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Immobilmente collocato invano,

Muto, mirando dell' etadi il volo,
Sta, di memoria solo

E di dolor custode, il simulacro

Della scorsa beltà. Quel dolce sguardo,

5

Che tremar fe, se, come or sembra, immoto
In altrui s'affisò; quel labbro, ond' alto

Par, come d'urna piena,

Traboccare il piacer; quel collo, cinto
Già di desio; quell' amorosa mano,
Che spesso, ove fu porta,

Sentì gelida far la man che strinse;
E il seno, onde la gente

Visibilmente di pallor si tinse,
Furo alcun tempo: or fango
Ed ossa sei; la vista

Vituperosa e trista un sasso asconde.

Così riduce il fato

Qual sembianza fra noi parve più viva
Immagine del ciel. Misterio eterno

Dell'esser nostro. Oggi, d'eccelsi, immensi
Pensieri e sensi inenarrabil fonte,

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titesi di questo principio mi ricorda quella dell' Ode 27, lib. I, d'Orazio Te maris et terræ numeroque carentis arence Mensorem cohibent, Archyta, Pulveris exigui.... munera. collocato, ec., dipende da simulacro del v. 6. mirando dell'etadi il vola, sopravvivendo al rapido trascorrere de' secoli. - di memoria solo E di dolor custode, eretto per custodire la memoria e il dolore de' tuoi parenti. tremar fe. Petrarca, I, madr. 1: « mi fece.... Tutto tremar d'un amoroso gelo. » Anche Saffo descrivendo gli effetti che in lei produceva lo sguardo dell' oggetto amato, dice: « τρόμος δὲ πᾶσταν ἄγρει, » cioè: << un tremore tutta mi scuote. >> Par, come d'urna, ec. il piacer. Espressione veramente sublime! cinto di desio. Anche questa è espressione molto concettosa e piena di grazia greca. Intendi: « collo che moveva altrui ad abbracciarlo, a ricingerlo colle braccia. » Visibilmente, in modo da vedersi chiaramente. Petr., I, Canz. 7: « Quasi visibilmente il cor traluce. Furo, vissero, esisterono in carne ed ossa. - fango Ed ossa, ripetizione efficacissima della frase di sopra (v. 2). vista.... trista. Anche qui osserva il mirabile effetto della rima in mezzo. Lo stesso argomento d'una bella donna divenuta, per morte, sozzo cadavere, fu trattato in una lunga canzone da Andrea da Basso, poeta ferrarese del secolo XV: « Cos'è che non sia guasto Di quel tuo corpo molle? Cos'è dove non bolle E verme e putridume E puzza e sucidume? ec. » Ma egli aveva un intendimento ascetico, non filosofico come il Leopardi.

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V. 20-38. parve più viva Immagine del ciel. Cfr. Petr., II, Canz. 1: «Oimè terra è fatto il suo bel viso Che solea far del cielo E del ben

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di lassù fede fra noi. » — e pare, ec. Costr.: « e, quale (cioè, come se fosse) splendore vibrato da, ec. par dare allo stato mortale segno e spene sicura di fati soprumani, di regni fortunati e d'aurei mondi. »> Descrive gli effetti della bellezza che, esaltando l' uomo sopra sè stesso, lo porta a sperare uno stato di immensa felicità e quasi un paradiso in terra. Quale splendor, ec., « quasi raggio che piova in terra da una divinità (natura immortal). » Nell'Aspasia: « Raggio divino al mio pensiero apparve, Donna, la tua beltà.»- per lieve forza, per un motivo leggiero; Quel che da lui moveva Ammirabil concetto. NelVagheggia I1 piagato mortal quindi la figlia Della sua mente, l'amorosa idea, Che gran parte d'Olimpo in se racchiude. »

come una malattia.

l' Aspasia :

v. 39-49. Desiderii, ec. Questi versi contengono una comparazione, presa dalla musica. Costruisci : « Dotto concento per virtù naturale crea nel vago pensiero infiniti desiderii e altere visioni, > cioè aspirazioni verso l'infinito, e fantasie beatificanti. dotto concento, concerto eseguito con perfezione. - per mar delizioso, ec. Erra. Il Leopardi stesso nell' Infinito: « E il naufragar m'è dolce in questo mare. » — a diporto Ardito; cioè: « come un ardito notatore erra a diporto pel mare. >> un discorde accento, una scordatura. Torna, si converte, si muta. Dante, Inf., 26: « Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto. »

-

Natura umana, or come,

Se frale in tutto e vile,

Se polve ed ombra sei, tant'alto senti?
Se in parte anco gentile,

Come i più degni tuoi moti e pensieri
Son così di leggeri

Da sì basse cagioni e desti e spenti?

