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IV.

NELLE NOZZE DELLA SORELLA PAOLINA.

SOMMARIO: Poichè, o sorella, il destino ti trasporta dalle illusioni della prima età ai tumulti della vita sociale, procura di educare i figli a gagliarde virtù (v. 1-15) — Saranno infelici, ma acquisteranno fama tra i posteri (16–30) · Voi, donne, la potenza datavi dalla natura dovete usare a render gli uomini forti, non ad accasciarli (31-45) — L'amor vostro sia sempre rivolto al valoroso e magnanimo (46-60) — Imparate dalle donne spartane (61-75) Ricordatevi che la romana Virginia colla sua fortezza salvò Roma, una seconda volta, dalla servitù (76–105).

METRICA. Strofe 7 di 15 versi ciascuna, rimati con quest' ordine : a B CACB Def GFE g h H.

Poi che del patrio nido

I silenzi lasciando, e le beate

Larve e l'antico error, celeste dono,
Ch'abbella agli occhi tuoi quest' ermo lido,

Te nella polve della vita e il suono

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v. 1-6. Poi che, ec. Costr.: «poichè il destino (la divinità del Leopardi) trae nella polve e nel suono della vita, te che lasci, ec. » — lasciando ha qui il senso, non di gerundio, ma di participio presente << lasciante. » L'autore nelle Annot. cit. difende quest'uso che è frequente negli antichi. del patrio nido I silenzi, la silenziosa casa paterna di Recanati. le beate Larve, le illusioni della prima gioventù.l'antico error, celeste dono, ec. È interpetrato in diversi modi: o il poeta intenderebbe per antico error le credenze religiose di Paolina, dalle quali egli incredulo dissentiva; o alluderebbe alla Santa Casa di Loreto, che sorge appunto sull'ermo lido dell'Adriatico, non molto distante da Recanati, e la cui miracolosa traslazione, secondo un' opinione sostenuta da Monaldo, padre loro, risalirebbe ad un'epoca più antica di quella comunemente creduta. La prima spiegazione è assurda, perchè verrebbe a significare che Paolina, lasciando la casa paterna, era per lasciare anche la sua religione. Più probabile è l'altra, che, secondo una testimonianza riferita dal Mestica (Il verismo nella poesia di G. L. nella Nuova Antologia, 1o luglio 1880), sarebbe stata convalidata dall'autore stesso; non ostantechè, come nota il Castagnola, appaia contradizione fra antico errore e dono celeste. Carlo, fratello di Giacomo, in una lettera al Viani, rigetta l'opinione della Santa Casa, e vuol che si spieghi: le illusioni della prima età (e il Sesler raffronta questo luogo con altri molti delle poesie leopardiane, in cui tal parola è usata in tal senso). Ma allora, in che differisce questo concetto dal precedente, le beate larve? Parmi dunque miglior cosa tenersi alla seconda opinione, spiegando « e l'antico errore di quel dono celeste: di quella casa donata dal cielo a questi lidi,» ovvero, intendere per « antico errore» l'affezione al luogo natio,« l'amore passionato del proprio villaggio, » errore antico fra gli uomini, ma consolante per loro, che trovano belli anche i luoghi più brutti ed incolti. nella polve della vita e il suono: polve,

Tragge il destin; l'obbrobriosa etate
Che il duro cielo a noi prescrisse impara,
Sorella mia, che in gravi

E luttuosi tempi

L'infelice famiglia all' infelice

Italia accrescerai. Di forti esempi

Al tuo sangue provvedi. Aure soavi
L'empio fato interdice

All' umana virtude,

Nè pura in gracil petto alma si chiude.

O miseri o codardi

Figliuoli avrai. Miseri eleggi. Immenso
Tra fortuna e valor dissidio pose

Il corrotto costume. Ahi troppo tardi,
E nella sera dell' umane cose,

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alla latina, vale il campo o l'arena, e qui, metaforicamente, le prove morali a cui una futura moglie e madre va incontro; suono, tumulto, inquietudine in opposizione ai silenzi e alle larve dei primi versi. Che il Leopardi voglia indicare lo strepito d' una grande città non deve ammettersi, ove si consideri che la Paolina andava sposa a Sant'Angelo in Vado. « La mia Paolina questo gennaio sarà sposa in una città dell'Urbinate, non grande, non bella,» scriveva il Leopardi al Giordani (13 luglio 1821).

