di quì, Par. XXIV. 110. la buona pianta da Pietro po◄ vero e digiuno seminata, ch' esser doveva vite, era divenuta al tempo di Dante, non nella fede, ma ne' costumi, pruno. Per questo egli con grande affetto dice: Par. XVIII. 124.

O milizia del Ciel, cu' io contemplo,

Adora per color, che sono in terra,
Tutt' isviati retro al malo esemplo.
Già si solea con le spade far guerra;

Ma or si fa togliendo or qui, or quivi
(1) Lo pan, che'l pio padre a nessun serra.
Ma tu (2), che sol per (3) cancellare scrivi,

Pensa che Pietro e (4) Polo, che moriro

(1) L' Eucaristico, del quale, più che d'altro sacramento, sono privi gli scomunicati.

(2) Questo tu (probabilmente parlando) è Bonifazio VIII. Il P. Lombardi (non so a qual fine) vorrebbe piuttosto che fosse Clemente V. per la ragione ch'ei parla, dice, ad un Papa vivente mentr' egli queste già vedute cose scriveva.

(3) Filippo Villani 1. XI. c. 64. „, si fermò la pace tra Papa Urbano Quinto... et il detto Messere Bernabò, per la Chiesa di Roma assai vituperevole, et onesta: vituperevole, perchè si ricomperò dal tiranno ancora scomunicato... onesta, perchè egli come padre spirituale dee anare la pace e riconciliazione, e aprire le braccia a chi vuole tornare alla misericordia, verificando in buona parte il detto del Poeta, che dice, O tu che solo per cancellare scrivi ». Sapeva però Filippo, egli che interpretò publicamente in Firenze la divina Comedia più anni, qual era nel detto verso la sentenza di Dante, ancorchè gli sia piaciuto in buona parte qui esporlo.

(4) Così è di prima mano nel Cod. di S.; dove poi tra 'l p e l'o. fu, sovrascritta l'a per far legger Paolo, come ha la Volgata. Ma questo nome in Dante è trisillabo:

lo non Enea, io non Paolo sono.

Per la vigna, che guasti, ancor son vivi.
Ben puoi tu dire: I' ho fermo'l disiro · ·
Si a colui, che volle viver solo,

E che per salti fu tratto (1) a martiro,

Ch' io non conosco il pescator, nè Polo.

oro,

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I Comentatori più antichi (l' Anonimo, il dalla Lana
ed altri) non ravvisarono in questi ultimi versi il Batti-
sta ď
cioè il fiorin d'oro di Firenze, che aveva
dall' una faccia quel Santo, e dall' altra il giglio, come
gli odierni gigliati, di cui erano bramosi e devoti quei
cortigiani, e per amor de' quali guastavano egli la vigna di
Cristo. Se n'avviddero i susseguenti espositori per loro in-
gegno, o per ciò che deplora Folco nel Par. IX 127.
La tua città, che di colui è pianta,

Che pria volse le spalle al suo fattore,-
E di cui è la 'nvidia (2) tanto pianta,
Produce e spande il maladetto fiore,
Ch' ha disviate le pecore e gli agni,
Però che fatto ha lupo del pastore.
(3) Per questo l' Evangelio e i Dottor magni
(4) Son derelitti, e solo ai Decretali

Dunque la vera lezione è Polo, col qual nome da tempo antico si chiama presso di noi la Chiesa parocchiale di Campo Marzio, e quella contrada. (1) S. Croce al, a nella Volgata.

(2) Giacchè l'invidia del diavolo non solo fece prevaricare i nostri progenitori, ma trasse dall' inferno pur l'avarizia ad avvelenar la donazione alla Chiesa fatta ( in supposto dell'Autore ) da Costantino.

(3) Per questo maladetto fiordiliso d'oro.

(4) Nell' epistola ( da' copisti miseramente corrotta) che scrisse l'Autore a' Cardinali Italiani: Jacet Gregorius tuus ( parla con santa ma

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