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AVVERTENZA

Poichè piacque all'egregia Ditta PARAVIA accogliere nella sua copiosa collezione scolastica di Classici italiani una scelta di cose petrarchesche, parvemi opportuno restringerla a quel poco che nelle Scuole liceali si può leggere, seguendo un criterio tra lo storico e l'estetico. Chè m'è sembrato a questo patto soltanto la presente edizione, fra le tante e tante che pure ad uso scolastico l'han preceduta, potesse veramente riuscire di qualche vantaggio alla comune degli studiosi.

Nelle note mi son tenuto assai parco, ammaestrato da mia propria esperienza che l'ambiziosa copia dei raffronti nelle scuole mezzane non è altro che un ingombro. La qual cosa fu anche saggiamente avvertita nelle ultime Istruzioni ministeriali.

Fra così gran numero d'interpreti il più delle volte a me non rimase che la fatica dello sciegliere. M'attenni generalmente ai più autorevoli, non senza indipendenza e buon discernimento;

almeno nell'opinione ed intenzion mia. Quando m'accadde di valermi d'interpretazioni o citazioni altrui, l'ho sempre notato indicando con l'abbreviazione:

Tass. il Tassoni
Cast. il Castelvetro

Biag. il Biagioli

C. il Camerini

Card. il Carducci

Scart. lo Scartazzini

L. o Leop. il Leopardi M. P. i sigg. Mazzatinti e Padovan.

A meglio fare intendere l'importanza letteraria del Canzoniere petrarchesco ho creduto buono aggiungere a guisa d'appendice un saggio dei più importanti rimatori che precedettero il nostro, escludendo l' Alighieri, che i giovani devono più largamente conoscere. Nè questa aggiunta io spero, avrà biasimo di soverchia brevità da chi voglia considerare com'essa pur doveva essere proporzionata alla parte principale del libro.

Da ultimo mi è grato rendere pubbliche grazie all'egregio giovane signor Edoardo Panetti il quale con la sua opera gentile e sennata m'ha aiutato molto a rendere quest' edizione la migliore che per me si potesse.

G. F.

NOTIZIE DELLA VITA E DELLE OPERE

DI

FRANCESCO PETRARCA

Francesco Petrarca nacque il 20 di luglio del 1304 in Arezzo, figliuolo a un Ser Petracco, notaio fiorentino, esule anch'egli coi Bianchi, cacciati nel 1302. Fu tenuto sett'anni all'Incisa, villa poco lontana da Firenze, sotto le cure della madre Eletta, finchè il padre, stabilitosi in Pisa, non ve lo fece venire, dandogli a maestro il grammatico Convenevole da Prato. Quivi però fece breve dimora, chè, fallite le speranze poste dai Ghibellini in Arrigo VII, Petracco esulò in Francia dov'era allora la Corte pontificia: mise casa a Carpentras, presso Avignone, e restituì il figliuolo alla scuola di Convenevole che erasi anch'egli colà tramutato. Compiuti i corsi di grammatica, dialettica e rettorica, Francesco, già conosciuto per giovine di singolare ingegno, fu dal padre voluto avviare agli studi della giurisprudenza, onde stette quattr'anni a Mompellieri e due a Bologna. Però, mortogli nel 1324 il genitore, padrone ormai di sè, abbandona le leggi e si dà tutto alla letteratura. Entrò in dimestichezza coi Colonnesi, potente famiglia romana, che aveva seguito il Pontefice in Francia; e accesosi nel 1327 di Laura, divise il suo cuore tra l'amore di lei e l'amicizia dei Colonna, tra la severità degli studi, le giocondezze della vita cortigiana e la quiete del suo ritiro di Valchiusa; ma non sì però che non intraprendesse frequenti viaggi in varie parti della Francia

