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Canti di G. Leopardi. Edizione corretta, accresciuta e sola approvata dall'autore. - Napoli, presso Saverio Starita, 1835. In 16°.

Precede una notizia intorno alle edizioni di questi canti, in cui si rifiutano tutte le precedenti edizioni. Contiene tutti i canti dell'edizione del '31, ed inoltre Il passero solitario, Il Consalvo, Il pensiero dominante, Amore e Morte, A sè stesso, Aspasia, Sopra un bassorilievo ec., Sopra il ritratto di una bella donna ec., Palinodia al march. Gino Capponi, Imitazione, Scherzo, e cinque frammenti; un de' quali quell'Idillio che nell'edizione del '26 portava il titolo

di Lo spavento notturno.

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Canti di G. Leopardi. Edizione corretta e notevolmente accresciuta. Firenze, per Guglielmo Piatti, 1836. In 12o. È conforme alla edizione precedente.

A queste edizioni dei canti fatte vivente l'autore, segue dopo la morte di lui quella delle Opere di G. Leopardi, edizione accresciuta, ordinata e corretta secondo l'ultimo intendimento dell'autore da Antonio Ranieri. — Firenze, Felice Le Monnier, 1845. Quivi compariscono per la prima volta Il tramonto della luna e La Ginestra.

I.

ALL'ITALIA.

SOMMARIO: Compiange l'avvilimento e le ferite dell'Italia personificata, e desidera di combatter per essa (v. 1-40) — Deplora i figli d'Italia morti pugnando per i nemici di lei (41-60) Chiama beati i Greci caduti per la patria alle Termopili, e introduce Simonide che sul colle di Antela prende a celebrarli (61-80) - Canto di Simonide. Il poeta celebra l'abnegazione con cui i Greci corsero incontro alla morte (81-100); la strage dei Persiani e la fuga di Serse (101-120); presagisce eterna fama ai morti, ne venera la tomba, e si augura di viver anch'egli per la loro gloria (121-140).

METRICA.

Strofe 7 di 20 versi ciascuna. Le strofe di numero dispari (1, 3, 5, 7) hanno il seguente schema: A BcdA B CeF GeFH G Ikl MiM. Le strofe di numero pari (2, 4, 6) hanno il seguente schema:

Ab CD a BDEFgEfHgIHK Li L.

O patria mia, vedo le mura e gli archi

E le colonne e i simulacri e l'erme

Torri degli avi nostri,

Ma la gloria non vedo,

Non vedo il lauro e il ferro ond' eran carchi

5

I nostri padri antichi. Or fatta inerme,

Nuda la fronte e nudo il petto mostri.

Oimè quante ferite,

Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio,
Formosissima donna! Io chiedo al cielo

10

v. 1-10. vedo le mura, ec. Mura, archi, colonne, simulacri (statue), ricordano più specialmente la grandezza dei Romani antichi. Ad Ancona, città vicina a Recanati, è l'arco eretto in onor di Traiano, che avea fatto restaurare quel porto. l'erme torri si riferisce agli avanzi del medio evo, e una torre antica sorge infatti nella piazza di Recanati, quella che il poeta chiama nelle Ricordanze « la torre del borgo. » In corrispondenza di ciò, lauro ricorda i trionfi romani; e ferro le gravi armature medievali. Per sineddoche, poi, il lauro indica, secondo il Castagnola, le imprese degne d'esser premiate con la corona d'alloro, il ferro « le armi. » — Formosissima « latinismo acconcio ad aggiungere maestà, e a mostrare in certo modo anche la gigantesca proporzione delle forme, vale bellissima. » Castagnola. Ferd. Schultz, nel suo trattatello de' Sinonimi latini, dice: « Pulcher indica la perfezione

LEOPARDI.

1

E al mondo: dite dite;

Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,
Che di catene ha carche ambe le braccia;
Si che sparte le chiome e senza velo
Siede in terra negletta e sconsolata,
Nascondendo la faccia

Tra le ginocchia, e piange.

Piangi, che ben hai donde, Italia mia,
Le genti a vincer nata

E nella fausta sorte e nella ria.

Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
Mai non potrebbe il pianto

Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;

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interna ed esterna, quindi, anche, la bellezza morale e spirituale; formosus, al contrario, soltanto la bella conformazione della figura rispetto agli occhi e al senso estetico. >>

