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Fassi in su l'uscio; a prova

Vien fuor la femminetta a còr dell'acqua

Della novella piova;

E l'erbaiuol rinnova

Di sentiero in sentiero

Il grido giornaliero.

Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride

Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre terrazze e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passegger che il suo cammin ripiglia.
Si rallegra ogni core.

Si dolce, sì gradita

Quand' è, com' or, la vita?

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Quando con tanto amore

L'uomo a' suoi studi intende?

O torna all' opre? o cosa nova imprende?
Quando de' mali suoi men si ricorda ?
Piacer figlio d' affanno;

Gioia vana, ch'è frutto

Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte

Chi la vita abborria;

Onde in lungo tormento,

Fredde, tacite, smorte,

Sudar le genti e palpitàr, vedendo

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terrompere il suo canto. -a prova, a gara. còr dell'acqua, ec., prendere dell'acqua piovana, conforme il costume di certi villaggi, di esporre alla pioggia secchie e brocche e catini per riprenderli pieni d'acqua. Circa corre per prendere vedi il Voc. della Crusca, Va impressione, a questa voce, & XXII. erbaiuolo, erbivendolo. dalla la famiglia, i servi. via corrente, dalla strada maestra, per cui corrono i viandanti. Tasso, Dial. I, 383 (ediz. Le Monnier): « le possessioni siano.... vicine a strade correnti. >

-

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v. 25-41. Si rallegra ogni core. Ripete vagamente e con ordine inverso, quasi somma o conclusione, il v. 8- Piacer figlio d'affanno; Gioia vana, ec. È usato assolutamente come in accento d'esclamazione e d'epifonema. La considerazione che i nostri piaceri derivano da privazioni o dolori prima sofferti, è generalmente vera, e fu fatta anche da Socrate nel Fedone di Platone (60, B). Gioia vana; cioè, negativa, nascente soltanto dalla cessazione del male. Chi la vita abborria, anche colui che dianzi aveva in uggia la vita. Sudar le genti e palpitàr. Virg., Georg., I, 330, descrivendo un temporale, dice che mortalia corda

Mossi alle nostre offese

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Folgori, nembi e vento.

O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,

Questi i diletti sono

Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
È diletto fra noi.

Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta

Nasce d'affanno, è gran guadagno. Umana
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice

D'alcun dolor; beata

Se te d'ogni dolor morte risana.

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Per gentes humilis stravit pavor. Mossi alle nostre offese, ec. Nel Canto Nelle nozze della sorella vedemmo « quando a tenzone Scendono i venti. » v. 42-54. cortese, per ironia. Uscir di pena È diletto fra noi. Dice in altre parole quello che ha detto sopra, « Piacer figlio d'affanno. » Pene tu spargi, ec. Intendi: « Il dolore è positivo, cioè esiste realmente: il piacere è negativo, cioè non consiste che in una tregua o sospensione del dolore. » Questa massima fu sostenuta anche dallo Schopenhauer, nel lib. IV della sua opera principale, § 58 della versione francese di A. Bourdeau. per mostro e miracolo. Mostro usarono i poeti latini e italiani per prodigio. Vuol dire l'autore. « essere strano e maraviglioso, e pur vero, che dal dolore nasce qualche volta il piacere. cara agli eterni. Qui pure ironicamente. assai felice, ec. Nota l'antitesi maligna di questi concetti: « E felicità, e grande felicità (788ai), l'aver qualche respiro dai dolori: beatitudine poi il morire. » Beata significa pii che felice. Cfr. in greco εὐτυχής ed ὄλβιος.

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Questo breve Canto, assegnato dal Mestica al medesimo periodo delle Ricordanze, cioè tra il '28 ed il '30, svolge il concetto che « piacere è figlio d'affanno. Più che la parte filosofica, che mi pare alquanto prolissa, è da lodarsi il quadretto inimitabile della prima strofe, dove con tanto giudizio sono scelte dal vero le principali circostanze opportune, e rappresentate con una semplicità ed eleganza greca. Qui hai esempio del come si possano anche le cose volgari ritrarre senza volgarità. Vedi Mestica, Il verismo nella poesia di G. L. nella Nuova Antologia, 1° luglio 1880.

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XVIII (XXV).

IL SABATO DEL VILLAGGIO.

SOMMARIO: La sera del sabato tutto il villaggio si rallegra, pensando al riposo del domani (v. 1-37) Ma dimani verrà a noia il riposo, e

si tornerà a pensare al lavoro (38-42) Giovinetto, la tua età è come la vigilia d'una festa. Godila, e non ti dispiaccia che questa tardi a venire (43-51).

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La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,

Col suo fascio dell' erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,

Onde, siccome suole,

Ornare ella si appresta

Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine

Su la scala a filar la vecchierella,
Incontro là dove si perde il giorno;

E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai dì della festa ella si ornava,
Ed ancor sana e snella

Solea danzar la sera intra di quei

Ch'ebbe compagni dell' età più bella.
Già tutta l'aria imbruna,

Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
Giù da' colli e da' tetti,

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v. 1-30. La donzelletta. " Non è proprio, trattandosi di una contadinella o fanciulla d'umile condizione; ma al Leopardi piaceva, e l'usò con lo stesso senso anche nella Vita solitaria, v. 59. » Casini. - Incontro là, ec., verso occidente. Ma quella frase si perde il giorno ha qualche cosa di mesto. Dante, Purg., VIII: E paia il giorno pianger che si muore. » novellando, raccontando, chiacchierando. del suo buon tempo, della sua gioventù. intra di quei Ch' ebbe compagni, ec., i suoi coetanei. Nota come ingegnosamente si raffronta la gioventù presente della donzelletta, con quella trascorsa della vecchierella; e l'ornarsi di fiori della prima coll'ornarsi e il danzare che una volta faceva la seconda. Gioventù e amore furono le più care illusioni del povero Leopardi. imbruna, si fa bruna. Petr., Canz. 4: << imbrunir le contrade d'oriente. » Torna azzurro il sereno : « Il cielo, di sereno (celeste chiaro), si rifà azzurro (cioè di colore alquanto più pieno del celeste) al sopravvenir della sera. » Sesler. - - tornan l'ombre: l'ombre ch'erano sparite col tramonto del sole, ricompariscono per il levarsi della luna.