e in Italia, in Fiandra, in Allemagna e fin sulle coste dell'Inghilterra. Intanto veniva crescendo la sua fama di dotto e di poeta e n'era stimolato il suo immenso e tutto pagano desiderio di gloria. La quale stimò procacciarsi con un poema latino intitolato: De Africa, cui pose mano nel 1339 e compiè nel 1342. Ma già, vuoi per gli altri suoi scritti latini, vuoi per le varie parti del suo poema che a mano a mano faceva conoscere, era venuto in tanta riputazione che nel settembre del 1340 (non senza però vive sollecitazioni da parte sua) fu contemporaneamente invitato dalla Università di Parigi e dal Senato di Roma a cingere la corona poetica. Preferì Roma, e dopo essersi fatto ostentatamente esaminare per tre dì consecutivi da Roberto re di Napoli, principe taccagno che pur affettava amore a❜letterati ed alla sapienza, ricevette solennemente il sacro alloro in Campidoglio addì 8 d'aprile 1341. Tornò poi in Valchiusa ai suoi studi; ma nel 44 eccolo ancora in Italia, a Parma, a Verona, donde si restituisce ad Avignone per ritornar non guari dopo a Parma, a Verona, a Padova, a Milano. Pur continuando irrequieto le sue peregrinazioni, d'ora in poi egli ha dimora consueta in Italia. Stette una decina d'anni a Milano e in una villetta che vi acquistò poco lontano e ch'egli chiamò Linterno dal luogo dove, esule volontario, erasi ritirato Scipione, suo eroe prediletto. Passò gli ultimi anni della sua vita in Arquà, paesello amenissimo sui colli Euganei in quel di Padova, e vi fu trovato morto la mattina del 18 luglio del 1374.

Oltre al poema dell'Africa lasciò più centinaia d'epistole latine, alcuni trattati filosofici, tra cui primeggia il Secretum suum o De contemptu mundi; tre libri d'epistole poetiche e dodici egloghe. Nè farà maraviglia tanta mole d'opere latine a chi pensi che il Petrarca, innamorato dell'antichità classica, la tradusse in parte viva del suo spirito. Egli vede tutto a traverso il prisma del mondo romano, dal quale attinge immagini, pensieri e sentimenti alle sue prose e poesie d'argomento non amoroso. Trascrisse e glossò antichi scrittori, cercò di persona e fece cercare per tutto

Codici antichi, onde a lui si deve la scoperta delle Lettere e di alcune Orazioni di Cicerone e delle Instituzioni di Quintiliano. Egli con l'autorità immensa del suo consiglio ed esempio fece rivivere in tutti i modi le forme, le memorie e la storia dell'antichità classica, e fu il più efficace fautore del Risorgimento.

Tuttochè la fama acquistatasi come poeta latino e l'opera amorosa che il Petrarca pose nel restaurare l'antichità classica sarebbero bastate a dargli onorevole luogo nella storia della civiltà e del pensiero italiano, la vera gloria però gli viene dalle rime che compose per Laura, e sopra vari argomenti storici e morali. Sono canzoni, sonetti, ballate, madrigali, e sei poemetti in terza rima, coordinati ad un unico disegno e intitolati Trionfi. Le poesie amorose del Canzoniere sono divise in due parti: la prima abbraccia quelle che furono composte in vita di madonna Laura, la seconda quelle scritte dopo la morte di lei. I Trionfi sono lavoro senile e, benchè orditi sovra un più vasto concetto allegorico-morale, l'amor del poeta per Laura n'è ancora il motivo e il principal fondamento.

L'eccellenza della lirica petrarchesca, oltre che nella composizione tecnica delle poesie, tornite sempre, cesellate, direi quasi, con gusto squisito d'artista; oltre che nella dovizia e morbidezza ed eleganza della lingua, sta nel modo mirabile come rappresenta con verità psicologica l'amore e con plastica evidenza la donna che glie lo ispira, e in quel tutto moderno afflato di malinconia e sentimentalismo che investe e riscalda ogni suo componimento. E a tutto questo aggiungi un sentimento profondo della natura, per cui erbe e fiori e rive e colli, anzichè essere artifizio rettorico e fredda cornice, hanno vita, anima e senso, e nello spirito del poeta si confondono in un solo amore con Laura.

Questa donna, sulla quale il Canzoniere riverbera la sua immortalità, noi non sappiamo bene chi fosse. Alcuni scrittori giunsero perfino a metterne in dubbio l'esistenza, per ciò solo che mancano documenti sicuri ad accertarne il casato. Ma costoro fanno contro

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