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Paradiso: dalla qual singolare notizia io deduco queste, a mio parere, giustissime conseguenze. La prima, che'l Poeta in allora non avesse molta stima del Signor di Verona Cangrande, non degnandolo d'alcuna delle sue Cantiche. La seconda, che nel Can. I. dell' Inferno non ci fosse l'onorata menzione di lui sotto la figura del Veltro uccisor della Lupa, nè quelle magnifiche lodi,

Questi non ciberà terra, nè peltro,

Ma sapienza, e amore, e virtute, ec.

La terza, che l' Inferno, di cui parla Ilario, non era in tutte le sue parti, massime ne' primi Canti, quello stesso che leggiamo al presente.

Opporrassi; che se due volte avesse Dante pubblicato il suo Inferno, l'uno cominciato da giovanetto in Firenze, l'altro rifatto da vecchio in esilio; di quel primo lavoro ne sarebbe rimasto alcuno esemplare, o pur (1) per alcuno antico, o in fatti, o in parole alcuna memoria ne sarebbe.

partenesse all'interesse di lui l'aver quel Principe per suo Mecenate; è che poi per un caso, o l'altro si mutasse egli d'opinione e d'affetto, come spesso avviene. Si noti però che nella Cantica dell' Inferno non è parola, nè mezza che sia a Federigo contraria; d' onde si può arguire, che fino al compimento di quella fosse l'animo suo tranquillo in verso di colui. La Volgar Eloquenza e'l Convito, o perchè opere non ancora scritte, o perchè rimaste imperfette, e perciò non publicate, non potevano ostare in allora alla dedica meditata.

(1) Tal è l'obbiezione, che si fa il Boccaccio nel Com. Cap. VIII. e ch'egli, per non aver forse veduto lo scritto d' Ilario, lascia indecisa, dicendo: » come che questa cosa si sia adivenuta, o potuta adivenire, lascerò nel giudicio de' lettori; ciascuno ne creda quello, che più vero, o più verisimile gli pare ".

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Ma così è, che 'l secondo lavoro, come più completo e più bello del primo, fece perir fin lo stesso esemplare comentato da Ilario. Per buona fortuna però ci è rimasta la Dedica di quel libro, la quale fa testimonianza del fatto.

E quando fu, mi dimanderà alcuno, la prima edizion dell'Inferno, o, per dir più preciso, di che anno seguì l'abboccamento del nostro Poeta col monaco Ilario?

Ciò fu, probabilmente parlando, nell' anno 1310. quando l' Allighieri era in via per andar (1) oltremonti, e, com'io m'avviso, (2) a Losanna, dove (3) Arrigo aveva per suoi Ambasciatori fatto invitar (4) i Fiorentini a prestargli omaggio, e dove esso Imperadore (5) at

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quum iste homo, dice Ilario, ad partes ultramontanas ire in

(2) Losanna, o Lusanna, o Losana (lat. Lausonium) negli Svizzeri presso 'l lago di Ginevra.

(3) "Arrigo Conte di Luzimborgo (dice Gio. Vill. 1. 9. c. 1.) imperiò anni tre, et mesi sette, et di otto dalla prima corona insino alla sua fine. Questi fu buomo savio, et giusto, et grazioso, prode, et sicuro in arme, onesto, et cattolico, e di pieciolo stato di suo lignaggio. Fu di magnanimo cuore, temuto, et ridottato fu molto; e se fosse vivuto più lungamente, havrebbe fatte grandissime cose ».

(4) Gio. Vill. 1. 8. c. 121. » Nel detto anno (1310) a dì 3. di Luglio vennero in Firenze M. Luis di Savoja eletto Senatore di Roma, con due Prelati Cherici d' Alamagna, et con M. Simone Filippi da Pistoja, Ambasciadori dello Imperadore, richeggendo il Comune di Firenze che si apparecchiassino di farli onore alla sua coronatione, et che li mandassono loro Ambasciadori a Losanna ».

(5) Esso Vill. 1. 9. c. 7. » Nel detto anno 1310. lo 'mperadore Arrigo venne a Losanna con poca gente, attendendo il suo sforzo, et delle Città d'Italia, et ivi dimorò più mesi. Sentendo ciò i Fioren

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tese l'Ambascerie delle città d'Italia, e vi si trattenne più mesi. Allora Uguccione della Faggiola era in pregio, poichè poco appresso ebbe l'officio di Vicario Imperiale in Genova; d'onde uscito (1) dopo la morte d'Arrigo, e' fu ben tosto eletto Signore di Pisa. Cangrande all' opposto in quella stagione non figurava per anche niente; e però fino a questo tempo, cioè fino al 1310, non poteva Dante aver avuto molto riguardo per lui.