v. 10-20. Questa personificazione dell'Italia, un po' retorica, e forse troppo prolungata, ricorda l'immagine di Roma che apparisce a G. Cesare innanzi di passare il Rubicone (Lucano, I, 188), vultu mestissima.... Turrigero canos effundens vertice crines, Cæsarie lacera nudisque.... lacertis, ec. È, del resto, tradizionale ne' nostri poeti antichi e moderni la figura dell' Italia neghittosa, incatenata, svergognata. Sembra che Leopardi si sia ispirato non tanto all'Italia del Petrarca (Canz. Italia mia) « che i suoi guai non par che senta Vecchia, oziosa e lenta.... Si gravemente oppressa e di tal soma, ec. » quanto all'Italia dal Guidiccioni così maestosamente rappresentata nei sonetti Dal pigro e grave sonno » e « Degna nutrice delle chiare genti» (GUIDIC., Op. Firenze, Barbèra, 1867, son. 2 e 12); come pure all'Italia del Filicaia (Italia, Italia, ec.). Soprattutto poi, come osserva il Mestica, la sua Italia risente di quella del Monti nel Beneficio, << Una donna di forme alte e divine, ec. » Il De Sanctis chiama quest'Italia del Leopardi « una statua perfetta » e aggiunge: « qui si vede il giovane tutto intento a formare una statua, non fantastica, come pur si dovrebbe; ma reale e compita, con gli ultimi tocchi e le ultime carezze, che raddolciscono l'impressione di quelle ferite e di quelle catene» (Nuovi saggi critici, Napoli, Morano, 1879, pag. 116). vincer qui vale, superare, sorpassare; e si viene a dire, che come un tempo l'Italia ha sorpassato in prosperità e grandezza tutte le nazioni, ora tutte le sorpassa in calamità e in umiliazione. II Mestica, discostandosi dagli altri commentatori, vorrebbe interpetrare che l'Italia ha prevalso sempre alle altre nazioni, anticamente colla potenza di Roma, poi colla civiltà, e fiancheggia la sua asserzione con alcuni passi dei Paralipomeni. Ma questa perennità di gloria come lega col piangi del verso precedente?

- Che

v. 21-33. Se fosser gli occhi tuoi ec. Tuoi, più coerente con ciò che precede, fu dall' autore sostituito al miei delle prime edizioni. fosti donna, ec. Guidic., son. 4 (ediz. cit.): « Questa che tanti secoli già stese Sì lungi il braccio del felice impero, Donna delle provincie, ec. Giace vil serva, ec. » Ariosto (Orl. Fur., XVII, 76): « Dormi Italia imbriaca e non ti pesa Ch'ora di questa gente, ora di quella Che già serva

Che fosti donna, or sei povera ancella.

Chi di te parla o scrive,

Che, rimembrando il tuo passato vanto,
Non dica: già fu grande, or non è quella?
Perchè, perchè? dov'è la forza antica,
Dove l'armi e il valore e la costanza ?
Chi ti discinse il brando?

Chi ti tradì? qual arte o qual fatica

O qual tanta possanza

Valse a spogliarti il manto e l'auree bende?
Come cadesti o quando

Da tanta altezza in così basso loco?

Nessun pugna per te? non ti difende

Nessun de' tuoi? L'armi, qua l'armi: io solo
Combatterò, procomberò sol io.

Dammi, o ciel, che sia foco

Agl' italici petti il sangue mio.

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ti fu, se'fatta ancella; » donna sta per, signora, dominatrice; contrapposto ad ancella. Chi ti discinse il brando? cioè, chi ti disarmò? Ricorda il Filicaia (son. cit.): « Nè te vedrei del non tuo ferro cinta Pugnar col braccio di straniere genti Per servir sempre o vincitrice o vinta. > arte.... fatica.... possanza, i tre mezzi che possono abbattere una nazione, la quale può farsi grande solo colla forza delle armi e col valore accompagnato dalla costanza. Arte vale, non tanto abilità, quanto astuzia, ingegno; fatica, come spiega il Cappelletti, sta per « lavoro incessante, continuato; » possanza, forza smisurata. « Qual possanza così grande che vincesse i tuoi, se non fossero divenuti codardi?» Castagnola. l'auree bende, il diadema d'oro. Guidic. (ediz. cit.), son. 12 : «Che fu a vederti in tanti onor superbi Seder reina e incoronata d'oro Le gloriose e venerabil chiome? Benda propriamente corrisponde alla vitta de' Romani, che era una fascia portata intorno al capo dalle matrone e dalle vergini, ma in modo diverso. Forcellini, Lex.: « Vittæ aliæ fuerunt virginales, aliæ matronales. » A' tempi di Dante si disse benda Un velo o drappo che portavano in capo le donne, più specialmente le maritate, ed anche le vedove, che lo portavano di color bianco. » Voc. Accad. Crusca, Va impressione.

v. 37-40. L'armi, qua l'armi. Enea, presso Virgilio (En., II, 168): arma viri, ferte arma. « E qui bisogna dar ragione ad un critico francese, il quale dice che una tale esclamazione, del tutto vana in bocca del Leopardi, è naturale e vera in bocca di Enea, a cui Pirro ed i Greci hanno invaso la dimora. » Cappelletti. procomberò « esprime graficamente il cadere del forte in battaglia con la faccia rivolta al nemico, » mentre << soccomberò è proprio di chi cede e si fiacca. » Mestica. che sia foco, ec. << che il mio sangue sparso primieramente in pro della patria, valga ad accender fiamma d'amore per la terra natale e intrepido coraggio nel petto degl' Italiani » Castagnola. Osserva su questa strofa il De Sanctis: Succede uno scoppio d'affetti e di sentimenti rapidissimi accavallantisi gli uni sugli altri come onde furiose, e spinti fino a quel su

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