E come già se' de' miei rari amici, Che farà gli occhi tuoi vie più felici. Quand'ella: Or mira, e leva gli occhi un poco, Donna ch'a pochi si mostrò giammai. Dicendo: I' veggio ben dove tu stai. La vista mia cui maggior luce preme. Ma io però da' miei non ti diparto; Chè questa e me d'un seme, 15 5 10 Lei davanti, e me poi, produsse un parto. 15 Ruppesi intanto di vergogna il nodo Ch'alla mia lingua era distretto intorno. Su nel primiero scorno, Allor quand' io del suo accorger m'accorsi ; Ch' ha di voi 'l mondo adorno, E tutto 'l tempo ch'a vedervi io corsi! E se mai dalla via dritta mi torsi, Duolmene forte, assai più che i' non mostro. 10 Fossi degno udir più, del desir ardo. Ch'al cor mandò con le parole il viso : 15 Me' v'era che da noi fosse 'l difetto. 5 Fummo alcun tempo; ed or siam giunte a tale Per tornare all'antico suo ricetto; I' per me sono un'ombra: ed or t'ho detto, Dicendo: Non temer ch'i' m'allontani; Intorno intorno alle mie tempie avvolse. 10 15 Canzon, chi tua ragion chiamasse oscura, Farà in più chiara voce manifesto. Non m' ingannò quand' io partii da lui. Quelli che dormivano erano i senatori di Roma, dai quali il Poeta veniva da lungo tempo sollecitando l'onore della corona poetica. Poichè come si ricava dalle sue lettere latine, quei Signori menavano la cosa un po' troppo per le lunghe, il Petrarca s'argomento di poter rompere gl'indugi con questa canzone, disposto a mandarne fuori un'altra anche più chiara, dove questa non fosse stata sufficiente a conseguire il desiderio. Non ve ne fu bisogno, almeno giova così credere, poichè quest'altro messaggio non fu mandato fuori. Del resto chiarissima è anche troppo questa allegorica, dove il Preta rappresenta se stesso seguace prediletto della gloria e dalle stesse mani di lei incoronato. Da ciò che si è detto, avendo il Poeta ricevuta la coron a poetica nella primavera del 1341, sembra potersi conchiudere che questa canzone fu scritta sul principio di quell'anno o verso la fine del precedente. CANZONE III. I. O mia Italia, benchè le parole siano inutili rispetto alla gravità delle piaghe che ti offendono, tuttavia il piangere sulle tue sventure mi è di conforto, come opera di buon cittadino. Signore del cielo, ti prego che per quella pietà di noi, onde ti piacque vestir carne umana, tu volga uno sguardo benigno al tuo paese prediletto; guarda, buon Signore, che guerra crudele nasce da leggiere cagioni; ed apri, intenerisci e sciogli i cuori che lo spirito feroce della discordia e della guerra ha chiusi, induriti ed avviluppati di errore e mál taiento. Senza badare all'indegnità mia, fa che la mia parola sia inspirata alla verità, che è cosa tua, e giunga nei loro cuori. II. Voi, o principi, a cui la fortuna ha dato la signoria delle belle contrade di cui non mostrate alcuna pietà, dite, che fanno qui tante soldatesche forestiere? Forse son venute a spargere il loro sangue per voi? V'ingannate, presumendo trovare amore e fede in cuori che si vendono. Chiunque ha maggior numero di cotesti armati, può dirsi circondato da maggior numero di nemici. Da che strani deserti si raccolse questo diluvio d'armati che innonda il nostro paese? Se noi stessi ce li tiriamo addosso, chi ce ne libererà? III. La natura provvide in acconcio della nostra sicurezza quando pose le Alpi a nostro baluardo contro i feroci tedeschi; ma la cieca cupidigia di voi, che vi ostinate in ciò ch'è pur vostro danno, ha poi fatto tanto che all'Italia ha procurato ogni male. Ora stanno qui insieme i feroci tedeschi e gli imbelli Italiani, cosicchè questi ne sono oppressi; il quale malanno, per nostro più gran dolore, ci viene dalla stirpe di quei barbari ai quali Mario dette così grande sconfitta da raddoppiare col loro sangue le onde dei fiumi. IV. Tralascio poi Cesare, che sparse per ogni dove il loro sangue. Ma ora sembra che il Cielo ne sia nemico; colpa vostra cui fu dato tanto ufficio; le vostre discordie guastano il giardino del mondo. Per qual colpa o castigo o destino molestare i vicini deboli, disertare gli averi e cercare gente straniera che per danaro sparga il sangue e venda l'anima? lo parlo per amor del vero, non ch'io odii o disprezzi alcuno. V. E dopo tante prove non v'accorgete come vi ingannano questi tedeschi che promettono di morire per voi e poi combattono da burla? E più la vergogna che non il danno. Ma voi mossi dal proprio interesse combattete per davvero. Pensate un istante a questo e vedrete come può far conto degli altri chi non ne fa di sè stesso. O nobile stirpe latina, liberati da questi oppressori; non farti un idolo di quella riputazione di valore che essi hanno usurpato; se la ferocia di quei barbari prevale all'intelletto nostro non è cosa naturale, ma colpa tutta nostra. VI. Pensate qualche volta che questo è il paese dove siete nati e foste amorosamente allevati; che questa è la patria nella quale sola potete fidarvi; madre pietosa che nel suo seno conserva i resti mortali dei vostri cari. Abbiate pietà del popolo oppresso che dopo Dio spera solo in voi solo che mostriate alcuna pietà di lui, sorgerà coll'usato valore, che nei cuori italiani non è morto, e la lotta sarà breve e certa la vittoria. VII. Signori, pensate alla brevità della vita; voi siete forti e sani, ma pur dovete morire, e l'anima vostra senz'armi e senz'armati dovrà presentarsi a Dio giudicatore. Nel breve pellegrinaggio di questo mondo deponete gli odi che turbano la serenità della vita; ed il tempo che voi spendete in far male altrui, impiegatelo in qualche nobile azione od utile occupazione; così vivrete contenti e vi dischiuderete la via del cielo. Comm. · Canzone, di' le tue ragioni umilmente, perchè tu sei mandata a gente che per antica usanza è nemica del vero. Pochi magnanimi amanti del bene tu troverai; domanda il loro aiuto come messaggera di pace. Schema Canzone Ab C B a CCDE e Ddf Gf G. Comm. a B Cc Bbd Ed E. Italia mia, benchè 'l parlar sia indarno Che nel bel corpo tuo sì spesse veggio, E'l Po, dove doglioso e grave or seggio. Che la pietà che ti condusse in terra St. I. - 1. Indarno, avv. per l'agg.; inutile. 2. A le piaghe, per rispetto alle piaghe (dat. di relazione). 2-3. Nota l'antitesi bel corpo - piaghe mortali, spesse. È vie più doloroso veder coperto di mortali piaghe un bel corpo. 4. Almen - nullameno. Ch'i miei sospir sian quali, di sospirar come. 5. Spera, desidera. · 5-6. 'Tevero, l'Arno e il Po, per sineddoche, l'Italia; la quale desidera che i suoi cittadini, non potendo altro, piangano sulle sue sventure. Ma forse il P. volle anche dire che gli pareva tempo che i suoi sospiri in rima fossero sparsi anche per la patria e non sempre per una donna » (Card.) 6. Dove, va riferito a 5 10 Po, presso il quale dimorava il |