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XIV (XXI).

A SILVIA.

SOMMARIO: Silvia, ricordi tu i giorni beati dell'adolescenza? (v. 1-6) Era il maggio e tu passavi le giornate tessendo e cantando (7-14) — Io sospendendo i miei studi venivo al balcone per udire la tua voce, e guardare il bel paese circostante (15-27) Oh quali speranze, quali dolci pensieri provavamo entrambi! Ma non si verificarono (28-39) Tu in quell' anno moristi senza arrivare alla gioventù (40-48) Io, di lì a poco, era già come vecchio: nulla più speravo, altro che la morte (49-63).

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si stabilì nella sua patria, che rappresentò prima nella Camera dei Deputati, indi nel Senato. Morì nel 1881, lasciando molte lodate opere in versi ed in prosa. Questo Canto a lui diretto nel marzo 1826 ha tutta l'apparenza d'un'epistola poetica che intende a mostrare «l'inutilità dell'umana vita» ed è certo una delle più disperate e sconsolanti fra le poesie del Leopardi. Ma è anche, a mio parere, una delle più belle per semplicità e vigore di stile, e contiene molto di vero, se si prescinda dalle immortali speranze che una miglior filosofia somministra. Vi si vede una concatenazione di ragionamento così serrato, una rassegna così larga ed efficace delle varie condizioni degli uomini, un'ammirazione così sincera e calda, benchè dissimulata, dei nobili studi, che degnamente prelude al periodo delle sue canzoni filosofiche.

vita

v. 1-6 Silvia. Vedi l'ultima nota al Canto. rimembri ancora, ec. Si volge all'anima della defunta Silvia. mortale, in opposizione alla vita immortale, di cui ora gode la Silvia. occhi tuoi ridenti e fuggitivi. Il Cappelletti e il Casini spiegano questo aggiunto fuggitivi per « mobili, che non si fermano a lungo su nessuna cosa. » Nell'elegia Il primo amore vedenimo sguardo fuggitivo e vago in opposizione a chino e in sè raccolto, dunque nel senso di distratto e vagante. Anche qui parmi usato in questo senso, ben appropriato a una fanciulla ancora ignara d'amore, e che perciò guarda liberamente ma senza malizia. Nel Risorgimento l'autore disse « voi, pupille tenere, Sguardi furtivi, erranti. lieta e pensosa. Il pensosa è spiegato dal verso della 2a strofe : « Quel vago avvenir che in mente avevi.» Cfr. Petrarca, I, son. 160: « E 'n aspetto pensoso anima lieta. il limitare Di gioventù. Nel Canto Il Passero solitario vedemmo « di vecchiezza La detestata soglia,>»> frase omerica. Intendi: « Stavi per passare dall' adolescenza alla gioventù. » La Silvia morì di 21 anno.

Sonavan le quiete

Stanze, e le vie dintorno,

Al tuo perpetuo canto,

Allor che all' opre femminili intenta

Sedevi, assai contenta

Di quel vago avvenir che in mente avevi.

Era il maggio odoroso: e tu solevi

Così menare il giorno.

Io gli studi leggiadri

Talor lasciando e le sudate carte,

Ove il tempo mio primo

E di me si spendea la miglior parte,

D'in su i veroni del paterno ostello

Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce

Che percorrea la faticosa tela.

Mirava il ciel sereno,

Le vie dorate e gli orti,

E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.

Lingua mortal non dice

Quel ch'io sentiva in seno.

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v. 7-14. Sonavan le quiete, ec. Questo e i seguenti versi sono dal Mestica raffrontati con quelli di Virgilio (En., VII, 11 e seg.): Solis filia lucos Assiduo resonat cantu.... Arguto tenues percurrens pectine telas. quiete opposto a sonavan. Intendi: Le tue stanze dove per solito regnava la quiete, dove non era mai tumulto o disordine. » le vie, ec. perchè dalle finestre aperte si spandeva all'esterno. - all'opre femminili, al tessere, come si vede dalla strofe seguente. Era il maggio, ec. Il poeta determina più particolarmente il tempo dell'anno, in cui la Silvia cantava e sperava, per poi morire verso il cadere dell'anno stesso. odoroso, pieno di fiori.