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v. 6-15, l'obbrobriosa etate, ec. Anche qui trovi l'esagerato disprezzo per i suoi tempi, come nei canti che precedono. impara, comincia a conoscere. Nell'Inno a' Patriarchi «<le nefande Ali di morte il divo etere impara. - l'infelice famiglia.... accrescerai: intendi: «< co' figli che partorirai. » Di forti esempi, ec. Senso: « Procura che i tuoi figli fino dai primi anni abbiano in voi genitori esempi di fortezza, » ossia « da' loro un' educazione maschia e vigorosa, poichè il crudele destino, cioè, la dura condizione delle cose, non permette che il valore umano si formi tra le mollezze e le delizie della vita (aure soavi), e un petto gracile, cioè un corpo delicatamente nutrito, non può racchiudere un' anima pura da viltà, integra. » Cfr. Orazio, Carm. III, 24: tenera nimis Mentes asperioribus Formandæ studiis, e IV, 4: fortes creantur fortibus et bonis. — interdice, vieta, nega. Petr., 1, canz. 1: « Le vive voci m'erano interditte. >>

v. 16-21. O miseri o codardi, ec. Continuando il senso della strofa precedente, dice in sostanza : È necessario che i tuoi figli siano forti, perchè possano sostenere quella miseria, quella infelicità, cui deve andar soggetto chiunque non si piega codardamente alla prepotenza, e agli errori del secolo. » Miseri eleggi. Locuzione ellittica: « Preferisci d'averli miseri. » — Immenso, ec. Intendi: « Il costume corrotto, cioè, la corruzione dei tempi ha reso incompatibili, inconciliabili in una stessa persona il valore e la fortuna. Chi è valoroso, bisogna che sia sfortunato. »

dissidio, discordia, contrasto. Ahi troppo tardi, ec. Senso: « Chi nasce oggi, nasce troppo tardi,» secondo l'idea, tuttora dominante nel Leopardi, che gli antichi fossero, appetto a noi, grandi e felici. -- nella sera, ec. Sera sta qui per decadimento, deterioramento, vecchiezza; quasichè le cose umane fossero per finire, come finisce il giorno. Anche

Acquista oggi chi nasce il moto e il senso.
Al ciel ne caglia: a te nel petto sieda
Questa sovr' ogni cura,

Che di fortuna amici

Non crescano i tuoi figli, e non di vile

Timor gioco o di speme: onde felici
Sarete detti nell' età futura:

Poichè (nefando stile

Di schiatta ignava e finta)

Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta.

Donne, da voi non poco

La patria aspetta; e non in danno e scorno

Dell' umana progenie al dolce raggio

Delle pupille vostre il ferro e il foco

Domar fu dato. A senno vostro il saggio

E il forte adopra e pensa; e quanto il giorno

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Acquista...

nella canz. al Mai, v. 29, vedemmo « quest' età si tarda. » il moto e il senso; bella perifrasi per indicare il nascimento, l'entrare in vita. Intendi chi nasce oggi, nasce troppo tardi. » Il Sesler cita, ad illustrazione di questo concetto, una delle Prose del Leopardi, cioè la Comparazione delle sentenze, ec.

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v. 22-30. Al ciel ne caglia: se ne lasci la cura ai celesti, poichè noi non ci possiamo rimediare. Che di fortuna amici, ec. Intendi: « Che non crescano amanti della fortuna, cioè col desiderio di far fortuna, onde poi debbano temere o sperare vilmente. » Ricorda quel di Dante (Inf., 2): « L'amico mio e non della ventura, » dove pure alcuni spiegano: Colui che ama me e non la fortuna. » gioco, ludibrio. - felici: nota bene la differenza tra fortunati e felici. « Voi nella vita sfortunati, sarete un giorno chiamati felici, per la lode che da' posteri riceverete. >> stile, usanza, costume; frequente nel Petrarca e negli antichi. Petr. I, son. 180: Però s' oltre suo stile ella s'avventa, Tu 'I sai. » Virtu viva sprezziam, ec. Orazio, Carm. III, 21: Virtutem incolumem odimus, Sublatam ex oculis quærimus invidi. In Orazio il contrasto è fra l'odio e il desiderio: nel Leopardi è fra la trascuranza e la lode: concetto conforme alle sue opinioni sulla viltà del secolo, più capace di disprezzare o non curare bene, che avente forza d'odiarlo.

