Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Altro ufficio più grato

Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perchè dare al sole,

Perchè reggere in vita

Chi poi di quella consolar convenga ?
Se la vita è sventura,
Perchè da noi si dura?
Intatta luna, tale

È lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,

E forse del mio dir poco ti cale.

Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,

Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,

E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi

Il perchè delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,

Del tacito, infinito andar del tempo.

Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,

[merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small]

v. 52-60. Ma perchè...? Conseguenza del già detto: Se la vita è un male, perchè ci vien data? » consolar. Nota questo verbo ripetuto tre volte, e non a caso, nella strofe. si dura, si regge, si sopporta. Virg., En., VIII, 577: patiar quemvis durare laborem. Intatta, illesa, al contrario degli uomini. Livio, V, 38: integri intactique fugerunt. Cfr. Dante, Inf., II: « la vostra miseria non mi tange. » — ti cale, ti preme, ti importa.

v. 61-76. Pur tu, ec. Questa bellissima strofa rialza il sentimento troppo depresso dalle precedenti. Il pastore col suo buon senso immagina che un fine della vita umana ci sia, e crede che la luna lo sappia, non ostante che a lui tutto riesca misterioso, e che si reputi infelice.

[ocr errors]

Che si pensosa sei. Alla quieta luna che tanti pensieri suscita nell'uomo. ben si attribuisce dal poeta il pensare. Quanta naturalezza in questo confidarsi coll'astro amico! Il Sestini, Pia, c. I, st. 80, la chiama << confidente E compagna dell'esule infelice, ec. » questo supremo Scolorar, ec., ultimo impallidire. Con che misteriosa angoscia è descritta qui la morte per i suoi aggiunti ed effetti! — venir meno Ad ogni usata, ec. mancare, dileguarsi. Ma non senti la melodia tristissima di questo verso? il frutto, lo scopo, la ragione. Del tacito, infinito, ec. Orazio, Od., III, 30: Innumerabilis Annorum series et fuga temporum. - a qual suo dolce amore Rida la primavera, per quale oggetto amato si rallegri la

A chi giovi l'ardore, e che procacci
Il verno co' suoi ghiacci.

Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand' io ti miro

Star così muta in sul deserto piano,

Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia

Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:

A che tante facelle?

Che fa l'aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa ? ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,

E dell' innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,

Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto

[blocks in formation]

primavera. Vaga personificazione ! che procacci, che cosa ottenga o miri ad ottenere.

---

v. 79-104. Spesso quand' io, ec. La maraviglia che il pastore dice di provare si collega col semplice del v. 78. « Essendo io semplice, nou so spiegarmi quello che tu certo pienamente conosci. » in suo giro lontano, al ciel confina, l'orizzonte del deserto. Cfr. Tasso, c. XV: « Dell'onda il ciel, del ciel l'onda è confine. Nota anche l'effetto della rima in mezzo al verso! a mano a mano, a pari a pari. Petrarca, Trionf., 10: A mano a man con lui cantando giva II Mantovan. » facelle, stelle. Dante, Purg., VIII: a quelle tre facelle Di che il polo di qua tutto quanto arde. » — e della stanza dipende dal verso Uso alcuno, alcun frutto Indovinar non so. Intendi: « Non so darmi ragione perchè l'universo sia così bello, la terra così abitata, i movimenti delle cose tutte così regolari: » della stanza, dell'universo, in mezzo al quale sta l'uomo. Cfr. il templa cœli e il mania mundi de' Latini. - di tanto adoprar, di tanto affaccendarsi. D'ogni celeste, ogni ec. Innanzi al secondo ogni si sottintende ripetuto di (costrutto, che vedemmo anche nelle Ricordanze, v. 21). — girando, come nota il Mestica, o per giranti partic. presente conforme l'uso antico; o è indipendente, sottintendendosi esse (cose). Per tornar sempre là donde son mosse. Ciò vale non solo per gli astri, ma anche per le cose tutte del mondo che nascono, crescono, periscono, per poi rinascere in simile o in altra forma. Cfr. Foscolo, Sepolcri, v. 19: « E una forza operosa le affatica (le cose)

Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,

Che degli eterni giri,

Che dell' esser mio frale,
Qualche bene o contento

Avrà fors' altri; a me la vita è male.
O greggia mia che posi, oh te beata,

Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!

Non sol perchè d'affanno
Quasi libera vai;

Ch'ogni stento, ogni danno,

Ogni estremo timor subito scordi;

100

105

110

Ma più perchè giammai tedio non provi.

Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
Tu se' queta e contenta;

E gran parte dell'anno

Senza noia consumi in quello stato.

Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
E un fastidio m' ingombra

La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.

E pur nulla non bramo,

E non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,

Non so già dir; ma fortunata sei.

115

120

125

Di moto in moto >> Che degli eterni giri, ec. Costruisci: «Che altri avrà forse qualche bene o contento degli eterni giri; cioè del perpetuo roteare degli astri. » Cfr. Tasso, Ger. Lib., IV, 10: « degli stellati giri: » eterni è opposto a frale. Cfr. v. 19-20 e 59. -a me la vita è male. Intendi: So di certo che per me la vita è dolorosa. » Così il Leopardi adombra sè stesso sotto la persona del pastore.

v. 105-123. che posi, che ti riposi e dormi. - Quanta invidia ti porto! emistichio del Petrarca, II, son. 32. tedio non provi. Il tedio o la noia pareva al Leopardi, come da tanti passi delle sue opere si rileva, il più insopportabile dei mali umani. in quello stato: cioè, in quello indicato dal v. 9. trovar.... loco, trovar quiete. Ariosto, Orl. Fur., XXXIV, 119: Che n' ardea tutta, e non trovava loco. >> - non ho.... cagion di pianto. Qui il Leopardi spoglia la persona propria, perch' egli non avrebbe potuto dire lo stesso di sè medesimo Il suo intendimento è di affermare che, anche senza desiderio nè danno, la vita è noiosa ed inquieta.

v. 125-132. fortunata sei; perchè quantunque non goda, vai però

Ed io godo ancor poco,

O greggia mia, nè di ciò sol mi lagno.

Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perchè giacendo

A bell'agio, ozioso,

S'appaga ogni animale;

Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?

Forse s'avess' io l'ale

Da volar su le nubi,

E noverar le stelle ad una ad una,

O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.

O forse erra dal vero,

Mirando all' altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale

Stato che sia, dentro covile o cuna,

È funesto a chi nasce il dì natale.

130

135

140

esente dal tedio. - nè di ciò sol mi lagno. Intendi: «Non è questa la principal ragione del mio malcontento. Me, s'io giaccio in riposo,

«

il tedio assale? Il Leopardi stesso nel 68 de' suoi pensieri notò che il sentimento della noia è proprio degli uomini di mente elevata. « Il non poter esser soddisfatto da alcuna cosa terrena, nè, per dir così, dalla terra intera; considerare l'ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole maravigliosa de' mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell'animo proprio;... e sempre accusare le cose d'insufficienza e di nullità, e patire mancamento e voto, e però noia, pare a me il maggior segno di grandezza e di nobiltà, che si vegga della natura

umána. »

v. 135-143. ad una ad una, ec. E preso dal Petrarca, I, Canz. XII: << Ad una ad una annoverar le stelle. » Questa frase fa sentire il vivo desiderio di conoscerle tutte quante.. O forse erra dal vero, ec. Ecco qui da ultimo il trionfo dello scetticismo. Prima il pastore ammetteva che staccandosi da questa terra si potesse trovar la felicità: or di nuovo teme ch'ella non si ritrovi in alcun luogo. Questa chiusa, a mio parere, guasta il sentimento nobile e sublime che ci avevano diffuso nell'animo le ultime strofe. in qual forma, in qualunque forma: quale si trova spesso per qualunque. Petr., III, Canz. 4: « Quivi fa che 'l tuo vero, Qual io mi sia, per la mia lingua s'oda. » — · dentro covile o cuna: alle bestie e agli uomini. il di natale, il giorno della nascita, preso qui per la vita a cui dà principio.

-

Il Leopardi, in una nota a questo Canto, citando un viaggio del Barone di Meyendorff da Orenbourg a Boukara, descritto nel Journal des Savants, settembre 1826, dice che molti pastori delle nazioni asiatiche erranti passano la notte assisi su una pietra a guardar la luna, cantando delle meste canzoni. Da ciò apparisce che questo Canto è posteriore alla data del giornale; e siccome fu stampato per la prima volta nell'edizione fiorentina del 1831, così la sua composizione dee

118

XVII (XXIV).

LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA.

[ocr errors]

SOMMARIO: Dopo la tempesta, ogni core si rallegra (v. 1-24) — In quel momento l'uomo è più sodisfatto di vivere, si sente pieno di coraggio, e ripensa con_piacere allo spavento poco prima sperimentato (25-41) Pur troppo la natura non ci dà i piaceri che come tregua o cessazione dei dolori, onde la morte, che tutti li toglie, fa l'uomo beato (42-54). METRICA. - Strofe libere.

Passata è la tempesta:

Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,

Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,

E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio

Torna il lavoro usato.

L'artigiano a mirar l'umido cielo,

Con l'opra in man, cantando,

5

10

cadere fra questi due termini. Quantunque pieno anch'esso della solita disperazione, lascia nondimeno aperto uno spiraglio a sublimi speranze, cioè al sospetto che il mistero delle sorti umane possa avere una finalità degna di sè. Vi domina poi un profondo caldo sentimento della natura, qual si presenta nelle solitudini dei deserti a un bel lume di luna, e, se si eccettuano pochi versi della strofe 4, lo stile corre puro e limpido dal principio alla fine. L'andamento stesso del metro è snello e rapido, e senza intoppo ci trasporta ora per brevi, ora per lunghe strofe irregolari, dalla luna alla vita umana, da questa di nuovo in cielo, e poi alla placida greggia, finchè con un angoscioso dubbio ci lascia l'animo sospeso e sfiduciato.

v. 1-24. Odo augelli, ec. « Nella tempesta (gli uccelli) si tacciono.... e passata quella, tornano fuori cantando e giocolando gli uni cogli altri.» Leopardi, Elogio degli uccelli. Rompe, spunta. Così dicesi « sul romper dell'aurora sul romper dell'alba, dal lat. erumpere. Questa immagine era già stata espressa, e non men bene, dal poeta nell' Appressamento della morte, c. II, 7: « ride striscia di sereno Dopo la pioggia sopra la montagna, Allor che 'l turbo placasi e vien meno. >> Sgombrasi, cioè, dalle nubi che la coprivano. il fiume. « Sebbene la descrizione sia generica, può bene il Leopardi aver tolto l'idea del fiume, che riappare dopo il temporale, dal Potenza, che scorre nella valle sottostante a Recanati.» Casini. – Oyni cor si rallegra, risorge da quell'oppressione in cui l'aveva piombato il temporale. il lavoro, il lavorío, l'affaccendamento. Con l'opra in man, con in mano il lavoro incominciato, cui stava attendendo in casa. - cantando, senza in

--

« ÖncekiDevam »