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v. 15-27. studi leggiadri, ameni, cioè, gli studi letterari. — lasciando, ec. Intendi: «Alzandomi per un poco dal tavolino, ove stava studiando. » la miglior parte, gli anni più belli della vita, l'adolescenza. Cfr. Petr., I, canz. 3: « Lassai di me la miglior parte addietro. » Il Leopardi nel 1821 scriveva al Perticari: « Io mi diedi furiosamente agli studi, e in questi ho consumato la miglior parte della vita umana. »> veroni, terrazzi sporgenti alquanto dal muro della casa. Porgea gli orecchi; lat. aures præbere. Che percorrea. Vedi v. 10. - Mirava, ec. Bello e commovente questo associare l'udito colla vista, confondendo in un unico sentimento sublime la soavità indefinita del canto femmineo vagante per l' aria, con l'amenità e la vastità della natura circostante. - dorate, illuminate dal sole. Virg., Georg., I, 232: Sol aureus. E quinci il mar, ec., il mare Adriatico e la catena degli Appennini, che si scoprono dalle finestre del palazzo Leopardi volte a mezzodì. Vedi Mestica, Il Verismo, ec. — Cfr. Ariosto, Orl. Fur., XVIII, 185: « Si videro i due colli di lontano Martire a destra, e Leri all'altra mano. >> -non dice, non può dire.

Che pensieri soavi,

Che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia

La vita umana e il fato!

Quando sovviemmi di cotanta speme,
Un affetto mi preme

Acerbo e sconsolato,

E tornami a doler di mia sventura.

O natura, o natura,

Perchè non rendi poi

Quel che prometti allor? perchè di tanto
Inganni i figli tuoi ?

Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e vinta,
Perivi, o tenerella. E non vedevi
Il fior degli anni tuoi;

Non ti molceva il core

La dolce lode or delle negre chiome,

Or degli sguardi innamorati e schivi;
Nè teco le compagne ai dì festivi
Ragionavan d'amore.

Anche peria fra poco

La speranza mia dolce: agli anni miei

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Cfr. Petr., I, Canz. 7:« Nè giammai lingua umana Contar poria quel che le due divine Luci sentir mi fanno. »

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v. 29-39. che cori, che core, qual coraggio, qual fiducia. Quale.... ci apparia, come bella, quanto felice! di cotanta speme, cioè della grande speranza che ambedue avevamo di dover passare una vita felice. di mia sventura, cioè, d'aver perduto la mia speranza, le dolci illusioni della vita. non rendi, non attieni, non mantieni, perchè la promessa costituisce un debito. Lat. reddere vota, sciogliere i voti. tanto, cotanto, fino a questo segno.

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di

v. 40-48. pria che l'erbe, ec. Con perifrasi molto adattata al tristo e precoce morir di Silvia, indica l'autunno. Da chiuso morbo, da mal sottile, da etisia. combattuta. Prima avea scritto consumata, che, come avverte il Mestica, mentre rendeva inutile il seguente vinta, era per altro più preciso rispetto a una morte di tisi. Perivi.... E non vedevi, ec. Intendi: « Ed essendo morta così presto, non toccasti la gioventù, nè sentisti lodare la tua bellezza, nè conoscesti l'amore. » — fior degli anni tuoi. In una Canzone del Leopardi, che ha per titolo: Per una donna malata di malattia lunga e mortale, e che si crede scritta appunto per Silvia, è detto: « la fortuna.... Il fior di giovinezza ti rapisce. » · innamorati e schivi, cioè ritrosi a guardare. È l'opposto di fuggitivi veduto sopra. ai di festivi, ne' ritrovi della festa.

Π

v. 49-63. Anche peria, ec. La speranza mia dolce. Intendi: « Come tu morivi, così poco dopo moriva anche la mia dolce speranza, cioè

Anche negaro i fati

La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,

Cara compagna dell'età mia nova,
Mia lacrimata speme!

Questo è quel mondo ? questi
I diletti, l'amor, l' opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme ?
Questa la sorte delle umane genti?
All' apparir del vero

Tu, misera, cadesti: e con la mano

La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.