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v. 31-37. Donne, ec. Dai benefizi di una civile educazione, passa il Poeta a quelli non minori che la donna può recare coll' amore bene inteso e ben diretto, cioè vòlto non a scopo di mollezza e vanità, ma di coraggio e virtù. non in danno e scorno, ec. Intendi: « la natura non diede alla vostra bellezza tanto potere, perchè dovesse riuscire a danno e vergogna del genere umano. »> il ferro e il foco Domar fu dato. Anacr., Carm. 2: νικᾷ δὲ καὶ σίδηρον καὶ πῦρ, καλή τις οὖσα, cioè: vince anche il ferro ed il fuoco una che sia bella. » Dante, Inf., X: « Quando sarai dinanzi al dolce raggio Di quella, ec.» - A senno vostro, a vostro modo, come par bene a voi. Dante, Purg., 27: << E fallo fora non fare a tuo senno. >> il saggio, ec. Intendi: anche saggio, ec. adopra, opera. Dante, Inf., XXIV: E come quei che adopera ed istima, ec. » - e quanto il giorno, ec.: « quante cose il carro del

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Col divo carro accerchia, a voi s'inchina.
Ragion di nostra etate

Io chieggo a voi. La santa

Fiamma di gioventù dunque si spegne
Per vostra mano? attenuata e franta
Da voi nostra natura? e le assonnate
Menti, e le voglie indegne,
E di nervi e di polpe

Scemo il valor natio, son vostre colpe?

Ad atti egregi è sprone

Amor, chi ben l'estima, e d'alto affetto
Maestra è la beltà. D'amor digiuna
Siede l'alma di quello a cui nel petto
Non si rallegra il cor quando a tenzone
Scendono i venti, e quando nembi aduna

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sole circonda col suo diurno viaggio. » Anche il Tasso, Ger. Lib., XVIII, 13: « Ha il suo gran carro il dì. » E Virg., En., IV, 607: Sol, qui terrarum flammis opera omnia lustras.

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v. 38-45. Ragion, ec. Intendi: « se è vero che voi potete tanto sopra l'animo degli uomini, giustificatevi: com'è che oggi alligna fra questi così gran viltà? È ella colpa vostra ? » — La santa Fiamma di gioventù, l'ardore, la generosità propria de' giovani. Attenuata, ec. Intendi: la forte natura virile è forse estenuata e fiaccata da voi? Attenuato per indebolito ha molti esempi. Ariosto, Orl. Fur., II, 13: « Dagli anni e da' digiuni attenuato, e XXXIII, 120: « Per lunga fame attenuate e asciutte. >> assonnate, intorpidite. - le voglie indegne, i desiderii bassi e indegni dell'uomo. E di nervi, ec. scemo, ec. « E l'essere il valor natio degl' Italiani scemato di forze fisiche, deriva forse da voi?» Che si debba interpetrar così, e non altrimenti, rilevasi dalle cit. Annot. in cui l'autore difende l'uso di scemo reggente complementi con di, e ne porta esempi d'antichi scrittori. Dai sentimenti di questa strofa è ispirata la bellissima canzone della Guacci Alle donne napoletane, che comincia: « Oh compagne, oh sorelle, ec. »

