Trafora, e lo conficca in sul terreno: Vuol fuggir Mangiacavoli lontano Paludano ammazzò Scavaformaggio; Da l'erta lo precipita nel lago; Corse a Fanghin, d'una lanciata il prese Vaperlofango un po' di fango coglie, E a Rubamiche lo saetta in faccia Gracidante s'accosta allor pian piano, 4 5 6 8 9 10 Ciò visto Mangiagran, da la paura Ferito e zoppo, a gran dolore e stento, Ma zoppicando il ranocchione accorto Avventa questi un colpo a Rodipane, Quando improvviso un fulmine di guerra Giunse a la mischia il prence Rubatocchi, Questi sul lido in rilevato loco Oimè, dice a gli Dei, qui non si ciancia: Or che pensiero è il tuo? Marte rispose: LEOPARDI. 10 11 1227 13 14 15 16 17 E s'anco vo' provar, non ci riesco : Tutti piuttosto discendiamo insieme. 18 Disse; e Giove acconsente, e un dardo afferra: 19 Avventa prima il tuon, ch'assordi e scota E trabalzi da' cardini la terra Indi lo strale orribilmente rota; Lo scaglia; e fu quel campo in un momento Ma il topo, che non ha legge nè freno, Venner certi animali orrendi e strani, Granchi son detti: e quivi a la battaglia A' granchi ogni arme si fiaccava in dorso: la sorella mia, Pallade, figlia anch'essa di Giove. 20 17 21 22 22 23 I PARALIPOMENI ALLA BATRACOMIOMACHIA. Negli ultimi anni di sua vita venne al Leopardi il bizzarro pensiero di continuare la favola omerica facendovi i Paralipomeni, come a dire, le cose tralasciate, il supplemento (titolo preso da un libro della Bibbia e dal poema di Q. Calabro Smirneo). Ma il suo intento non fu veramente quello di continuare una favola, bensì di valersi di quella finzione per racchiudervi una satira tutt'insieme politica, sociale e filosofica, dove si trova la quintessenza delle sue disperate teorie, e dove l'amore all' Italia, che pur si rivela in alcuni bei tratti qua e là, non gli toglie di deridere i liberali d'allora come inetti sognatori.1 Questo poema, ultima opera del chiaro Recanatese, fu stampato la prima volta a Parigi nel 1842 coi tipi del Baudry, edizione contraffatta dal Le Monnier in Firenze (vedi MESTICA, Le Poesie di G. L. Firenze, Barbèra, 1886, pag. 552, nota 16). Ammirato da tutti gl'intendenti per la bellezza dello stile e di molti particolari, quanto all'insieme fu variamente giudicato. Bonaventura Zumbini (La Palinodia e i Paralipomeni di G. L. nei Saggi critici, Napoli, 1876) vi notò « un continuo sacrifizio dell'arte alle intenzioni filosofiche dell' autore, le quali non si colgono adombrate nella favola, ma si veggono sempre nude, sempre presenti e invadenti il campo della poesia; » affermò che « povero nell'intreccio, di poco interesse nelle situazioni, senza verità e naturalezza ne' caratteri, Il Leopardi ha in questo poemetto mischiati insieme i fatti del 1815 con quelli del 1820-21. Vedi qui appresso. Noi rimandiamo alle storie di que' tempi, contentandoci soltanto di qualche illustrazione presa dall'opera del Cassara, citata più giù. il poema è più mediocre che mai nella catastrofe » e negò all'autore le qualità dell'ingegno satirico. Giovanni Mestica al contrario (Vita di G. L. nel Manuale della lett. ital. nel sec. XIX, vol. II, p. I. Firenze, Barbèra, 1885 ed in principio alle Poesie ec. Firenze, Barbèra, 1886) lo chiamò << monumento insigne del genio satirico leopardiano, » e sentenziò che « le peregrine invenzioni, il felice temperamento del reale e dell'ideale, la significazione di tante idee nuove, le descrizioni svariatissime e stupende di cose vere e fantastiche, lo stile elegante e, salvo rare durezze ed oscurità, lucido sempre e pieghevolissimo nell'ottava, costituiscono i principali pregi estetici di questo poema eroicomico. » E Salvatore Cassara (La politica di G. L., ec.) sentenziò di « non conoscere alcuno scrittore delle tre Letterature classiche e delle straniere, il quale abbia saputo immaginare poeticamente una satira sì tremenda e terribile come questa. » Lasciando che ciascuno si formi a suo modo il giudizio sull'insieme di quest'opera (e, quanto a noi, stimando che la verità stia per avventura nel mezzo fra le diverse sentenze dei tre critici), ci contentiamo di dare dei Paralipomeni un estratto abbastanza particolareggiato, inserendovi quei passi che, mentre sono ammirabili per bellezza di stile, nulla presentano di sconveniente, per qualsiasi ragione, alla gioventù. E affinchè le principali allusioni politiche contenutevi si possan conoscere, ci facciamo lecito di riportare qui la spiegazione che ne dà il Mestica stesso (Poesie cit., pag. LXXIII e seg.) conforme, in gran parte, a quella che ne avea data Salvatore Cassara (vedi qui sotto). Egli dice doversi « raffigurare........ gl' Italiani e più specialmente i Napoletani nei Topi, gli Austriaci nei Granchi, i preti nelle Ranocchie, Gioacchino Murat in Rubatocchi, Luigi Filippo di Francia (trasformato bizzarramente in re costituzionale di Napoli) in Rodipane,1 Francesco imperatore d'Austria in Senzacapo re de Granchi, il principe di Metternich (che dal 1815 in poi diresse per tanti anni la politica reazionaria delle grandi potenze continentali) nel barone di Camminatorto, il generale Mi Il Cassara (Polit. di G. Leopardi, pag. 150 e 436) non ammette quest' allusione a Luigi Filippo di Francia, ma in Rodipane vede Ferdinando IV e poi I. Vedi la nota a pag. 158. |