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Canzon, tu non m'acqueti, anzi m'infiammi
A dir di quel ch'a me stesso m'invola :
Però sia certa di non esser sola.

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St. I. -Donna gentile, io vedo ne' vostri occhi un raggio divino che m'addita la via del cielo e dove risplende la virtù del vostro cuore Questa vista mi conduce sulla via del bene e mi nobilita; nè umana lingua potrebbe dire quel che sempre mi fa provare.

II. Se in cielo sono le altre cose così belle come i vostri occhi, io desidero di presto salirvi. Ringrazio la natura e la sorte e Laura che a così nobile speranza innalzò il mio cuore; chè prima io ero di peso a me stesso e mi sentivo felice e degno solo dopo avere visto qnegli occhi che governano l'anima mia.

III. - Per una voltata d'occhi che mi dà tutta beatitudine io cederei quanta felicità l'amore e la fortuna possono dare ai loro prediletti. Come il lume di quegli occhi offusca ogni altro splendore, così la gioia ch'essi mi danno spegne ogni altro sentimento nell'animo mio che rimane così tutto occupato dall'amore.

IV. Tutta la gioia che amanti felici abbiano mai provato è nulla in paragone di quella che io provo quando io contemplo i vostri occhi dove ha suo nido l'amore. Forse il cielo ha con questa grazia provveduto alla mia imperfezione. Ma troppo spesso il velo e la mano interponendosi fra quegli occhi e me mi danno gran dolore che io sfogo poi di e notte piangendo.

V.

Io non ho pregi che mi facciano degno di sì caro sguardo, ma mi sforzo di procacciarmeli rendendomi pronto al ben fare e dispregiando ogni piacere del senso, perchè soltanto la vista di quei begli occhi può por termine ai miei dolori. Canzone, l'altra sorella da poco tempo è stata mandata fuori ed una nuova sento apparecchiarmisi nella mente.

Comm.

Schema: Canz. - a BCBACC DE e Df D F F. Comm. A B B.

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Quest'è la vista ch'a ben far m' induce,

E che mi scorge al glorioso fine;

Questa sola dal vulgo m'allontana :
Nè giammai lingua umana

Contar potria quel che le sue divine
Luci sentir mi fanno,

E quando il verno sparge le pruine,
E quando poi ringiovanisce l'anno,

10

Qual era al tempo del mio primo affanno. 15 Io penso se lassuso

Onde 'l Motor eterno de le stelle

Degnò mostrar del suo lavoro in terra,

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Son l'altr'opre sì belle,

Aprasi la prigion ov' io son chiuso,

E che 'l cammino a tal vita mi serra.
Poi mi rivolgo alla mia usata guerra,
Ringraziando Natura e 'l di ch'io nacqui,
Che riservato m'hanno a tanto bene,
E lei, ch'a tanta spene

Alzò 'l mio cor; chè 'nsin allora io giacqui
A me noioso e grave:

Da quel di innanzi a me medesmo piacqui,
Empiendo d'un pensier alto e soave

5

10

Quel core, ond'hanno i begli occhi la chiave. 15 Nè mai stato gioioso

Amor o la volubile Fortuna

Dieder a chi più für nel mondo amici,
Ch' io nol cangiassi ad una

Rivolta d'occhi ond'ogni mio riposo

Vien, com'ogni arbor vien da sue radici.
Vaghe faville, angeliche, beatrici

5

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Della mia vita, ove 'l piacer s'accende
Che dolcemente mi consuma e strugge;
Come sparisce e fugge

Ogni altro lume dove il vostro splende
Così dello mio core,

10

Quando tanta dolcezza in lui discende,
Ogni altra cosa, ogni pensier va fuore,
E sol ivi con voi rimansi Amore.

15

Quanta dolcezza unquanco

Fu in cor d'avventurosi amanti, accolta
Tutta in un loco, a quel ch'io sento, è nulla,
Quando voi alcuna volta

Soavemente tra 'l bel nero e 'l bianco

Volgete il lume in cui Amor si trastulla:
E credo, dalle fasce e dalla culla.

5

Al mio imperfetto, alla fortuna avversa
Questo rimedio provvedesse il Cielo.

10

Torto mi face il velo

E la man che si spesso s'attraversa
Fra 'l mio sommo diletto

E gli occhi, onde dì e notte si rinversa

ville, perchè scintillanti. 8-9.
Dove il piacer s'accende; gli
occhi di L. accendono nel poeta la
dolce fiamma d'amore che lo con-
suma. Consuma e strugge è una
delle ripetizioni di idee solite al P.
10-11. Come il lume de' vostri
(degli occhi) offusca ogni altro splen-
dore. 13. La gran dolcezza che
nel cuore discende da voi.
Cfr. Canz. II, St. VI, v. 3-6 pag..?
St. IV. - 1. Quanta, tutta quan-
tala - Unquanco, mai. - 2. Av-
venturosi, fortunati. 3. A quel,

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14-15.

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Il gran desio, per isfogare il petto, Che forma tien dal varïato aspetto. Perch'io veggio (e mi spiace)

Che natural mia dote a me non vale,

Nè mi fa deguo d'un sì caro sguardo;
Sforzomi d'esser tale,

Qual all'alta speranza si conface,
Ed al foco gentil ond' io tutt'ardo.

Se al ben veloce, ed al contrario tardo,
Dispregiator di quanto 'l mondo brama,
Per sollicito studio posso farme;

Potrebbe forse aitarme

Nel benigno giudicio una tal fama.
Certo il fin de' miei pianti,

Che non altronde il cor doglioso chiama,
Vien da' begli occhi al fin dolce tremanti,
Ultima speme de' cortesi amanti.

Canzon, l'una sorella è poco innanzi,

E l'altra sento in quel medesmo albergo
Apparecchiarsi; ond' io più carta vergo.

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15

5

10

15

Chiama, suscita, eccita. - 14. Scintillanti dolcemente alla fine, ancorachè da principio si mostrassero schifi e scintillassero non dolcemente (Cast.). 15. Gli amanti cortesi, gentili, puri, pongono la loro maggiore speranza in uno sguardo sereno e benigno dell' a

mata.

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Commiato. - 1. Sorella, la canz. precedente. Poco innanzi, da poco mandate fuori. -2. L'altra, la canzone che verrà appresso Albergo, nel cervello. - 3. Vergo, Cfr. Dante, Purg. XXVI, 64: Ditemi, acciocchè ancor carte ne verghi.

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