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< perdevo le care illusioni. » Cfr. il v. 29, e le Ricordanze, v. 77 e segg. – agli anni miei Anche, ec. Costr.: « anche agli anni miei. » Il Leopardi ripete in più luoghi di non aver conosciuto la giovinezza. Nella lett. cit. al Perticari: « La fortuna ha condannato la mia vita a mancare di gioventù perchè dalla fanciullezza io son passato alla vecchiezza di un salto, anzi alla decrepitezza sì del corpo, come dell'animo. Cara compagna, ec., cioè la speme lacrimata, la speranza di poter godere la vita. dell'età mia nova, dell'adolescenza. Petr. III, Canz. 3: << tutta l'età mia nova Passai contento. » quel mondo, quel tanto vagheggiato avvenire. I diletti, ec. Enumera le varie cose da lui sperate piaceri, amore, operosità, avventure. ragionammo, cioè il Leopardi colla sua speranza, non colla Silvia. All' apparir del vero, ec. Quando m'apparve la trista verità, tu, povera speranza, cadesti, nè altro avvenire m'indicasti che la morte e l'oscurità. » con la mano. Personifica la speranza che gli addita quanto ancora gli restava da desiderare ed augurarsi, come minor male. Terribile chiusa che stringe il cuore d'angoscia!

«

Teresa Fattorini, nascosta dal Leopardi sotto il nome di Silvia, fu una fanciulla popolana di Recanati, nata nell'ottobre 1797 e morta il 30 settembre 1818. Giacomo che la vedeva dalle finestre della casa paterna, se ne innamorò nella primavera di quell'anno medesimo. Per lei si credono scritti, oltre questo Canto, anche la Canzone Per una donna malata di una malattia lunga e mortale, e l'idillio intitolato Il Sogno, in cui immagina di rivederla e parlar con l'anima di lei. Quella si ascrive al 1818, questo al 1819. Il Canto presente si crede scritto il 1828, quando già dieci anni erano scorsi dal tristo evento. Nè è in esso cosa alcuna, che accenni chiaramente ad amore per la Silvia; ma piuttosto un appassionato confronto tra la precoce morte fisica della fanciulla, e la morte morale della sua speranza. Purissima per lo stile, piena di una soave melanconia, è fra le poesie leopardiane una delle più care e splendenti di greca semplicità.

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XV (XXII).

LE RICORDANZE.

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SOMMARIO: Ritorno a dimorare stabilmente nella casa paterna dove ebbi tante belle illusioni, che poi si dileguarono (v. 1-27) — Non avrei creduto di dover passare la mia gioventù fra gente così priva di coltura e di gentilezza, e piena per me di malevolenza (28-49) — In questi luoghi tutto quanto veggo mi ricorda le gioie della fanciullezza trascorse per sempre (50-76) · Oh speranze di un tempo! l'avervi perdute, e il non aver nulla goduto della mia giovinezza, mi toglierà anche la tranquillità del morire (77–103) · Fino dalla prima gioventù, condotto da una grave malattia in fin di vita, spiaceami di morire per dover perdere il fiore de' miei anni (104-118) Oh quanto è bella quell'età! e che cosa resta di bello, poichè essa si è dileguata? (119–135) · Era giovane e bella Nerina di cui veggo le finestre, e morì sul fior degli anni, lasciandomi in un inconsolabile dolore (136-173).

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Endecasillabi sciolti.

Vaghe stelle dell' Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine.

Quante immagini un tempo, e quante fole
Creommi nel pensier l'aspetto vostro

E delle luci a voi compagne! allora
Che, tacito, seduto in verde zolla,

Delle sere io solea passar gran parte

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v. 1-6. Vaghe stelle dell' Orsa, la costellazione detta Settentrione. Affacciamoci alle finestre della camera da letto di Giacomo: ed ecco in sulla sera le vaghe stelle dell' Orsa. » Mestica. - per uso a contemplarvi, a guardarvi abitualmente; cioè a una dimora stabile nella casa paterna. Vedi l'ultima nota a questo Canto. Sul paterno giardino. « Due giardini sono annessi al palazzo Leopardi, l'uno a levante, a ponente l'altro, giardino veramente il primo.... il secondo una specie di boschetto.... e poichè in quest'ultimo v'erano fra l'altre piante parecchi cipressi (e alcuni ve ne restano anc'oggi), par credibile che ad esso si alluda.... con le parole i cipressi là nella selva (v. 16-17). Mestica. E delle gioie mie vidi la fine: perchè quivi morì la sua speranza. Vedi più oltre, v. 77 e la chiusa del Canto A Silvia. Cfr. Petrarca, I, son. 56: « L'ultimo, lasso!, de' miei giorni allegri. »

Σ

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v. 7-19. fole, castelli in aria, vane fantasie. E delle luci, ec. e delle altre stelle. Cic., Arat. 96: Illæ quæ fulgent luces ex ore corusco » in signif. di stelle. Petr., II, Canz. 4: « E le luci empie e felle Quasi in tutto del ciel eran disperse. in verde zolla; qui sta per prato.

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