Conchiudo adunque la storia così. Fin da quando il Poeta compose la sua prima Canzone, s'era egli messo in cuore di scriver (2) l'Inferno. Il cominciò, come al

tini, ordinarono di mandarli una ricca Ambasceria, et simiglianti i Lucchesi, et Sanesi, et l'altre Terre della lega di Toscana; et già erano eletti li Ambasciadori, e levati i panni per le robbe per loro vestite honoratamente. Ma per certi grandi Guelfi di Firenze si turbò l'andata, temendo che sotto inganno di pace lo Imperadore non rimettesse li usciti Ghibellini in Firenze, e gliene facesse Signori; e in questo si prese il sospetto, et appresso lo sdegno, onde seguì grande pericolo a tutta Italia, che essendo li Ambasciadori di Roma, et di Pisa, et dell' altre Città d'Italia a Losanna, lo Imperadore domandò, perchè non v'erano que' di Firenze: fu risposto al Signore, ch'e' Fiorentini haveano sospetto di lui. Allora disse lo Imperadore: » Male hanno fatto, che nostro intendimento era di volere i Fiorentini tutti, e titi e buoni fedeli, et di quella Città a fare nostra camera, e la migliore di nostro Imperio ». E di certo si seppe da gente ch'erano appresso di lui, ch'egli era infino allhora con puro anime. Incontanente quelli, che reggeano Firenze in loro stato, et di lui, et delli usciti hebbono grande temenza, et dall'hora innanzi per questo isdegno, et per mala informatione de' suoi Ambasciadori venuti a Firenze, et da' Pisani, et dalli altri Ghibellini s'apprese al contradio. (1) Il Vill. 1. 9. c. 56. e 57.

non par

(2) L'allegoria delle fiere non era certo nell' Inferno, chiosato da Ilario, poichè non avrebbe potuto egli aprirla, se Dante non gliene avesse dato la chiave.

lor conveniva, in versi eroici latini: poco appresso, per farlo intelligibile a' Signori di Toscana e d'Italia, ricominciollo in rima volgare. Pochi o molti canti n'erano già divolgati in Firenze, prima ch'egli per la forza delle fazioni ne fosse sbandito. Nel 1310 quel primo lavoro era già pubblicato tutto, quando l'Autore ne donò una copia al Monaco Ilario, dicendogli, quella esser la prima parte dell'Opera sua, da lui (1) forse non più veduta. Egli allora voleva ire oltremonti a Losanna. Dell'essersi lui presentato ad Arrigo ne fa fede egli stesso nell' Epistola, che l'anno appresso egli scrisse a quell' Imperadore, dicendo: » Siccome si conviene all'Imperiale Maestade, vidi te benignissimo, e udii te pietosissimo, quando le mie mani toccarono i tuoi piedi, e le labbra mie pagarono il loro debito, quando si esultò in te lo spirito mio ». Morto poi Arrigo, e salito in altura Cangrande, allora fu che'l Poeta ricominciò da capo il suo Inferno, riformandolo con la Lonza, e'l Leone, e la Lupa, e col Veltro, come anche al dì d'oggi si vede. Or questo secondo lavoro fece sparire quel primɔ.

(1) Da poi che l'Autor mette in dubbio, se'l Monaco l'avesse veduta, quella prima parte della Commedia era di già divolgata. Di quanto tempo innanzi non so.

CAPO LXI. ED ULTIMO.

Quando abbia scritto il Purgatorio e il Paradiso,

Il Purgatorio di Dante nel 1318. non era ancor divolgato. Ciò si prova con due argomenti cronologici, che non ammetton risposta.

Il primo è che Giovanni del Virgilio volendo distoglier l'Autore dalla poesia volgare, e rivolgerlo alla latina, onde avesse a meritarsi la corona dell' alloro a' latini poeti dovuta, gli propone varie materie a cantare: Dic age, quo petiit Iovis armiger astra volatu:

Dic age, quos flores, quæ lilia vertit arator:
Dic Phrygios damas laceratos dente molosso.

e finalmente:

Dic Ligurum montes, et classes Parthenopœas; dove si tocca l'assedio di Genova, che fu stretto da Matteo Visconte e da' Collegati di Piemonte e di Lombardia a dì 27. Giugno 1318., e toccansi le armate navali di Roberto Re di Napoli: l'una delle quali composta di 27. galere, e 40. navi grosse e d'altri legni, con 1200. cavalli, e seimila pedoni, giunse a Genova col Re in persona li 21. Luglio dell' anno sopradetto; e l'altra che sbarcò a Sestri di Ponente da ottocento cinquanta Cavalieri, e gente a piè bene quindici mila, con che fu sciolto finalmente l'assedio il dì 5. Febbraro 1319.

Or che risponde l'Autore? Quand' io (1) avrò, di

(1) Dum mundi circumflua &c.

ff

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