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v. 46-53. Dopo avere accennato quanto possan nuocere le donne se fomentano la mollezza e il mal costume, passa il poeta a mostrare la potenza del nobile amore, e ad incitarle a valersene. - Ad atti egregi, Ricorda il Foscolo, Sepolcri : « A egregie cose i forti animi accendono L'urne de'forti, ec.» Della potenza d'amore per far l'uomo gentile e valoroso parlano ad ogni momento i poeti antichi, dugentisti e trecentisti. — chi ben l'estima, chi rettamente lo giudica. È modo preso dal Petrarca nella Canz. Quell'antico mio dolce, ec. d'alto affetto Maestra è la beltà: stupendamente significato! D'amor digiuna, ec. Letteralmente vuol dire : «Non è innamorato chi non si rallegra quando la natura si sconvolge e infieriscono le tempeste. » E più esplicitamente significa: « Chi è innamorato, non teme la morte. » Bella e poetica immagine che, in forma un po' diversa e ad altro proposito diretta, ritorna nell' Ultimo canto di Saffo: « Noi l'insueto allor gaudio ravviva, ec. » Purg., XV: « Io son d'esser contento più digiuno.

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digiuna, priva. Dante, Siede, riposa, sta inerte, non si commuove: quasi come il lat. residet. nembi aduna

L'olimpo, e fiede le montagne il rombo
Della procella. O spose,

O verginette, a voi

Chi de' perigli è schivo, e quei che indegno

È della patria e che sue brame e suoi
Volgari affetti in basso loco pose,
Odio mova e disdegno;

Se nel femmineo core

D' uomini ardea, non di fanciulle, amore.
Madri d'imbelle prole

V'incresca esser nomate. I danni e il pianto
Della virtude a tollerar s'avvezzi

La stirpe vostra, e quel che pregia e cole
La vergognosa età, condanni e sprezzi;
Cresca alla patria, e gli alti gesti, e quanto
Agli avi suoi deggia la terra impari.
Qual de' vetusti eroi

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L'olimpo. Olimpo, celebre monte della Tessaglia, sulla vetta del quale si favoleggiava che abitasser gli Dei, si piglia pel cielo stesso, o, come qui, per le potenze naturali che presiedono alla tempesta. Omero chiama Giove Νεφεληγερέτης, cioè « adunator di nembi. »

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v. 53-60. O spose, ec. Nuova apostrofe alle donne, perchè amino degnamente, e perchè dispregino i vili. - - a voi, termine del verbo mova nel v. 58. Chi de' perigli, ec. Distingue tre specie d' uomini spregevoli: cioè i paurosi, coloro che sono indegni della patria, perchè non l'amano, e quelli che tendono solo a bassi piaceri e coltivano facili amori. Schivo de' perigli vale, che schiva i pericoli, ne teme. in basso loco, in un oggetto vile, sia cosa, sia persona. Però il Poeta ha usato le voci brame che indica desiderii smoderati, e volgari affetti, cioè amori comuni, come li ha il volgo. · Odio e disdegno. La seconda parola che vale disprezzo è più forte della prima. Petr., Canz. Italia mia: « Non per odio d'altrui, nè per disprezzo. Se nel femmineo, ec. Eccezione pungente e che sa di sarcasmo. « Se proprio, l'amore che scalda la donna è rivolto a veri uomini, cioè a uomini di sentimenti virili, non piuttosto a fanciulle, cioè, a uomini frivoli e molli, come le fanciulle. Chiama fanciulle gli uomini imbelli ed effeminati, a quella guisa che in Omero i Greci vengono chiamati achive, non achei. » Sesler. ardea. L'imperfetto ha qui forza d'intenzione. Il Sesler spiega« se pure il vostro cuore volea palpitare d'affetto per uomini veri, ec. »

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v. 61-67. Madri, ec. Dopo aver detto delle fanciulle e delle spose, passa alle madri, cui sarebbe onta la viltà de' figli. — I danni e il pianto, ec., cioè che sono conseguenza della virtù. Ricorda quello che è detto nei vv. 16 e seg. a tollerar, ec. Cfr. Orazio, Carm. III, 2: « Angustam.... pauperiem pati Robustus acri militia puer Condiscat. >> quel che pregia, ec., cioè gli agi, le ricchezze. Tasso, Canz. Liete piagge beate: « Ciò che più 'I mondo apprezza Subito sdegnereste. » – gli alti gesti, le alte imprese, le glorie degli avi. la terra, l'Italia.

tani

v. 68-75. Bellissimo ed eloquentissimo cenno sul valore degli Spar

de' vetusti eroi, ec. Plutarco, Vita di Licurgo, § 21, parlando

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