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XX (XXXIII).

IL TRAMONTO DELLA LUNA.

SOMMARIO: Come in una bella notte la luna tramontando lascia la campagna nell'oscurità (v. 1-19); così la giovinezza, abbandonando l'uomo, gli toglie ogni speranza e lo segrega dai piaceri del mondo (20-33) – Troppo sarebbe egli stato felice se non avesse avuto il tormento della vecchiezza (31-50) La campagna rimasta oscura è poi illuminata, al mattino, dal sol nascente: ma la vita mortale, giunta a vecchiezza, ha per termine la morte (51-68).

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Quale in notte solinga,

Sovra campagne inargentate ed acque,

v. 50-56. Natura umana, ec. Termina con un dubbio in forma di dilemma: << O uomo, se sei cosa affatto vile e fragile, perchè sorgi a così nobili sentimenti? e se in parte sei cosa nobile, perchè ti lasci muovere a cangiar di pensiero da sì basse cagioni? - polve ed ombra sei. Orazio, Od., IV, 7: pulvis et umbra sumus; e il Petr., II, son. 26: « Veramente siam noi polvere ed ombra. » in parte anco, ec.: sottint. sei. In parte si oppone all' in tutto del v. 2. gentile, nobile. Da sì basse cagioni: cioè dalla bellezza, così fragile e caduca. moti e pensieri.... e desti e spenti: cioè, gli affetti più degni e sublimi si accendono e poi tosto si spengono insieme col sorgere e col decadere della corporale avvenenza.

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Questo breve Canto, che il Mestica pone fra il 1831 e il settembre del 1833, è una meditazione sulla fragilità dell'umana bellezza, quel sentimento per cui tanti uomini si convertirono e lasciarono il mondo, dandosi a vita di penitenza. E la finale, benchè scettica, racchiude un alto sentimento morale e stoico insieme, cioè, la follia dell'uomo nel lasciarsi tanto esaltare da cosa sì vile. Il contrasto fra l'incanto della umana bellezza, e la sozzura in cui si discioglie non potrebbe essere più vivamente ritratto. Lo stile austero e grave più del solito, non si discompagna però da quelle immagini che fan bella la poesia.

v. 1-19. Quale, come, in quella guisa che, ec. La proposiz. dipendente da questo pronome è scende la luna» del v. 12. « in notte solinga. Virg., En., VI, 268: sola sub nocte. — inargentate, illuminate dal bianco

Là 've zefiro aleggia,

E mille vaghi aspetti

E ingannevoli obbietti

Fingon l'ombre lontane

Infra l'onde tranquille

E rami e siepi e collinette e ville;
Giunta al confin del cielo,

Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno
Nell'infinito seno

Scende la luna; e si scolora il mondo;
Spariscon l'ombre, ed una

Oscurità la valle e il monte imbruna;
Orba la notte resta,

E cantando, con mesta melodia,
L'estremo albor della fuggente luce,
Che dianzi gli fu duce,

Saluta il carrettier dalla sua via.

Tal si dilegua, e tale

Lascia l'età mortale

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Le lontane speranze,

Ove s'appoggia la mortal natura.

