Secche le fonti del piacer, le pene Maggiori sempre, e non più dato il bene. Voi, collinette e piagge, Caduto lo splendor che all'occidente Orfane ancor gran tempo Non resterete, che dall' altra parte Tosto vedrete il cielo Imbiancar novamente, e sorger l'alba: Con sue fiamme possenti, Di lucidi torrenti Inonderà con voi gli eterei campi. Ma la vita mortal, poi che la bella D'altra luce giammai, nè d'altra aurora. Segno poser gli Dei la sepoltura. - Il Sesler ravvicina a questa strofa diversi frammenti del poeta greco Mimnermo, che dicono presso a poco lo stesso. Secche le fonti, ec. « i sensi incapaci di gustare i piaceri corporei. non più dato, non più concesso. Qui il poeta cristiano può esser confutato dal filosofo pagano Cicerone, di cui vedi il De senectute, § 12 e seg. v. 51-68. Voi, collinette, ec. Confronto e antitesi simili, in altro genere, a quelli che vedemmo nel Passero solitario: « Tu solingo augellin, ec. » all' occidente: verso occidente, dove la luna tramontava. Orfane, ec. Vedemmo sopra Orba la notte resta, dall'altra parte, dall' oriente Imbiancar, ec. Bella gradazione, dal primo albore, fino al trionfo del sole alto sull' orizzonte ! Con sue fiamme, ec. Virg., En., IV, 607: Sol qui terrarum flammis opera omnia lustras. Ma la vita mortal, ec. Il concetto di questi e de' precedenti versi ricorda il catulliano (V): Soles occidere et redire possunt: Nobis, quum semel occidit brevis lux Nox est perpetua una dormienda; l'Oraziano (IV, 7, 13): Damna tamen celeres reparant coelestia Lunce; Nos, ubi decidimus Quo pius Æneas, quo dives Tullus et Ancus Pulvis et umbra sumus; e quel luogo del Tasso (Ger. Lib, XVI, 15): . trapassa al trapassar d'un giorno De la vita mortale il fiore e 'I verde; Nè, perchè faccia indietro april ritorno, Si rinfiora ella mai, nè si rinverde. «.... « Vedova, priva, orba. alla notte, ec., cioè, alla vecchiezza gli Dei posero per meta ultima il sepolcro. Cfr. gli ultimi versi del Canto di Saffo e di quello A Silvia. Questo Idillio risale, secondo il Mestica, alla primavera del 1835; è dunque uno degli ultimi composti dal Leopardi, il quale morì nel seguente anno. Come il Passero solitario, la Quiete dopo la tempesta e il Sabato del villaggio, comincia anche questo da una animata e leggiadra descrizione campestre, per poi derivarne delle riflessioni malinconiche e LEOPARDI. 9 130 XXI (XXXIX). FRAMMENTO. SOMMARIO: Una donna in una quieta e limpida serata si avvia per la cam pagna verso un luogo dove l'attendeva una persona carissima (v. 1–27) È colta da fiera burrasca e impietrisce per lo spavento (28-76). Spento il diurno raggio in occidente, Quand'ella, volta all' amorosa meta, Spandeva il suo chiaror per ogni banda I ramuscelli ivan cantando al vento, 5 10 15 disperanti. Il lamento qui contenuto riguarda la vecchiezza a cui il Leopardi nega ogni conforto, discorde in questo da Cicerone che nel dialogo De senectute trovò buoni argomenti per rendere tollerabile, se non amabile, quella tanto detestata età. Il primo quadro è una maraviglia di evidenza nuova, tantochè la fantasia ne riceve un'illusione perfetta. Tutto il Canto poi corre semplice e limpido, e ben attesta a qual grado di eleganza tutta naturale l'autore si fosse innalzato negli ultimi anni della sua travagliata esistenza. zata. v. 1-6. E queto il fumo delle ville, cioè spento il fuoco con cui si era apparecchiata la cena nelle ville. Indica un'ora della notte già avanqueta De' cani era la voce, ec. Cfr Ovid., Trist., I, 3, 27: Jamque quiescebant voces hominumque canumque Lunaque nocturnos alta regebat equos. all'amorosa meta, a quel colloquio desiderato, che era scopo del suo viaggio. landa, pianura. Vedi il v. 16. v. 7-15. La sorella del sole, la luna. Diana era sorella di Febo. Anche Dante (Purg., XX÷II, v. 20): « la suora di colui; E il sol mostrai. » —--fea d'argento, spargeva di colore argenteo. Cfr. Il Tramonto della luna, v. 2. ivan cantando, andavan mormorando, mossi dal vento. È nuovo, e non molto proprio questo uso di cantare. l'usignuol, ec. Cfr. il Petrarca nel son. che comincia: « Quell' usignuol che si soave piagne. » Limpido, ec. Stupenda terzina, che proprio ci mette sott'occhio l'immagine significata! In queta ombra giacea la valle bruna, E i collicelli intorno rivestia Del suo candor la rugiadosa luna. Sola tenea la taciturna via La donna, e il vento che gli odori spande, Se lieta fosse, è van che tu dimande: Un nugol torbo, padre di procella, Spiegarsi ella il vedea per ogni canto, E si fea più gagliardo ogni momento, v. 18-21. la rugiadosa luna, la luna che sparge rugiade. Virg. Georg., III, 337: saltus reficit iam roscida luna.