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SONETTO XX (46).

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Anima mia che presagendo la perdita di Laura quando pur potevi vederla t'industriavi tristamente di saziarti della sua vista anche per quando non l'avresti potuta più vedere. Se tu eri proprio conscia di ciò che dovea accadere, potevi ben comprendere al suo aspetto che quello era l'ultimo giorno della tua felicità. Qual dolcezza fu mirar quegli occhi che più non doveva vedere, quando lasciai loro, come ai più fedeli amici, il tesoro dei miei pensieri e il mio core.

Schema: A B BA, A B B A, C D E, DC E.

Mente mia, che presaga de' tuoi danni,
Al tempo lieto già pensosa e trista,
Si intentamente nell'amata vista
Requie cercavi de' futuri affanni;

Agli atti, alle parole, al viso, ai panni,
Alla nova pietà con dolor mista,

Potei ben dir, se del tutto eri avvista:
Questo è l'ultimo dì de' miei dolci anni.
Qual dolcezza fu quella, o miser'alma !

Come ardevamo in quel punto ch'i' vidi Gli occhi i quai non dovea riveder mai! Quando a lor, come a duo amici più fidi, Partendo, in guardia la più nobil salma, I miei cari pensieri e 'l cor lasciai.

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SONETTO XXI (52).

Sento l'aura e vedo i colli fra cui nacque Colei che mi tenne in desiderio e in letizia ed or mi tiene dolente e lagrimoso. Or son vedove l'erbe e torbide le acque e vôto è il suo luogo natio dov' io vivo, volli giacervi morto, sperando sentire i suoi piedi e i suoi occhi posarsi sulla mia tomba. Ma io ho servito un crudele e avaro signore; ch'io già invano la desiderai viva, ora invano la piango estinta. Schema: A B B A, A B A B, C D C, D C D.

Sento l'aura mia antica, e i dolci colli
Veggio apparir, onde 'l bel lume nacque,
Che tenne gli occhi miei mentr'al Ciel piacque
Bramosi e lieti, or li tien tristi e molli.
O caduche speranze! o pensier folli!

Vedove l'erbe e torbide son l'acque;

E vôto e freddo 'l nido in ch'ella giacque,
Nel qual io vivo e morto giacer volli,
Sperando alfin dalle soavi piante

E da' begli occhi suoi, che 'l cor m' hann'arso,
Riposo alcun delle fatiche tante.

Ho servito a signor crudele e scarso;
Ch'arsi quanto il mio foco ebbi davante;
Or vo piangendo il suo cenere sparso.

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SONETTO XXII (59).

Andate, o versi dolorosi, alla tomba di Laura; ivi chiamate lei che è in cielo quantunque abbia quaggiù lasciata la sua spoglia mortale. Ditele ch'io sono stanco di questa vita travagliata; ma seguendo le sue memorie e celebrando le sue virtù cerco seguirla, non d'altro ragionando che di lei sì viva che morta, affinchè sia conosciuta ed amata dalle genti. Le piaccia stare attenta alla mia morte, ch'è vicina; mi venga incontro e mi chiami in cielo, facendomi come lei immortale e beato.

Schema A B B A, A B B A, C D E, C D E.

Ite, rime dolenti, al duro sasso

Che 'l mio caro tesoro in terra asconde ;
Ivi chiamate chi dal ciel risponde,

Benchè 'l mortal sia in loco oscuro e basso.

Ditele ch' io son già di viver lasso,

Del navigar per queste orribil' onde; Ma ricogliendo le sue sparte fronde, Dietro le vo pur così passo passo, Sol di lei ragionando o viva o morta; Anzi pur viva, ed or fatta immortale; Acciocchè 'l mondo la conosca ed ame. Piacciale al mio passar esser accorta, Ch'è presso omai; siami a l' incontro, e quale Ella è nel cielo, a sè mi tiri e chiame.

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SONETTO XXIII (62).

Regna nel mio pensiero splendida come quando la vidi nella sua fiorente giovinezza Colei che non può esserne scacciata dalla morte. Al primo affacciarmisi al pensiero la vedo si onesta e bella ch'io grido ch'ella e anccr viva e le chiedo il dono delle sue parole. Ella or risponde or tace, ed io accorgendomi dell'illusione mi rammento che ella mori nel mattino del 6 d'aprile del 1348.

Schema: A BBA, A B B A, C D E, C D E.

Tornami a mente, anzi v'è dentro quella
Ch' indi per Lete esser non può sbandita,
Qual io la vidi in su l'età fiorita,
Tutta accesa de' raggi di sua stella.
Sì nel mio primo occorso onesta e bella
Veggiola, in sè raccolta e sì romita,
Ch'i'grido: Ell'è ben dessa; ancor è in vita
E 'n don le chieggio sua dolce favella.
Talor risponde e talor non fa motto.

I', com'uom ch'erra e poi più dritto estima,
Dico alla mente mia: Tu se''ngannata :
Sai che 'n mille trecento quarantotto,
Il dì sesto d'aprile, in l'ora prima,
Del corpo uscío quell'anima beata,

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SONETTO XXIV (74).

Gli angeli e i beati del cielo quando Laura sali fra loro, pieni di meraviglia e pietà l'attorniarono, e si chiedevano che luce è questa? - poichè tanta bellezza non sali mai in Paradiso. Ella contenta di sua nuova sede si paragona coi più perfetti e si volge ad ora ad ora indietro guardando s'io la seguo, ond' io innalzo vie più fervidi al cielo i miei pensieri ed ella mi prega che m'affretti. Schema: A B BA, A BB A, C D C, D C D.

Gli angeli eletti e l'anime beate
Cittadine del cielo, il primo giorno
Che Madonna passò, le fur intorno
Piene di maraviglia e di pietate.
Che luce è questa, qual nova beltate?
Dicean tra lor; perch'abito sì adorno
Dal mondo errante a quest'alto soggiorno
Non sali mai in tutta questa etate.
Ella contenta aver cangiato albergo,
Si paragona pur coi più perfetti;
E parte ad or ad or si volge a tergo
Mirando s' io la seguo, e par ch'aspetti :
Ond' io voglie e pensier tutti al ciel ergo;
Perch' io l'odo pregar pur ch'i' m'affretti.

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