Abbandonata, oscura

raggio lunare, simile all'argento. Il Tasso, Ger. Lib., XVIII, 13, disse « l'argentata luna. » Vie dorate, ec., cioè illuminate dal sole meridiano, vedemmo nel Canto A Silvia. E mille vaghi aspetti, ec. Costr.: « E l'ombre lontane Infra l'onde tranquille E rami e siepi, ec. fingono mille aspetti vaghi e obbietti ingannevoli. » Dipinge il poeta, con sagace osservazione della natura, i molteplici effetti prodotti in lontananza dal giuoco dell' ombre proiettate per causa della luna. vaghi aspetti, immagini indeterminate, confuse. Fingon, formano: lat fingunt. Infra, in mezzo a, ec. - confin del cielo, l'orizzonte. Dietro Apennino, ec. Come nota il Mestica, qui abbiamo un paesaggio napoletano. Scende la luna, ec. Osserva con quanta naturalezza è ritratto il momento solenne in cui dalla luce si passa alle tenebre ! una Oscurità, una sola, una medesima, ec.— Orba, cieca, priva di luce. Che dianzi gli fu duce. Nell' Ode anacreontica il Leopardi chiama la luna προσφιλής ὁδίταις < grata ai viaggiatori, » Vedi anche il Canto Alla primavera, v. 45, e quivi le note.

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v. 20-33. Tal si dilegua... La giovinezza, ec. Sono i soliti lamenti sul cadere della gioventù, ripetuti così spesso dal Leopardi. Vedi per es. Le Ricordanze. Le lontane speranze, le speranze di cose ancora lontane, e quindi più belle e più consolanti. Ove s' appoggia, ec. Petr., I, Canz. 12: « Ove la stanca mia vita s'appoggia. » Sappiamo già che as

Resta la vita. In lei porgendo il guardo,
Cerca il confuso viatore invano

Del cammin lungo che avanzar si sente
Meta o ragione; e vede

Ch'a se l'umana sede,

Esso a lei veramente è fatto estrano.

Troppo felice e lieta

Nostra misera sorte

Parve lassù, se il giovanile stato,

Dove ogni ben di mille pene è frutto,
Durasse tutto della vita il corso.

Troppo mite decreto

Quel che sentenzia ogni animale a morte,
S'anco mezza la via

Lor non si desse in pria

Della terribil morte assai più dura.
D'intelletti immortali

Degno trovato, estremo

45

Di tutti i mali, ritrovàr gli eterni

La vecchiezza, ove fosse

Incolume il desio, la speme estinta,

soluto valore desse il Leopardi alla speranza. - porgendo il guardo. « Lat. porrigens. Fissando attentamente lo sguardo. » Sesler. il confuso viatore, l'incerto pellegrino di questa vita. che avanzar si sente, che sente ancora restargli. Perchè dopo la gioventù suol rimanere ancora un lungo spazio di vita. Meta o ragione, scopo degno, o motivo plausibile. a se l'umana sede, ec. Intendi : « che il mondo non ha più allettamenti per lui, nè può riceverne da lui. » Ripete in altra forma il già detto nel Passero solitario, v. 53, e nelle Ricordanze, v. 97-98. Vedi anche fra i Pensieri il LXI.

v. 34-50. Troppo felice, ec. Virg., En., IV, 657: Felix, heu nimium felix, si, ec. Dove ogni ben, ec. Intendi: « dove pure quel po' di bene che si gode è frutto di mille pene. » Vedi La quiete dopo la tempesta, v. 32 e seg. Durasse tutto, ec. Continuasse ad esistere per tutto, ec. S'anco mezza la via, ec. Dante, Inf., I: « Nel mezzo del cammin di nostra vita.» Intendi: « Se anche non si assegnasse loro per una metà della vita, una condizione assai più insopportabile che la stessa temuta morte, cioè la vecchiezza, che però il Leopardi fa incominciare fino dalla cessazione della gioventù (mezza la via). D'intelletti immortali Degno trovato. Concetto empio e, diciamo anche, assurdo. Immagina che gli Dei escogitassero per l'uomo la vecchiezza, come la quint'essenza del patire, quasichè giovinezza e vecchiezza non siano termini correlativi, come nascita e morte. -ove fosse Incolume il desio, ec.: cioè « dove sopravvivesse il desiderio, e fosse morta la speranza di sodisfarlo. Dante, Inf., IV: « Senza speme vivemo in desío. » Nei Pensieri, no VI, dice l'autore : « La vecchiezza è male sommo; perchè priva l'uomo di tutti i piaceri, lasciandogliene gli appetiti; e porta seco tutti i dolori. »

«

Cfr.

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