· - tenea la taciturna via; seguiva, ec. Dante, Inf., XVII, 111: « Gridando il padre a lui: mala via tieni. » — il vento.... passar sul volto si sentia. Cfr. Dante, Purg., XXVIII, 7 e seg.: « Un'aura dolce senza mutamento Avere in sè mi feria per la fronte, ec. » v. 25-27. ore serene. Petr., I, son. 51: « un batter d'occhio e poche null' altro dura. Petr., II, Canz. 3: « Ahi, null'altro che pianto al mondo dura. » — · Dilettevol, ec. se non la spene. Intendi: « Ogni bene reale non dura: quello che dura è solo la speranza. » ore serene. » - « v. 28-36. Ecco turbar la notte. Turbar ha senso intransitivo di turbarsi. Anche nella Nov. ant. 22, si legge: il tempo incominciò a turbare; ecco una pioggia repente. » -- padre di procella, generatore, apportatore, ec. e far sovra il suo capo, ec.: e coprir l'aria sopra il capo di lei.» Cfr. Virg. En., V, 10. Olli cæruleus supra caput adstitit imber. v. 37-48. Veniva, diveniva. al bosco, ec. Intendi: « Il vento burrascoso si levava dalla parte di quel bosco, dove ella attendeva il bra Ver la marina sì, che l'un suo lembo Già tutto a cieca oscuritade in grembo, Guizzavan lampi, e la fean batter gli occhi; Guardava sbigottita, e poi correa, Sì che i panni e le chiome ivano addietro. Che gocce fredde giù per l'aria nera E il tuon veniale incontro come fera, E d'ogni intorno era terribil cosa mato colloquio. » — fremer la pioggia: fremere nel senso di rumoreggiare si dice dei venti, del mare, delle onde in generale, ma non mi par molto proprio riferito, come qui, a pioggia. — il suon, cioè il rumore dell'acqua. v. 50-54. la fean batter gli occhi. Cfr. Dante, Parad., XI, 13 e seg.: « Quale per li seren tranquilli e puri Si muove ad ora ad or subito fuoco Movendo gli occhi che stavan sicuri. » — n'era il terren tristo, ec. Intendi: « Il terreno appariva in quel bagliore più tristo, e l'aria si faceva tutta rossa » (roggio da rubeus). -- Discior sentia.... i ginocchi, mancar la forza nelle ginocchia, a causa dello spavento. Virg. En. 92: Extemplo Enea solvuntur frigore membra. al metro Di torrente, alla modulazione, allo strepito misurato. Vuol indicarsi quel tonar lungo, continuo, uguale, che precede le grandi burrasche. v. 55-60. ristava, si fermava, sostava. Sì che i panni e le chiome, ec. Bella e viva pittura! Cfr. Ovid., Metam., I, 529: obviaque adversas vibrabant flamina vestes, Et levis impulsos retro dabat aura capillos, dove parla di Dafne che fugge. E il duro vento, ec. stupendo verso, che col suono stesso fa sentire la resistenza; effetto dell'accentuazione sulla quarta e settima. 11 v. 61-66. E il tuon veniale incontro, ec. Ben rappresentato l'avvici narsi della burrasca, e il crescer del tuono. E il suon che immaginar, ec. << e uno strepito che io rifuggo da immaginarlo. » Petr., II, Canz. 3. E sol della memoria mi sgomento. > Coprendo gli occhi, e stretti i panni al seno Ma nella vista ancor l'era il baleno E si rivolse indietro. E in quel momento 70 75 v. 70. Ma nella vista, ec. « Ma, benchè si coprisse gli occhi, pur vedeva sempre il barbaglio del lampo, e così acceso, che ec. »> Questo frammento è tolto dalla cantica giovanile Appressamento della morte, composta dall'autore il 1816, e pubblicata da Zanino Volta, Milano, Hoepli, 1880. Ma il Leopardi riducendolo nella forma presente, sostituì a sè stesso, « volto a cercare eccelsa meta, »> una donna « volta all'amorosa meta, » e ne corresse la dicitura quasi verso per verso. Così staccato com'è, il frammento può riguardarsi come una breve allegoria per adombrare la fallacia delle speranze umane. Il contrasto fra la letizia della donna e la serenità del cielo da una parte, e l'abbuiarsi dell'aria e il sorgere della tempesta dall'altra, è vivacissimo. La descrizione poi della burrasca mi sembra delle più vere e insieme delle più originali che siano state fatte dai poeti, in mezzo a tante e tante che se ne hanno. Soggiungiamo qui il passo corrispondente della Cantica, perchè i giovani possano fare il confronto fra ambedue, e vedere come l'arte della lima in mano del Leopardi già maturo cambiasse in oro l'argento e talora il piombo del primo abbozzo giovanile : Era morta la lampa in Occidente, E queto 'l fumo sopra i tetti e queta Quand' i' volto a cercare eccelsa meta, Spandeva suo chiaror per ogni banda Chiaro apparian da lungi le montagne, E un'ombra vaga ne la valle bruna Sprezzando ira di gente e di fortuna Se lieto i' fossi è van che tu dimande. |