-

Al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
Della festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
Su la piazzuola in frotta,
E qua e là saltando,

Fanno un lieto romore:

E intanto riede alla sua parca mensa,

Fischiando, il zappatore,

E seco pensa al dì del suo riposo.

Poi quando intorno è spenta ogni altra face,

E tutto l'altro tace,

Odi il martel picchiare, odi la sega

Del legnaiuol, che veglia

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Nella chiusa bottega alla lucerna,

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E s'affretta, e s'adopra

Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.
Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia:

Diman tristezza e noia

Recheran l'ore, ed al travaglio usato

Ciascuno in suo pensier farà ritorno.

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Virg., Bucol., I: Maioresque cadunt altis de montibus umbra; e II: Et sol crescentes decedens duplicat umbras. recente luna, testè comparsa sull'orizzonte. la squilla, la campana che suona per la festa del giorno dopo. riede alla sua parca mensa.... il zappatore. Cfr. Petr., I, Canz. 4: « L'avaro zappador l'arme riprende, E con parole e con alpestri note Ogni gravezza del suo petto sgombra; E poi la mensa ingombra Di povere vivande. »

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v. 31-37. ogni altra.... E tutto l'altro. Altra, per rispetto di lucerna; e tutto l'altro (tutto il resto), per rispetto di martello e sega. s'adopra, s'affatica, lavora. - fornir l'opra. Petr., III, son. 7: « mi manca a fornir l'opra Alquanto delle fila, > ec. Cfr. Parini, Mattino: la sonante Officina riapre; e all'opre torna L'altro di non perfette. »

v. 38-42 tristezza e noia Recheran l'ore, ec. Vuol significare che non verificandosi nella domenica le speranze di gioia e sollazzo concepite nel sabato, ciascuno quasi affretterà con desiderio il ritorno al lavoro del lunedì. E questo è conforme al principio dell'autore, che il piacere vero sta nella speranza, non nell'effettuarsi di essa. Non si può negare però che molti, anche non oppressi dalla malinconia leopardiana, provano in sè questo medesimo effetto: piace loro l'avvicinarsi della festa, ma in quella finiscono coll' annoiarsi, benchè varie possano esserne le ragioni. — travaglio, lavoro; termine francese, ma legittimato anche in Italia da autorevoli esempi antichi e moderni.

Garzoncello scherzoso,

Cotesta età fiorita

E come un giorno d'allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,

Che precorre alla festa di tua vita.

Godi, fanciullo mio; stato soave,

Stagion lieta è cotesta.

Altro dirti non vo'; ma la tua festa
Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.

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XIX (XXXI).

SOPRA IL RITRATTO DI UNA BELLA DONNA

SCOLPITO NEL MONUMENTO SEPOLCRALE DELLA MEDESIMA.

SOMMARIO: Eri bella come ti addimostra quel simulacro marmoreo : ora giaci sotterra in polvere e in fango (v. 1-19) — Tale è il destino dell'umana bellezza: oggi ti incanta, domani ti muove ribrezzo (20-38) Così un bel concerto ti rapisce nel cielo; ma una discordanza di suono ti rompe tosto la beata illusione (39-49) - O uomo, se tu sei fragile e vile, perchè insuperbisci? se in parte sei nobile, perchè ti lasci muovere da si vili cagioni? (50-56).

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Tal fosti: or qui sotterra

Polve e scheletro sei. Su l'ossa e il fango

v. 43-51. Garzoncello scherzoso, ec. Applica l'osservazione fatta sul sabato e sulla domenica alla fanciullezza e alla gioventù. età fiorita. Petr., II, son. 10: « Nell'età sua più bella e più fiorita, » e 62: « Qual io la vidi in su l'età fiorita. » Il Leopardi, chiamando così la fanciullezza, allude forse al fiore, che rappresenta la speranza. alla festa di tua vita, alla gioventù. Altro dirti non vo': reticenza molto espressiva, che include grandi calamità future. «Non voglio amareggiarti l'avvenire: ti dico solo che non ti prema di venir presto a fine di cotesta bella età.» Cfr. le Ricordanze, v. 61-76.

Questo Idillio, da ascriversi, secondo il Mestica, allo stesso periodo del precedente, è suo degno fratello, anzi forse più bello di esso, per la maggior semplicità e brevità dell'applicazione. Nel quadretto poi onde incomincia, puoi notare la solita scelta e naturale espressione della vita villereccia, e la stessa mirabile purezza ed eleganza di stile.

v. 1-19. Tal fosti: or qui, ec., cioè: « Fosti realmente così bella come ti dimostra il marmo; ma sotto terra non sei che polvere e scheletro. » Questo cominciare così brusco e rotto colpisce il lettore. La trista an

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